Il caso a Tripoli

L’ambasciatore Alberini ha l’obbligo di portare in Italia il ragazzo sudanese

Ha un obbligo legale perché non c’è tempo da perdere, va protetto prima che sia tardi

Esteri - di Luca Casarini

29 Giugno 2023 alle 15:30

Condividi l'articolo

L’ambasciatore Alberini ha l’obbligo di portare in Italia il ragazzo sudanese

L’Ambasciata italiana a Tripoli non è nuova al rifiuto di prestare assistenza a chi bussa alla sua porta. Nonostante la propaganda meloniana abbia sempre accompagnato la ferocia dei “blocchi navali” contro le barche dei migranti con il più razionale e caritatevole “devono poter fare richiesta di entrare in Italia da dove partono”, l’articolazione del nostro ministero degli Esteri in Libia, fa esattamente quello che è il vero indirizzo politico italiano ed europeo sui rifugiati e profughi: respingere più che si può, accogliere, male, il meno possibile.

Già nel caso del portavoce di Refugees in Libya, rete dei rifugiati presenti in Libia che sta conducendo una straordinaria mobilitazione in Libia, duramente repressa, e in Europa per chiedere l’evacuazione da quell’inferno, la nostra ambasciata, difronte alla richiesta di protezione umanitaria presentata mentre le milizie lo cercavano per ammazzarlo, non ha risposto. Proprio come adesso con il caso del ragazzo sudanese, respinto illegalmente dall’Italia e per il quale c’è però un obbligo legale per il governo, di portarlo qui, perché possa chiedere asilo come è suo diritto.

Ma l’ambasciata, che deve concedere il visto e organizzare il suo viaggio verso l’Italia, non risponde. Chi c’è dietro le porte della palazzina vicino al porto di Tripoli, al numero 1 di Sahra Uahran? Da giugno c’è Gianluca Alberini, che ha preso il posto del diplomatico Giuseppe Buccino Grimaldi, che è diventato il nuovo ambasciatore italiano a Madrid. Alberini, in carriera da ventuno anni, è tornato a Tripoli, luogo del suo primo incarico all’estero nel 1994. Proviene dalla direzione generale per gli Affari politici e la Sicurezza e anche Direttore Centrale per le Nazioni Unite e i Diritti Umani. Sarà più un alto funzionario della sicurezza, oppure prevarrà la garanzia dei diritti umani?

Alla sua prima prova, l’ordinanza del Tribunale di Roma che gli intima di proteggere e far giungere in Italia il giovane rifugiato respinto nel luglio del 2018, per ora, non mostra segni di cambiamento rispetto al suo predecessore. Non un accenno da parte del nuovo ambasciatore, al tema del rispetto dei diritti umani in Libia, nemmeno durante la presentazione delle lettere credenziali avvenuta il 26 giugno davanti al Presidente del Consiglio Presidenziale Libico Mohamed Menfi. La diplomazia non è fatta di annunci, ma di pazienti trame. Sta di fatto che quel giovane rifugiato, un testimone di un reato gravissimo contro l’umanità commesso dallo Stato Italiano, adesso lo stanno cercando.

Concedendo la scusante dell’insediamento appena avvenuto, bisogna che l’ambasciatore Alberini non perda un solo minuto nel tradurre in fatti immediati la sentenza del Tribunale di Roma. Bisogna che faccia aprire subito le porte, come peraltro gli ordina una sentenza. Il giudice ha condannato il nostro governo a comportarsi con quella dignità e civiltà che giace sepolta sotto un mare di cadaveri, provocati in questi anni di politiche e azioni piene di viltà, codardia, disumanità, crudeltà.

Illegali e inaccettabili, come lo è il sistema dei lager, delle catture in mare e delle deportazioni, delle omissioni di soccorso per non dover avere persone che chiedono asilo. Alberini, questo è ovvio, dipende dal ministro degli esteri Tajani. Ma la porta, quella porta alla quale bussano i rifugiati che chiedono aiuto, è la sua. Ci abita lui. Si comporterà come gli chiede la legge, l’onore e l’umanità? E una sentenza? La scelta ora è solo sua.

29 Giugno 2023

Condividi l'articolo