Il leader di Sinistra Italiana

Intervista a Nicola Fratoianni: “A Gaza non c’è alternativa: o compromesso o morte”

«Gli israeliani hanno diritto di vivere in sicurezza, così come i palestinesi hanno il diritto di vivere liberi. È questa la strada maestra, ma l’Ue è assente»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

20 Ottobre 2023 alle 14:30

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Intervista a Nicola Fratoianni: “A Gaza non c’è alternativa: o compromesso o morte”

Israele, il suo “11 Settembre”. La tragedia senza fine di Gaza e dei suoi 2 milioni di abitanti. E una sinistra che oscilla tra equilibrismi dialettici e vecchie incrostazioni ideologiche, “filo” e “anti”. L’Unità ne discute con Nicola Fratoianni, leader di Sinistra Italiana e parlamentare di Alleanza Verdi e Sinistra.

Di fronte alla tragedia che si sta consumando in Israele e a Gaza, cosa significa per lei, essere amico del popolo palestinese? E d’Israele?
L’attacco terroristico di Hamas, vile ed indiscriminato contro i civili, l’assassinio di centinaia di ragazzi che stavano ballando ad un rave, la caccia casa per casa ha travolto i nostri occhi e strozzato le parole in gola. Sono i volti dei nostri fratelli, dei nostri figli, delle madri dei padri, dei nonni. Cosi come sono figli, madri, padri fratelli e nonni i civili che in queste ore subiscono una vendetta cieca nella grande prigione a cielo aperto che è Gaza, un crimine di guerra che, come il terrorismo contro i civili viola tutte le norme del diritto internazionale. Per questo essere amici del popolo palestinese e di quello israeliano significa, prima di tutto, disertare. La mia è una diserzione dalla logica della guerra, dai suoi orrori, una logica che pretende un immediato arruolamento. Con chi stai? Quale è il tuo amico? E, inevitabilmente, chi è il tuo nemico. Disertare non significa in nessun modo equidistanza o indifferenza, implica una scelta attiva e molto più difficile. Pretende complessità, politica, chiede di leggere quello che accade sapendo che l’empatia con le vittime incolpevoli produce un effetto se a quella segue la possibilità di una risposta. Per questo oggi, in queste ore drammatiche, chiediamo con forza che si fermi l’assedio a Gaza, chiediamo un cessate il fuoco, come prima condizione perché sia possibile anche solo immaginare una prospettiva di pace. La sicurezza di Israele e del suo popolo è inseparabile dal diritto del popolo palestinese ad un futuro che non sia segnato drammaticamente dall’occupazione militare, dall’allargamento senza sosta degli insediamenti illegali, dalla violazione sistematica della legalità internazionale. E questa, penso, è anche l’unica strada davvero efficace perché siano isolati terrorismo e fanatismo.

Israele rivendica il diritto alla difesa, soprattutto dopo i sanguinosi attacchi che hanno provocato migliaia di vittime, molte delle quali civili inermi. Qual è il suo pensiero in proposito?
L’attacco che Hamas ha sferrato nella giornata di sabato 7 ottobre ha tutte le caratteristiche di un atto di guerra. È stato preparato per due anni come hanno rivelato gli stessi dirigenti di quell’organizzazione. Un atto di guerra che ha però violato tutte le norme che nel diritto internazionale regolano i conflitti. Per questo definirlo come un attacco terroristico è giusto e necessario. I civili trucidati non possono in nessun caso essere considerati “danni collaterali” come li definisce un dirigente di Hamas, sono stati colpiti intenzionalmente e massicciamente. Nulla, nessuna delle ingiustizie e delle atrocità subite dai palestinesi in decenni e decenni di occupazione e apartheid può giustificarle. Proprio per questo sostengo che le atrocità che hanno caratterizzato l’attacco di Hamas non possono giustificare una reazione che, ora dopo ora, accumula una impressionante serie di violazioni del diritto internazionale, crimini di guerra, violenze e vendette contro civili inermi e incolpevoli. Condannati a morte solo perché palestinesi di Gaza. Il diritto alla difesa di Israele e di chiunque subisca un attacco di quel tipo non è in discussione. Ma nessun diritto di difesa può svilupparsi in spregio del diritto internazionale. L’ordine di evacuazione con l’ultimatum per un milione di civili, compresi malati gravi, neonati e personale degli ospedali, i bombardamenti senza sosta anche sui corridoi indicati come “sicuri”, il taglio nelle forniture di energia elettrica, carburante, acqua e cibo sono inaccettabili e la comunità internazionale a cominciare dal nostro Paese dovrebbe intervenire, andando oltre qualche timido appello alla moderazione e alla proporzionalità nella risposta.

Esiste ancora uno spazio per la soluzione a “due Stati”?
Non c’è dubbio che in questo momento l’ipotesi di una soluzione che risolva il conflitto Israelo-Palestinese con la soluzione di “due Stati per due Popoli” sia più lontana che mai. La spirale di violenza di questi giorni, la catena dei lutti e dell’odio che nella violenza si alimentano sembrano spazzare via quella prospettiva. Eppure, oggi come non mai, ricostruire la trama di una politica di pace è urgente e necessario. Pena condannare noi stessi al ruolo degli osservatori impotenti di una guerra infinita e le popolazioni di quell’area del mondo ad un futuro che si fa incubo, ancor di più di quanto non sia stato nei decenni che abbiamo alle spalle.

