Il memorandum Italia-Libia

Strage in Grecia, i migranti scappavano dalla milizia libica pagata per fare il lavoro sporco per noi…

Chissà come mai la nave della sua milizia sta davanti alla Cirenaica a fermare i barconi che salpano verso l’Italia. Chiediamolo a suo padre prima di coprirlo di soldi

Editoriali - di Angela Nocioni

18 Giugno 2023 alle 10:07 - Ultimo agg. 18 Giugno 2023 alle 10:09

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Strage in Grecia, i migranti scappavano dalla milizia libica pagata per fare il lavoro sporco per noi…

Sarà un caso, una banale coincidenza. Ma da quando Giorgia Meloni ha incontrato il generale Khalifa Haftar – comandante dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), l’inaffidabile raìs della Cirenaica – si sono moltiplicate le segnalazioni, attendibilissime, della presenza al largo della nave della milizia Tariq Bin Zayed, al comando di Saddam Haftar, figlio del generale.

La Cirenaica è la parte orientale della Libia dalla quale negli ultimi mesi sono aumentate del 200% le partenze di barconi in rotta verso l’Italia. La milizia Tareq Ben Zaied è una banda di assassini, della cui attività Amnesty international dà questa descrizione: «Hanno compiuto finora una sequela numerosa di orrori, tra i quali esecuzioni, torture, varie tecniche di sevizie, sequestri, rastrellamenti, stupri, violenze sessuale di vario tipo e deportazioni».

È stato proprio il vascello di Saddam Haftar, il vascello del figlio del generale – una nave con piattaforma piatta di quelle progettate per rifornire installazioni petrolifere che a chi ha tra i suoi affari anche il traffico di carburanti vari può tornare utile – è stato proprio quel vascello a trainare di recente con una cima per tre giorni, con un altissimo rischio di far affogare tutti quanti, un barcone intercettato e portato a Bengasi. La nave sta lì a tagliare il passo a chi salpa dalla Cirenaica. La strana rotta a triangolo che fanno ultimamente le barche cariche di migranti diretti verso le nostre coste – anche il peschereccio affondato nel Peloponneso con 750 persone a bordo tra cui almeno un centinaio di bambini – dipende dall’intenzione di evitare quel vascello che terrorizza chiunque.

Chissà come mai Saddam Haftar, che traffica benzina dall’est della Libia coprendo l’area tra Bengasi, Kufra, fino al confine con il Sudan, s’ è messo a fare il pattugliatore delle coste per riportare indietro i migranti. S’è stancato di guadagnare milioni col contrabbando? Starà mica cercando di intestarsi dei meriti, starà mica mostrando quanto efficienti possono essere lui e il generale suo padre, volendo, a dissuadere chi vuol partire verso l’Italia? Di certo perde un sacco di tempo lui a tener lì la sua nave a giocare al gatto col topo in mezzo al mare con i barconi dei migranti.

E lo fa perdere di conseguenza anche a quegli amici suoi sudanesi, gruppi armati sudanesi, attivissimi nel contrabbando di carburanti dalla Cirenaica, che di solito sono da lui usati come guardie in terminal petroliferi e pozzi, e che di recente si son ritagliati un ruolo nel mercato dei migranti diretti in Libia dal confine egiziano per salire sui mezzi in partenza lungo le coste della Libia orientale. Quello è il passaggio obbligato al momento per i pakistani e i bengalesi che dopo esser arrivati in Siria con i charter della compagnia Cham Wings vengono messi insieme ai migranti siriani ed egiziani per poi arrivare tutti a Tobruk e da lì imbarcarsi per l’ Italia. Dati del Viminale della fine di maggio: oltre 11mila dei circa 19mila sbarchi di mezzi provenienti dalla Libia, hanno avuto origine in Cirenaica. Nello stesso periodo dall’intera Tripolitania (ossia l’occidente libico) ne risultano partiti 8mila partiti e dall’intera Tunisia 23mila.

