La questione nazionale ebraica
Cosa è il sionismo: dall’affaire Dreyfus alla terra promessa
Dietro il movimento per lo Stato israeliano c’è una storia lunga e variegata. Che parte alla fine dell’800 con Herzl e arriva fino a oggi. E oscilla tra opposti in conflitto ancora oggi: socialismo e fascismo
Editoriali - di David Romoli
“Io non sono antisemita. Sono antisionista”: alzi la mano chi in queste settimane non ha mai sentito dire più volte, o pronunciato in prima persona, questa affermazione.
Quanto però abbiamo le idee chiare sul sionismo quelli che ripetono l’assunto è molto incerto. Conviene perciò chiarire almeno per sommi capi di cosa si stia parlando. Ufficialmente il sionismo ha una data di nascita precisa, il 1896, quando il giornalista ungherese ebreo Theodor Herzl pubblicò un libro destinato a fare storia e che in effetti ebbe subito una vasta diffusione con traduzione in numerose lingue: Lo Stato ebraico.
Due anni prima a Herzl non sarebbe mai passato per la mente di proporre uno Stato degli ebrei e per gli ebrei. Era un giornalista austroungarico affermato, nato a Pest, e un ebreo completamente “assimilato”, come si definiscono quegli ebrei che hanno rotto tutti i ponti con le tradizioni e la cultura ebraiche. Nel 1894 fu inviato dal suo giornale a Parigi, per seguire un caso che stava già facendo molto rumore e che cambiò la vita del cronista, l’Affare Dreyfus.
Per la stragrande maggioranza delle persone, incluse quelle che hanno visto il recente film dedicato da Roman Polanski all’affaire, L’ufficiale e la spia, o letto il romanzo di Robert Harris da cui è tratto, le dimensioni della vicenda sono confuse. Il caso dell’ufficiale ebreo ingiustamente condannato per spionaggio fu il principale scandalo nella Francia della Terza Repubblica e della Belle Epoque: spaccò il Paese in due fronti contrapposti per 10 anni, portò a processi, condanne, dimissioni di ministri.
La cosiddetta questione ebraica, almeno nell’Europa occidentale, sembrava ormai risolta con un’accelerata integrazione degli ebrei nelle società dei rispettivi Paesi. L’Affaire fece emergere invece correnti profonde di antisemitismo diffuso che sembravano morte ed erano solo assopite.
Herzl di fronte alla improvvisa ventata di odio per gli ebrei che travolse la Francia, concluse che gli ebrei non sarebbero mai stati davvero al sicuro finché non avessero avuto un loro Paese nel quale rappresentassero la maggioranza della popolazione. Nel 1897 si riunì a Basilea il primo congresso sionista, organizzato e presieduto dallo stesso Herzl e nacque l’Organizzazione sionista mondiale, con l’obiettivo conclamato di costituire uno Stato ebraico in Palestina, allora regione dell’Impero ottomano.
La scelta della Palestina non era scontata in partenza. Erano in campo, all’inizio, anche altre ipotesi: la costruzione dello Stato in un altro continente, l’Africa o l’America Latina, ma anche, all’interno dell’Impero russo, l’autonomia della Zona di Residenza, il vasto territorio nel quale gli ebrei erano confinati e nel quale viveva la maggior parte degli ebrei del mondo.
La scelta della Palestina dipese non da motivi religiosi o mistici ma dalla fondata convinzione sarebbe stato del tutto impossibile indirizzare gli ebrei verso un nuovo territorio senza il richiamo delle origini bibliche. A rigore, dunque, sionismo significa solo creazione di uno Stato a maggioranza ebraica anche se già nel Congresso di Basilea fu stabilito che quello Stato avrebbe dovuto trovarsi in Palestina.
Questa visione del sionismo, per quanto precisa, è tuttavia riduttiva. Il sionismo di Herzl era stato preceduto, nel XIX secolo da movimenti e suggestioni “protosioniste” che ebbero in realtà un grande influenza sul sionismo successivo. In particolare l’opera del filosofo ebreo Moses Hess e del suo libro del 1862 Roma e Gerusalemme.
Hess non contemplava altre collocazioni per lo Stato ebraico se non la Palestina, inseriva il suo protosionismo nella corrente dei nazionalismi e delle spinte risorgimentali dell’800 ma soprattutto immaginava un preciso tipo di Stato: socialista, collettivista e nel quale gli ebrei, condannati da secoli a lavori che li escludevano dalla produzione materiale e dall’agricoltura, avrebbero dovuto “redimersi” con il lavoro dei campi.
L’opera di Hess è all’origine del sionismo socialista, che sarebbe stato centrale nei primi decenni di vita di Israele ma fissò anche un modello valido invece per tutte le correnti sioniste: quella degli ebrei che, abbandonando le tradizionali attività legate alla finanza e alla mediazione commerciale che erano state imposte dalle restrizioni dei secoli precedenti, tornavano al lavoro dei campi.
Hess, per il suo progetto, aveva puntato soprattutto sugli ebrei occidentali. Le ondate di immigrazione in Palestina, invece arrivarono soprattutto dagli ebrei dell’Est, quelli che vivevano nella Zona di Residenza o in Polonia.
