Parla il parlamentare dem

Intervista a Roberto Morassut: “Da Dresda a Gaza è inaccettabile il massacro di civili”

“Fino a che l’Europa non sarà nella condizione di svolgere anche un ruolo militare coordinato sullo scacchiere internazionale sarà difficile e forse impossibile evitare l’esplosione di conflitti che si determinano ai confini dell’Europa con violenza inusitata.”

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

15 Novembre 2023 alle 14:30

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Il parlamentare Pd Roberto Morassut
Il parlamentare Pd Roberto Morassut

Il Pd dopo la manifestazione dell’11 novembre. Un bilancio di 8 mesi della segreteria Schlein nelle temperie internazionali e nelle sfide di politica interna. L’Unità ne discute con Roberto Morassut, parlamentare e membro della Direzione nazionale del Partito democratico, Vice presidente della Fondazione Giacomo Matteotti.

Cosa ha significato per il Pd la manifestazione dell’11 novembre?
Quella manifestazione dimostra che il Partito Democratico resta il motore centrale dell’opposizione politica e sociale a questo governo. È molto importante, per noi, essere tornati in piazza. Ha fatto bene Elly Schlein a crederci e penso non debba restare un evento isolato perché questo governo va incalzato e rovesciato dal basso, dando voce alle critiche che si vanno diffondendo sia tra i lavoratori che tra le forze produttive e nel mondo intellettuale, dopo le illusioni iniziali o le concessioni di fiducia verso una estrema destra che non aveva mai affrontato una prova di governo. Ora il quadro è diverso. Siamo in una fase diversa da solo un anno fa. Nel Paese c’è una situazione pastosa. Le acque si intorbidano ogni giorno di più. Emerge l’inadeguatezza del governo, la mancanza di autorevolezza e credibilità internazionale ma non si vede ancora un’opposizione capace di offrire un’alternativa. C’è molto ancora da lavorare su questo. La “spinta delle masse” in una direzione democratica e riformista può dare un canale, un alveo dove far scorrere le acque ed unificare i vari affluenti.

Imboccando quale strada?
Forse non sarebbe sbagliato pensare allo svolgimento di una “Convenzione nazionale di programma” di un insieme di forze, non solo politiche, che se non vogliono definirsi di “centro sinistra” sicuramente possono ritrovarsi nella idea di uno schieramento di “Coesione nazionale” tra tutte le opposizioni e che, senza pretendere di livellare giudizi e posizioni, consenta però di confrontarsi in sede pubblica, oltre il ping pong quotidiano ma in campo aperto e di apprezzare i punti di distanza o di convergenza. “Coesione nazionale” contro un governo che tutte le opposizioni attuali, riconoscono come portatore di un programma divisivo sia sul piano sociale che territoriale. Oggi il tema che unifica tutte le forze che si collocano contro questo governo mi pare proprio questo: la coesione nazionale, la prospettiva di un’Italia più unita e più forte contro il rischio di un’Italia spaccata, lacerata, ingiusta e debole. Ho visto che sul tema cruciale del nuovo Codice della Strada, proposto da Salvini, è stato possibile unificare una linea alternativa e unitaria tra tutte le forze di opposizione che va da Sinistra italiana e Verdi fino a Italia Viva sulla base di una forte azione di realtà civiche e territoriali. Questo nostro lavoro per raccogliere le opposizioni e dar voce alla “spinta delle masse” è importante perché la nostra stessa vita è fatta di gruppi dirigenti e di rapporti di massa insieme.

Un connubio non sempre riuscito.
Senza queste due risorse non esiste il Partito Democratico, non esiste quella sintesi tra teoria e prassi che resta sempre, per la sinistra, il cuore di un’identità riformista forte, critica… e, in quanto critica, rivoluzionaria. Questa manifestazione ripropone, peraltro, secondo me, con forza il tema di una “Costituente” per le Democratiche e i Democratici, che allarghi il nostro perimetro, contribuisca alla radicale trasformazione della nostra vita interna verso un pluralismo di idee e di contenuti, di politiche ed eviti di sedersi sul doroteismo degli accordi interni, della pax tra componenti, aree di partito che hanno sempre veleggiato vedendo passare tanti segretari, tanti gruppi dirigenti restando sostanzialmente padrone del partito. Ma su questo non voglio riprendere sterili discussioni. Lo dico solo perché una delle motivazioni forti che hanno portato alla elezione di Elly Schlein alle primarie, contro ogni previsione e contro la stessa consultazione interna, è stata proprio quella di puntare ad un soggetto politico più aperto, con una nuova infrastruttura interna e non solo con nuovi gruppi dirigenti.

Un tema cruciale è quello delle riforme costituzionali.
Le riforme costituzionali sono una materia informe. Sono colpito dalla schematizzazione con cui si discute di questi temi nel Paese e anche da un certo letargo della cultura giuridica, costituzionalista. La linea della destra è però contraddittoria ed esplosiva per lo stesso schieramento che sostiene il governo e la maggioranza. Da un lato si propone di dare alla Repubblica una forma che rafforza i poteri dell’esecutivo, quindi teoricamente finalizzata ad un consolidamento degli organi centrali e persino di comando della Stato. Dall’altro si propone una riorganizzazione territoriale che non è federalista ma, nei fatti, scissionista dell’unità nazionale perché si tocca il tema cruciale del fisco e dei servizi che ne derivano, compromettendo il principio della distribuzione delle risorse secondo un’idea nazionale. Le due cose non vanno d’accordo e sono destinate a divergere o a comporsi con compromessi a dir poco pasticciati, comunque lesivi di un giusto funzionamento delle istituzioni. Da tempo io ho maturato un’idea che esclude però la mera difesa dell’esistente.

