La guerra in Ucraina
Che fatica scrollarsi quell’interventismo paludato: e invece il pacifismo dell’Unità non ha ambiguità
Un vasto apparato della comunità politica fatica a scrollarsi un paludamento interventista che gli sta molto scomodo. Questo giornale invece non ha ambiguità
Editoriali - di Iuri Maria Prado
L’Unità è un giornale pacifista. Ritiene che i massacri dei civili, le fosse comuni, le deportazioni dei bambini, la devastazione delle scorte alimentari per prendere per fame gli assediati rappresentino l’inevitabile e tragico corollario di tutte le guerre, o in ogni caso di questa guerra: un conflitto che era imperativo evitare e che si sarebbe evitato se gli ucraini, anziché essere guidati da un leader irresponsabile, si fossero subordinati al dovere morale della resa.
L’Unità ha tenuto senza infingimenti e senza mezze parole questa linea. Lo ha fatto nella convinzione che l’Occidente a guida statunitense, se proprio non ha determinato le ragioni di questa guerra, almeno le ha alimentate nel quadro e per finalità di un contrasto strategico che nelle volontà di resistenza e nelle ambizioni di libertà degli ucraini ha trovato il brodo provvidenziale e pretestuoso per la coltura dei propri interessi.
L’Unità persevera in questa linea di franco ripudio della tradizione nonviolenta, che da Mohandas Gandhi a Marco Pannella ha sempre reclamato sono solo la legittimità, ma il dovere di ricorrere all’uso delle armi per la difesa degli aggrediti quando rinunciarvi in omaggio ai vagheggiamenti di pace implica la vittoria degli aggressori, e per questo motivo ha sempre addebitato all’atteggiamento pacifista la responsabilità di una sostanziale alleanza e complicità con gli aggressori medesimi.
L’Unità, in modo pervicace, si è attestata su questa linea senza preoccuparsi di condividerla con altri rispetto ai quali è, su diversi argomenti, anche molto lontanamente posizionata, qui nella convinzione che sopra tutto e prima di qualsiasi altra esigenza si tratti di svincolare l’Europa e l’Italia dal collaborazionismo atlantico che esse prestano, senza nessun ritorno e anzi a detrimento del proprio interesse, all’alleato/padrone americano.
In questa cornice di militanza c’è necessariamente poco posto per il commento di questo o quel singolo crimine commesso dagli aggressori, che sia la decapitazione dei prigionieri o lo stupro di un gruppo di bambini, perché atrocità simili sono appunto la conseguenza di una guerra cui gli ucraini avevano l’obbligo di rispondere con la resa e che gli occidentali avevano l’obbligo di non fomentare, mentre gli uni e gli altri si sono attenuti a un comportamento di obiettiva e criminogena istigazione della violenza altrui.
Si può essere d’accordo o no con questa linea, prescelta e mantenuta con pervicacia esclusiva dall’Unità. Chi scrive, per quel che vale (nulla), non è d’accordo manco per niente. Ma è difficile non riconoscere che la linea di questo giornale sulla guerra in Ucraina (chi la vede diversamente dice “guerra all’Ucraina”) esprime convincimenti e sentimenti molto diffusi in società e presso un vasto apparato della comunità politica che tuttavia fatica a togliersi di dosso un paludamento interventista che gli sta molto scomodo: e del quale dopotutto non va fiero, se proprio non se ne vergogna. Molti – sia a destra, sia a sinistra – non l’hanno detta chiaramente, in argomento.
Molti – sia a destra, sia a sinistra – hanno preferito assumere un atteggiamento, per così dire, di secondo livello nella contestazione del dovere di aiutare, anche e innanzitutto con le armi, gli ucraini, magari in nome delle alte idealità che mettono su un piatto della bilancia un popolo che vive e muore sotto le bombe e sull’altro i sacrifici del nostro, costretto a subire l’aumento delle bollette.