L'appello
Le ribellioni degli ebrei, in 30mila in marcia contro Netanyahu: mille intellettuali contro il genocidio di Gaza
La marcia per chiedere che il governo si impegni per la liberazione degli ostaggi. Nello stesso giorno dell’appello di Grossman e altri 1000 intellettuali
Esteri - di Umberto De Giovannangeli
«Siamo scrittori, artisti e attivisti ebrei che desiderano sconfessare l’idea diffusa secondo cui qualsiasi critica a Israele è intrinsecamente antisemita». È l’incipit della lettera aperta intitolata «Un’equiparazione pericolosa», apparsa sul periodico statunitense N+mag.
L’appello è stato firmato da oltre mille intellettuali, tra cui spiccano i nomi di Naomi Klein, David Grossman, Judith Butler, filosofa che insegna a Berkeley, e Tony Kushner, sceneggiatore, drammaturgo e premio Pulitzer.
Accusare di antisemitismo chi critica Netanyahu, i coloni o le politiche portate avanti dalla destra religiosa è «una tattica retorica per proteggere Israele dalle sue responsabilità, oscurare la realtà mortale dell’occupazione e negare la sovranità palestinese. Questo insidioso imbavagliamento della libertà di parola viene utilizzato per giustificare il continuo bombardamento militare di Gaza da parte di Israele e per mettere a tacere le critiche della comunità internazionale», denuncia la lettera-appello.
«Condanniamo i recenti attacchi contro i civili israeliani e palestinesi – si legge – e piangiamo questa straziante perdita di vite umane. Nel nostro dolore, siamo inorriditi nel vedere la lotta contro l’antisemitismo utilizzata come pretesto per crimini di guerra con dichiarato intento genocida».
Ed ancora: «i diritti degli ebrei e dei palestinesi vadano di pari passo. La sicurezza di ciascun popolo dipende da quella dell’altro». I valori ebraici, continuano, «ci insegnano a riparare il mondo, a mettere in discussione l’autorità e a difendere gli oppressi rispetto all’oppressore. È proprio a causa della dolorosa storia dell’antisemitismo e delle lezioni dei testi ebraici che sosteniamo la dignità e la sovranità del popolo palestinese».
Un altro passaggio illuminante è quello in cui i firmatari affermano: “Le accuse di antisemitismo alla minima obiezione alla politica israeliana hanno permesso a lungo a Israele di sostenere un regime che gruppi per i diritti umani, studiosi, analisti legali e organizzazioni palestinesi e israeliane hanno definito di apartheid. Queste accuse continuano ad avere un effetto spaventoso sulla nostra politica. Questo ha significato la soppressione politica a Gaza e in Cisgiordania, dove il governo israeliano confonde l’esistenza stessa del popolo palestinese con l’odio per gli ebrei di tutto il mondo.
Nella propaganda rivolta internamente ai propri cittadini ed esternamente all’Occidente, il governo israeliano afferma che le rivendicazioni dei palestinesi non riguardano la terra, la mobilità, i diritti o la libertà, ma piuttosto l’antisemitismo. Nelle ultime settimane, i leader israeliani hanno continuato a strumentalizzare la storia del trauma a strumentalizzare la storia del trauma ebraico per disumanizzare i palestinesi.. .Chiediamo un cessate il fuoco a Gaza, una soluzione per il ritorno sicuro degli ostaggi a Gaza e dei prigionieri palestinesi in Israele e la fine dell’occupazione israeliana. Chiediamo inoltre ai governi e alla società civile degli Stati Uniti e dell’Occidente di opporsi alla repressione del sostegno alla Palestina. Ci rifiutiamo di permettere che queste richieste urgenti e necessarie vengano soppresse in nostro nome. Quando diciamo “mai più”, lo diciamo sul serio”.
Altra importante novità nella giornata di ieri la marcia da Tel Aviv a Gerusalemme. «Liberateli adesso». È il grido che arriva dalla folla di migliaia di persone che, arrivate in corteo a Gerusalemme davanti agli uffici del premier israeliano Benjamin Netanyahu, chiedono maggiore impegno per la liberazione degli ostaggi rapiti da Hamas il 7 ottobre. Una marea di palloncini gialli e bandiere.
Si parla di 300 mila persone partite da Tel Aviv martedì scorso. Numeri che ricordano la protesta contro la riforma della giustizia di qualche mese fa, e che cova ancora sotto la cenere della “nuova” guerra nella Striscia di Gaza. «Non abbiamo il privilegio di poter aspettare ancora che i nostri cari vengano liberati per buon cuore e buona volontà, perché questa cosa non avverrà mai», ha detto nel suo intervento in piazza, Yuval Haran, che aspetta il ritorno a casa di sette membri della sua famiglia portati nella Striscia di Gaza.
“Abbiamo camminato per cinque giorni senza fermarci e mi fanno male le gambe e le spalle e mi fa male tutto, ma niente fa male come il cuore”, ha detto Orin, la madre di Eden Zacharia, che è tenuto in ostaggio in Gaza, secondo quanto riportato dal Times of Israel. “Anche se avessimo bisogno di camminare fino a Gaza, cammineremo fino a Gaza. Ovunque dovremo andare andremo, non rinunceremo ai nostri figli”, ha aggiunto la donna.