Vale a dire?
Va detto anzitutto che come Partito Democratico noi non abbiamo mai giocato di rimessa su queste materie ed al contrario siamo stati promotori di un disegno di riforma delle istituzioni e anche della legge elettorale che ci ha sempre caratterizzato almeno fino al 2016, anno della sconfitta del referendum costituzionale. Da quel momento noi abbiamo perduto la leadership culturale su questa materia cruciale, che riguarda l’assetto complessivo della nostra forma democratica, andando per lo più dietro alle proposte degli altri, con l’obbiettivo di mitigarle o abbiamo assunto posizioni difensive per poi correggerle. Penso, per esempio, alla riduzione del numero dei parlamentari che doveva accompagnarsi ad una riforma elettorale in grado di migliorare la rappresentanza dei territori, mentre cosi non fu. Va ricordato a questo proposito che la nostra forza parlamentare non era in grado, in quel tempo, di darci la forza per guidare il dibattito nella direzione che volevamo. Ma oggi possiamo muoverci forse con più agilità.

In che direzione?
Non possiamo non vedere e non affrontare il problema dello snaturamento che sta subendo sempre più la Repubblica parlamentare. Il logoramento dei partiti, la perdita di consistenza e di rappresentanza è una delle cause dello svilimento dell’attuale vita parlamentare. Il tema – che sempre è presente – del ruolo del Parlamento nella vita democratica è divenuto oggi drammatico con un governo che fa un uso ormai ordinario della decretazione d’urgenza, per usare un ossimoro…. Nel 1924, proprio pochi mesi prima della sua morte, Giacomo Matteotti si recò in Inghilterra e tenne una serie di incontri con rappresentanti del Partito Laburista e delle Trade Unions per denunciare il fatto che il “Governo fascista in Italia intende che la Camera serve solo ad approvare quello che esso fa, anzi ritiene che il Parlamento esista solo a condizione di non mettersi mai contro il Governo…”. Ora, io mi guardo bene dal paragonare Meloni a Mussolini, ma prendo atto che la cultura e l’idea delle istituzioni non è cambiata, con l’aggravante che oggi la debolezza del Parlamento è forse maggiore di quei già drammatici tempi.

In che si sostanzia questa debolezza?
Non si può non prendere atto – e questo favorisce molto nel senso comune il discorso della destra – che l’attuale assetto è basato su un equivoco: il Parlamento è centrale solo in certi passaggi topici ma non lo è nella sostanza della vita repubblicana, il Governo ha un grande ed esorbitante peso nelle decisioni ma non gode della stabilità necessaria per impostare programmi di legislatura. Questo vale ed è valso per tutti. Per questo motivo, pur consapevole della problematicità importante che questo comporta, credo che noi dobbiamo affrontare il tema di un diverso rapporto tra Governo e Parlamento senza illuderci di metterci contro l’onda dei fatti e provando a capire come si può riconoscere e costituzionalizzare per l’Esecutivo lo spazio che oggi copre impropriamente (sia esso un governo di destra che di centro sinistra in passato) e al tempo stesso costituzionalizzare un ruolo del Parlamento magari formalmente meno centrale, ma sostanzialmente più in grado di svolgere il suo ruolo di contrappeso, di controllo e indirizzo senza deroghe e surrettizi stravolgimenti nei fatti. E poi, sul piano politico, e se posso dirla in modo rozzo: meglio anche tatticamente dialogare su questi aspetti con Fratelli d’Italia che resta una forza politica di cultura nazionale che con la Lega che lavora per distruggere l’unità nazionale. Il cuneo che c’è tra i due protagonisti della destra italiana va allargato con una nostra iniziativa che non si limiti ad un “nobile conservatorismo” di tutto l’esistente.

Il tutto dentro una drammatica crisi internazionale, evidenziata dalla guerra di Gaza.
Fino a che l’Europa non sarà nella condizione di svolgere anche un ruolo militare coordinato sullo scacchiere internazionale sarà difficile e forse impossibile evitare l’esplosione di conflitti che si determinano ai confini dell’Europa con violenza inusitata. Ricordiamoci sempre che il Novecento è stato un secolo di guerra continua; dalle guerre balcaniche del 1911 fino al 1945 e forse anche fino al 1989, se davvero si considera l’intero scenario globale. Da questo punto di vista noi siamo già forse dentro un conflitto mondiale anche se non nella sua vis acuta. Quel che è preoccupante è la violenza e l’uso della reazione alle aggressioni oltre ogni limite ragionevole. Mi riferisco per alcuni episodi alla guerra in Ucraina ma soprattutto al conflitto in Medio oriente. Sento intimamente che la condanna alle aggressioni non mi basta più per accettare il livello della contro reazione. E non per giustificare Hamas o l’aggressione russa. Nel febbraio del 1945 un bombardamento devastante distrusse la città di Dresda provocando 45 mila morti tra civili e cancellando per sempre una delle più belle città della Germania. La Germania era in ginocchio. In quel momento e in quell’epoca va collocata quella vicenda. Il bombardamento servì a vincere le ultime resistenze morali tra la popolazione. Forse. Ma mi domando se oggi, dopo un secolo di storia che ha visto crescere tutta un’altra prospettiva di civiltà, sia ancora accettabile l’idea che occorre uccidere migliaia e migliaia di innocenti per piegare un potere per quanto aggressivo e ignobile. Non ho una risposta. Ma sento che non posso accettarlo più.

15 Novembre 2023

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