L'autunno caldo dem

“La destra sta fallendo, c’è bisogno di riformismo radicale” parla Matteo Orfini

«Riformismo non è sinonimo di moderazione. Al contrario, è lotta per il cambiamento. La Festa di Ravenna? La cosa più bella è stata vedere di nuovo l’Unità nelle mani di migliaia di compagne e compagni»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

12 Settembre 2023 alle 11:31 - Ultimo agg. 12 Settembre 2023 alle 12:50

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“La destra sta fallendo, c’è bisogno di riformismo radicale” parla Matteo Orfini

“Una cosa che mi ha fatto molto piacere nella giornata conclusiva della Festa nazionale di Ravenna? Rivedere l’Unità diffusa e nelle mani di tante compagne e compagni. È un bel rivedere”. Il PD, l’estate militante e l’autunno “caldo”. La parola a Matteo Orfini, deputato del Partito Democratico, già presidente Dem.

Cosa l’ha convinta del discorso conclusivo di Elly Schlein alla Festa nazionale dell’Unità a Ravenna. E cosa le ha fatto piacere?
Partiamo dal piacere. Rivedere l’Unità alla Festa. Diffusa, letta. È un bel rivedere. Quanto al discorso di Elly, mi ha convinto la sfida alla destra. Mi sembra che abbia giustamente preso di petto il tema dell’opposizione, raccontando un’agenda alternativa e anche un programma d’iniziative che non terminerà con la fine dell’estate ma anzi sarà rilanciato in autunno. Credo che serva a tutti. Al Partito Democratico, certamente, ma anche a tanti cittadini che iniziano ad interrogarsi sulle scelte di questo Governo. Le scelte di politica economica, i tagli al sociale e al Welfare, le evidenti difficoltà a mettere insieme una Legge di bilancio, gli attacchi scomposti all’Europa per coprire la propria inadeguatezza, credo che inizino quanto meno a far serpeggiare qualche dubbio anche in chi li ha votati. È importante che il PD sia lì. Con le sue proposte alternative, con un’agenda sociale vera e soprattutto con una iniziativa politica in grado di aprire un processo di allargamento del fronte dell’opposizione nel Paese. E mi ha convinto anche il fatto che si sia chiaramente partiti dal PD. Certo, bisognerà cercare di unire le opposizioni, certo c’è il tema delle alleanze, ma il punto principale è il rafforzamento del profilo e dell’iniziativa del PD.

La scorsa settimana si è svolta a Roma la Decima Festa di Left Wing, l’associazione di cui lei è tra i promotori. Due giorni di dibattiti molto partecipati, vivaci. Eppure del PD si parla solo in termini di fuoriuscite, di rotture interne. È solo una forzatura giornalistica o c’è dell’altro?
Quando qualcuno se ne va, che è stato sempre nel PD, a me dispiace e penso che ci si debba sempre interrogare e capire come evitare che succeda per altri. Credo anche che sia un errore andarsene dal Partito Democratico, perché in questo momento il PD è la principale forza di opposizione. Indebolire il PD vuol dire, indirettamente, rafforzare la destra. E perché penso che nel PD ci sia spazio per tutti.
Citavi la festa di Left Wing. Un piccolo centro studi, un’associazione che da vent’anni teniamo in piedi e che in qualche modo è la dimostrazione che ci si può anche proficuamente mescolare e confrontarsi. In quella Festa c’era di tutto. Quattrocento relatori in due giorni, l’80% dei quali esterni al PD. Pezzi di società che sono venuti a discutere di tantissimi temi. Non c’erano palchi con noi sopra che parlavamo e gli altri che ascoltavano. Venticinque seminari in cui tutti si confrontavano. Quando porti la discussione sui contenuti e sui problemi del Paese, c’è spazio per tutte e tutti. C’è la possibilità di raccogliere idee, c’è la voglia del Paese di partecipare. Questo è l’insegnamento di quei due giorni. Il Partito Democratico deve provare a fare questo. Mettere tutti nelle condizioni di dare un contributo alla costruzione di una battaglia di opposizione. Questo va fatto mantenendo un profilo chiaro. Su questo Schlein ha ragione.

Vale a dire?
Io non l’ho votata al congresso. Però penso che avendo vinto, abbia pieno diritto e anzi il dovere di dare un indirizzo chiaro alla linea del PD. Noi in questi anni abbiamo pagato a caro prezzo, politico ed elettorale, una certa scarsa riconoscibilità del nostro messaggio. Non era molto chiaro cosa volesse fare il PD in alcuni momenti. È giusto che chi ha vinto dia l’indirizzo, però è anche doveroso mettere tutti nelle condizioni di dare una mano. Tornando ai dibattiti dei due giorni di Left Wing. Nell’ascoltare diversi interventi, è venuta forte l’idea che possa esistere un riformismo di sinistra e che riformismo non è sinonimo di moderatismo. Esattamente. Questa è una cosa di cui sono convintissimo. Nel senso che declinare il termine riformismo come moderatismo, trasformarlo in qualche modo nella destra della sinistra, è un errore esiziale. Lo era già negli anni ’90, lo è ancor più nell’Italia e nel mondo di oggi. Riformismo in buona sostanza vuol dire voglia di cambiare le cose. E quando c’è bisogno su alcuni temi di un cambiamento radicale, non bisogna aver paura di ricercarlo e praticarlo. E non dobbiamo aver paura di una radicalità nella contrapposizione alla destra. So di toccare un argomento caro al direttore Sansonetti. Quando hai una destra che risolve qualunque tipo di problema paventando leggi speciali, aumento delle pene, considerando il carcere come soluzione a tutto. Oggi siamo arrivati a minacciare il carcere persino per i ragazzini e per i loro genitori. Quando hai a che fare con una destra del genere, hai bisogno di qualcosa che si contrapponga radicalmente a questa idea aberrante, che spieghi che alcuni problemi non li risolvi col carcere ma puoi risolverli con la scuola, con la cultura, con la formazione, con l’inclusione, costruendo reti sociali. Riformismo vuol dire immaginare cose possibili. Ma le cose possibili possono essere anche radicali in alcuni casi.