Nel 1881 i tremendi Pogrom seguiti all’attentato mortale contro lo Zar Alessandro II spinsero una prima ondata di ebrei dell’est a lasciare la Russia e la Polonia, dando vita alla prima Aliyah, in ebraico “Salita” a cui ne seguirono altre sulla spinta delle persecuzioni contro gli ebrei ispirate prima dalla pubblicazione del falso documento I Protocolli dei Savi di Sion, con la sua denuncia della cospirazione mondiale ebraica e in realtà scritto dalla polizia segreta dello Zar, poi dalla Rivoluzione russa.
Ma se milioni di ebrei lasciarono la Russia e la Polonia, pochi scelsero come approdo la Palestina: 45mila persone sui 2 milioni e 285mila ebrei che lasciarono la Russia, 40mila sui 952mila che partirono dalla Polonia. Alcune comunità ebraiche non avevano mai lasciato la Palestina e a Gerusalemme la maggioranza della popolazione era sempre stata ebrea.
Ma anche se la stragrande maggioranza degli emigrati ebrei aveva preferito tentare di rifarsi una vita in America, comunque le ondate di immigrazione fra il 1880 e il 1930 moltiplicarono le dimensioni dell’Yishuv, l’insediamento ebraico in Palestina, e innescarono le prime tensioni e poi, dal 1920, i primi pogrom e i primi scontri armati tra arabi ed ebrei.
L’acquisto di terre in Palestina da parte degli ebrei era iniziato già prima del sionismo. Il filantropo ebreo di origini italiane ma naturalizzato inglese Moses Montefiore aveva finanziato la costruzione di un sobborgo di Gerusalemme, oggi uno dei quartieri più belli della città, già nel 1861. Alcuni grandi finanzieri ebrei, come il francese Edmond Rotschild risposero all’appello di Herzl, e a volte lo anticiparono, finanziando l’acquisto di terreni dagli arabi e la costruzione dei siti per gli insediamenti.
Israele ha sempre rivendicato l’acquisto dei territori degli insediamenti fino alla spartizione del 1948 ma è anche vero che a vendere erano i grandi latifondisti che in Palestina non mettevano praticamente mai piede, non i contadini che materialmente abitavano quelle terre.
A partire dal primo dopoguerra la vicenda del sionismo si intreccia con quello dello scontro ancora in atto tra ebrei prima e israeliani poi da un lato e arabi palestinesi dall’altro. Non bisogna però immaginare il sionismo come un movimento monolitico: sarebbe forse più preciso parlare di sionismi tra loro molto diversi.
Il “Sionismo generale”, il cui ispiratore principale Chaim Weizmann sarebbe diventato il primo presidente della Repubblica di Israele, era centrista, liberista in economia, liberale in politica, orientato più a destra che a sinistra, tanto che alla fine sarebbe entrato a far parte del Likud.
Il “Sionismo socialista”, il cui principale leader era il fondatore di Israele David Ben Gurion, partiva dalle posizioni di Hess e almeno in teoria intendeva coniugare il nazionalismo, cioè la battaglia per dare vita a uno Stato nazionale ebraico, con elementi collettivisti e socialisti.
La corrente socialista, oltre a essere egemone fino alla nascita dello Stato, avrebbe poi dominato la vita politica di Israele fino al 1976, ed esercitato un controllo quasi assoluto sulle Forze armate, create e guidate inizialmente dallo stesso Ben Gurion. Nonostante l’assunto iniziale, l’orizzonte nazionalista prevalse però sempre e in misura crescente col passare del tempo, su quello socialista.
Nonostante i conflitti tra una parte dell’ortodossia, contraria all’idea che la nuova Israele fosse creata da uomini, e il sionismo, è sempre esistita anche una corrente di “Sionismo religioso”, che mirava a uno Stato ebraico confessionale invece che laico.
La destra sionista era rappresentata dal “Sionismo revisionista” fondato da Vladimir Zabotinskij, in opposizione alla sinistra del Sionismo socialista ma anche ai “Sionisti generali” considerati troppo morbidi soprattutto nei confronti dell’Inghilterra, diventata dopo la guerra mondiale potenza mandataria in Palestina.
Zabotinskij, che nel 1935 sarebbe uscito dall’Organizzazione sionista mondiale per dar vita alla Nos, Nuova organizzazione sionista, fu anche il fondatore dell’Irgun, il gruppo terrorista che, tra le altre azioni, fece saltare in aria il Quartier generale inglese allocato al King David Hotel di Gerusalemme.
L’Irgun e il Sionismo revisionista non erano parti della stessa organizzazione, ma la presenza al vertice di entrambe di Zabotinskij garantiva un rapporto di fiancheggiamento. Zabotinskij, pur dichiaratamente di destra, non era fascista e lo sottolineò sempre ma sia nella Nos che nell’Irgun una componente simpatizzante per il fascismo senza dubbio c’era.
I partiti eredi del Revisionismo, prima l’Herut confluito poi nel Likud, ebbero scarsissimo peso nei primi decenni di vita dello Stato, fino alla vittoria elettorale del 1976, dovuta in buona parte alle tensioni create dalla guerriglia palestinese e dall’attacco egiziano del 1973 che colse Israele, governato dalla socialista Golda Meir del tutto di sorpresa.
Essere contro il sionismo, come se si trattasse di un’ideologia complessiva è dunque insensato, a meno che non si intenda l’unico elemento comune a tutte le diverse e confliggenti correnti sioniste: negare il diritto all’esistenza di uno Stato ebraico. Ma qui i confini tra antisionismo e antisemitismo diventano davvero molto evanescenti.