La questione palestinese era scomparsa da tempo non solo dall’agenda diplomatica internazionale ma anche dall’iniziativa del movimento pacifista e della sinistra.
La Comunità internazionale porta sulle sue spalle la responsabilità di aver voltato troppo a lungo la testa dall’altra parte. L’assenza di una iniziativa decisa nella direzione della pace e del rispetto della legalità internazionale ha consentito che oltre alla violenza, crescesse il peso delle formazioni fondamentaliste come Hamas, a danno di una leadership laica in Palestina. Nel frattempo la politica del Governo di ultra destra di Netanyahu che con formazioni come Hamas ha intrattenuto rapporti nella convinzione che questo servisse ad indebolire la prospettiva di uno Stato Palestinese indipendente, ha legittimato e incoraggiato la moltiplicazione degli insediamenti illegali dei coloni in Cisgiordania. Un disastro di cui in questi giorni pagano le conseguenze i civili, israeliani e palestinesi.
Ma è vero che anche a sinistra l’iniziativa politica sulla questione palestinese ha conosciuto negli ultimi anni una diminuzione di intensità e densità. Non mi riferisco alle pratiche di solidarietà internazionale, che a Gaza e in particolare in Cisgiordania hanno continuato a tessere relazioni virtuose e pazienti. Credo che da questo punto di vista le difficoltà a rintracciare interlocutori laici abbia pesato. La vicenda israelo-palestinese è molto più complessa di un “semplice” conflitto religioso, ma non c’è dubbio che quando questa dimensione occupa lo spazio politico in modo così rilevante, lo spazio della politica e in particolare della sinistra si riduce.

Amos Oz, il grande scrittore israeliano scomparso, affermava che l’essenza della tragedia israelo-palestinese è che il Torto non è da una parte e la Ragione dall’altra, l’essenza della tragedia è che a non trovare un incontro a metà strada sono due ragioni egualmente fondate.
Questa definizione di Amos Oz è straziante nella sua cruda lucidità. Due ragioni egualmente fondate, quella degli israeliani a vivere in sicurezza e quella dei palestinesi ad uno Stato, dove vivere liberi dal giogo dell’occupazione militare. Eppure, anche se in questo momento sembra così difficile da non poter essere nemmeno nominato, è la ricostruzione di un compromesso possibile e giusto l’unica speranza che abbiamo. E soprattutto l’unica prospettiva a cui, fina da queste ore drammatiche, dovrebbe lavorare la comunità internazionale a cominciare da un’Europa che ancora una volta sembra priva di voce e di capacità d’iniziativa. Sì, un “compromesso” che come scriveva ancora Oz è “sinonimo di vita. Il contrario di compromesso non è integrità e nemmeno idealismo e nemmeno determinazione o devozione. Il contrario di compromesso è fanatismo, morte”. Oggi, nel nostro Paese, anche solo riflettere o provare a guardare dentro la complessità diventa quasi un marchio d’infamia. Amici dei terroristi, fiancheggiatori, ambigui nel migliore dei casi. Sono le accuse che i Salvini del bar dello sport dispensano a piene mani, perfino insultando la ministra spagnole Irene Montero. Nulla di più miserabile e dannoso, per la verità, per l’intelligenza, per Israele e per i palestinesi.

Per molto tempo si è detto che in Medio Oriente l’Europa era un gigante economico e un nano politico. Ed oggi?
Oggi è più nano che mai. L’assenza di una iniziativa politico-diplomatica è drammaticamente visibile nel momento in cui sarebbe più urgente. Di fronte all’esplosione del conflitto, emerge con forza e impellenza la necessità di costruire una via pacifica alla soluzione del conflitto israelo-palestinese. Intervengono gli americani, intervengono i Paesi arabi, e ciò rende ancora più grave ed evidente la totale assenza dell’Europa. Si tratta di un problema enorme per ragioni che hanno a che favore non solo con la geopolitica, con l’urgenza di un intervento che porti alla cessazione dell’ostilità, ma a che fare anche con interessi più immediati e al tempo stesso strategici di un continente, l’Europa, che ha nel Medio Oriente un’area del mondo che le è prossima da ogni punto di vista. Ciò richiederebbe una capacità massima di pressione e anche di autonomia. L’assenza dell’Europa in questo drammatico frangente non fa che confermare quello che ormai osserviamo da molto tempo. Lo abbiamo visto sul fronte ucraino e oggi questo silenzio balbettante torna anche sul conflitto israelo-palestinese e sull’area mediorientale.

Lei è stato tra i parlamentari che più si sono battuti per il riconoscimento da parte dell’Italia dello Stato di Palestina, anche come contributo a rafforzare la prospettiva di una pace fondata sulla soluzione “a due Stati”. Non è il momento di rilanciare?
Penso proprio di sì. Quando si lavora sul terreno delle relazioni diplomatiche occorre sempre misurare anche con l’interlocutore, in questo caso l’Autorità nazionale palestinese, l’opportunità di singoli strumenti parlamentari. Detto questo, ritengo che sul piano politico sia importante e urgente rilanciare questa iniziativa. Nella convinzione che la garanzia alla sicurezza per Israele e il diritto del popolo palestinese a vivere non più sotto occupazione ma in uno Stato indipendente, sovrano, siano tra loro indissolubilmente legati. Rilanciare oggi questo tema è un terreno su cui continueremo a lavorare.

20 Ottobre 2023

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