Come, ad esempio, nella battaglia sul lavoro, la precarietà, i contratti pirata…
È uno degli esempi di come dovrebbe agire il PD. E anche del fatto che quando il PD prende un’iniziativa, poi arrivano anche le alleanze. Avere impostato come centrale fin dal primo giorno di legislatura, la battaglia sul salario minimo ha prodotto una mobilitazione che parla ad un pezzo di Paese, perché le centinaia di migliaia di firme raccolte questo dimostrano. Che il problema c’è, è sentito, e che quella proposta piace. E ha unito per la prima volta tutte le opposizioni in una battaglia politica, mettendo in difficoltà il Governo che infatti ha dovuto prendere tempo, perché non lo vuole fare ma che sa che non facendolo paga un prezzo anche in termini di consenso, perché pure elettori della destra hanno salari da fame, in una condizione di grave precarietà e difficoltà per colpa di quei contratti pirata. Sono questioni che stanno al centro dell’agenda del PD. Poi è chiaro che il salario minimo non risolve tutti i problemi. C’è una questione salariale più generale nel Paese, il tema del rinnovo dei contratti, c’è il tema di come si produce più lavoro stabile, di come si contrasta la precarietà. Sono tante le questioni. Ma essere partiti da lì è stata una scelta giusta, che sta pagando.
Quando fai battaglie giuste alla fine i risultati arrivano.

Di fronte alle stragi sul lavoro, come quelle in mare, perché è così difficile nel nostro Paese che scatti una indignazione che si fa movimento e protesta popolare?
A volte sembra che un pezzo dell’opinione pubblica si sia rassegnato all’ineluttabilità di quelle tragedie. La rassegnazione è il primo sentimento che noi dobbiamo contrastare. Perché quella rassegnazione è figlia della sfiducia nelle istituzioni. Pensare che se nessuno è mai riuscito ad affrontare e a risolvere quei problemi, come la sicurezza sul lavoro, vuol dire che non lo si vuole risolvere. Il dovere di un partito come il nostro è anche quello di superare quella sfiducia nelle istituzioni e far capire che la lotta per la sicurezza sui luoghi di lavoro riguarda certamente la politica e le istituzioni, le norme che si fanno. Su questo tema, noi avevamo iniziato un lavoro importante con il ministro Orlando. Un tema che riguarda i sindacati, i singoli lavoratori, e anche gli imprenditori. Tutti devono capire che su questo non si può continuare a ridurre i costi. Se un fronte di lotta va aperto con decisione, per vincere, è quello sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Quanto all’immigrazione. Anche qui siamo a un punto di svolta.

In che senso?
Nel senso che questa è l’estate del fallimento della destra. Governano da quasi un anno, su questo hanno fatto propaganda e guadagnato voti per anni, ma hanno anche fatto norme, dai primi decreti sicurezza di Salvini all’ultimo, orribile decreto Cutro. Oggi ci troviamo di fronte ad una emergenza mai vista prima o quasi. Il che dimostra che la strategia di esternalizzazione delle frontiere, con i patti bilaterali con i dittatori, non ha funzionato perché non ferma i flussi. Che la guerra alle Ong era ridicola, perché decine di migliaia di persone arrivano, non certo attraverso le Ong, tant’è che poi è lo stesso Governo che deve chiedere aiuto alle Ong per salvare in mare le persone. Che le scelte che hanno portato a smantellare l’accoglienza diffusa o comunque a ridurre la buona accoglienza, producono l’effetto che non ci sono posti e le persone stanno per strada. Sono stato la settimana scorsa due giorni a Trieste, dove le persone arrivano dalla rotta balcanica. Lì ci sono quattrocento richiedenti asilo, persone che hanno diritto all’accoglienza, che stanno in mezzo a una strada, anche famiglie con minori. Le scelte della destra hanno prodotto un disastro. Pensa che sarebbe successo se quattrocento persone fossero accampate a Trieste con un Governo di centrosinistra. Cosa avrebbe fatto Fedriga o il sindaco di Trieste. Quanto avrebbero attaccato il Governo. Invece sono lì, zitti, di fronte a un disastro che è stato prodotto dal Governo amico e dal ministro Piantedosi. Quelli che avevano promesso improponibili blocchi navali, cose impossibili e sbagliate, oggi si misurano con la realtà e si capisce che anche su questo avevamo ragione noi. Se si fosse puntato su un modello diverso, oggi non ci sarebbe emergenza.

L’importanza della memoria nella costruzione dell’identità della sinistra. 11 Settembre 1973: il golpe in Cile, l’uccisione di Salvador Allende, a cui questo giornale ha dedicato il numero de l’Unità della domenica, molto apprezzato. Cosa insegna quella storia cinquant’anni dopo?
È una storia che va ricordata e raccontata, Noi l’abbiamo fatto in uno dei seminari della festa di Left Wing, ma anche in tante Feste dell’Unità si è celebrato il ricordo di Allende. Ricordare oggi quella storia, serve anche a ricordare come sia importante la libertà, la democrazia, quanto sia importante lottare per i propri diritti e le proprie idee, e quanto non si debba mai dare nulla per scontato. Quello che noi oggi in tante parti del mondo abbiamo conquistato, molto lo dobbiamo a chi ha pagato il tributo più alto per difendere la libertà e la democrazia.

12 Settembre 2023

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