No della Camera al Testo
“Meloni volta le spalle ai lavoratori”, così cala il sipario sul salario minimo
Dopo la manfrina del Cnel, il governo fa approvare un emendamento che cancella la proposta delle opposizioni infuriate: “Voltate le spalle ai lavoratori. Meloni non ha avuto il coraggio di far votare l’Aula”
Politica - di David Romoli
La sfida del salario minimo è finita. Il governo pensava di risolvere la faccenda in un paio d’ore. Ci ha messo cinque mesi. Ha imbrogliato le carte, giocato a scaricabarile, gettato la responsabilità della bocciatura sul Cnel, fatto promesse a vuoto ma alla fine è tornato al punto di partenza: la cancellazione secca della proposta di legge delle opposizioni unite, con la sola eccezione dei renziani, per un salario minimo di 9 euro lordi all’ora.
Davvero il minimo ma a governo e maggioranza, supportati dal verdetto del Cnel, è sembrato troppo. Al posto dell’emendamento soppressivo che la maggioranza stava per votare in estate, tranne fermarsi in extremis spaventata dal consenso diffuso di cui godeva la proposta, ha proceduto con un altro emendamento che affida al governo la delega in materia di retribuzione e contrattazione collettiva.
Il nuovo testo, approvato prima in commissione e poi ieri nell’aula di Montecitorio, sostituisce la proposta originaria e la seppellisce. Oggi un voto finale scontato in partenza metterà la parola fine alla lunga presa in giro. Capitolo chiuso.
L’opposizione si è battuta, almeno in aula, sino all’ultimo. Ha proposto un emendamento unitario, sempre con l’eccezione di Iv, che proponeva di tornare al testo originario eliminando la delega. È stata sconfitta con 149 voti contro 111 e 3 astenuti. I partiti dell’opposizione non potevano far altro, a quel punto, che ritirare le firme dalla proposta ormai del tutto snaturata.
“Di questa legge avete fatto carta straccia”, ha affermato Conte e per chiarire il concetto ha stracciato il testo originario. “Voltate le spalle a milioni di lavoratori con la stessa arroganza con cui fermate i treni ma alla fine vinceremo questa battaglia”, ha proseguito.
Schlein, ritirando anche lei la firma si è scagliata contro “l’abuso di potere ai danni della minoranza” ma anche contro il premierato: “Meloni non ha avuto neanche il coraggio di farvi votare. Il governo ha scelto di sottrarre al Parlamento il diritto di discutere e votare: è l’antipasto del premierato. Tutti i poteri nelle mani del capo e il popolo chiamato ogni 5 anni ad acclamarlo”.
Anche Avs e Azione hanno ritirato le firme in calce a un provvedimento che ormai somigliava a una sinistra beffa. Non si può dire che la coraggiosa Giorgia abbia combattuto la sua battaglia contro il salario minimo a viso aperto. Si è nascosta prima dietro il parere del Cnel, poi anche dietro la Commissione europea, dal momento che il commissario al Lavoro Schmit ha affermato che “non c’è direttiva europea che imponga il salario minimo ai singoli Stati”.
Nemmeno ce ne è una che lo proibisca però. Infatti c’è in molti Paesi dell’Unione. Lo stesso Commissario, del resto, aveva fatto di fronte alle commissioni Lavoro e Affari europei congiunte un discorso ben più articolato. Aveva sostenuto che non si può fissare un salario minimo europeo ma, quando il sistema della contrattazione collettiva non funziona e permette salari troppo bassi, si può usare il salario medio europeo come indicatore e lavorare, a partire di lì, sull’adeguamento.
Come è stato fatto in Germania: lo strumento di adeguamento è stato proprio il salario minimo. Ma la maggioranza ha inteso solo quel che voleva intendere. Ha promesso di intervenire sulla contrattazione collettiva risolvendo il problema alla radice e se l’è cavata così. Un po’ come aveva fatto la premier dopo l’incontro con le opposizioni sul tema, all’inizio di agosto.
Allora aveva promesso per settembre una proposta complessiva in grado di ovviare al problemino dei salari da fame con una riforma generale. Va da sé che settembre è arrivato e passato ma della proposta sbandierata con gran fragore non se n’è più saputo niente. L’opposizione ha la sua parte di responsabilità. Il salario minimo è stato il solo fronte sul quale era riuscita a fare arretrare il governo.
La paura della premier di bocciare apertamente un provvedimento la cui necessità è avvertita dalla stragrande maggioranza della popolazione è stata palese e palpabile. Le forze d’opposizione avevano trovato un primo vero terreno comune. L’occasione è andata perduta.
Il Pd per primo non è riuscito a trasformare la battaglia politica in conflitto sociale. Non ha saputo andare oltre una raccolta di firme, efficace solo sul piano della propaganda, e oltre una battaglia parlamentare per una volta combattuta davvero ma che, da sola, non poteva che finire sconfitta.