Se Giorgia Meloni fa di tutto per vedersi firmato il memorandum con la Libia e, soprattutto, per sperarlo sostenuto da un reale accordo, è perché chi là si occupa di petrolio da decenni le ha spiegato che i patti con il tipo di criminali che s’aggira per i palazzi del potere tanto in Cirenaica quanto in Tripolitania (l’ovest libico) non sono solo a carissimo prezzo: sono anche scritti sulla sabbia. Gli interlocutori libici della presidente del Consiglio sono perfettamente in grado di muoversi con abilità su due tempi: prima la prendono per il collo e si fanno moltiplicare per due e poi per quattro gli importi pattuiti nella parte informale del memorandum e poi si dileguano per farsi raddoppiare una seconda volta la posta.

Giorgia Meloni sta cercando rassicurazioni impossibili da trovare. E le ragioni per cui il suo ministro dell’Interno va sbandierando il memorandum come necessario, come se a firmarlo dall’altra parte ci fossero leader politici attendibili, stanno in quei duemila chilometri di costa libica interamente in mano ai trafficanti usati dalle varie bande libiche come strumento di pressione per farsi dare soldi, soldi, soldi tanti soldi europei con la promessa che a incarcerare i migranti ci penseranno loro. Prima che partano verso l’Italia. Fino a poco tempo fa l’obiettivo necessario era controllare le partenze da una porzione di costa molto più piccola: 150-200 chilometri con Tripoli nel mezzo. Ora bisogna controllare mille e trecento chilometri da Tripoli alla frontiera con l’Egitto e altri 500 da Tripoli a Sfaax in Tunisia.

Quindi per il governo Meloni non si tratta solo di cercare accordi (cioè promettere soldi e mezzi) con la Guardia Costiera di Tripoli e con il presidente tunisino Kais Saied. Ma anche di doversi fidare a occhi chiusi del generale Khalifa Haftar e, di rimbalzo, di suo figlio Saddam che è di lui l’erede politico e militare. Il generale al momento è a corto di soldi. I suoi alleati storici gli hanno chiuso i rubinetti di finanziamenti. Dopo aver tentato e fallito la marcia su Tripoli quattro anni fa, Haftar ha più nemici interni che sostegni esteri. Mosca ha da fare in Ucraina e non spende più in Cirenaica i soldi che spendeva prima. I francesi si sono dileguati. Il Cairo e gli Emirati gli continuano a dar soldi, sì, ma non più a cascata.

E s’è fatto nemici potenti: Aguila Saleh, presidente del Parlamento di Tobruk e Fathi Bashaga, ex ministro degli interni di Tripoli alleatosi con il clan Haftar e ora contro di lui armato non sono due personaggetti facili da metter di lato. Con Bashaga la rottura è recente. Ed è avvenuta proprio per i soldi che Haftar, con l’acqua alla gola, chiedeva e Bashaga non gli ha voluto dare. Un mese fa, dopo il rifiuto di Bashaga di garantire le coperture finanziarie richieste, Haftar l’ha fatto destituire con il voto dei deputati di Tobruk. Aguila Saleh è quindi sull’avviso e ha ragione di star anche lui armatissimo nel timore di perdere non solo il controllo del Parlamento, ma anche della Marmarica, la regione al confine con l’Egitto di cui è originario e dove le tribù a lui fedeli dirigono il traffico di uomini contendendolo al controllo di Saddam Haftar e ai gruppi sudanesi (di Saddam alleati, sì, ma non proprio fedelissimi).

Ora, solo per avere una idea del ruolo di Saddam Haftar nel business petrolifero, leggetevi questa notizia data il 13 maggio scorso dalla televisione libica Al Hadath : una delegazione di alto livello dell’Esercito nazionale libico (Lna) del generale libico, Khalifa Haftar, guidata dal figlio, Saddam Haftar, è entrata nei giacimenti di Sharara ed El Feel, situati nella regione sud-occidentale libica del Fezzan, nell’ambito di una serie di visite ispettive agli impianti e alle strutture petrolifere. Durante la visita, Saddam Haftar è stato informato «delle attività delle forze armate incaricate di mettere in sicurezza i giacimenti petroliferi, ascoltando i suggerimenti dei gestori degli impianti», dice la tv. L’ispezione ha incluso anche una visita alle zone circostanti i giacimenti «per individuare i problemi che affrontano le popolazioni e lavorare per risolverli».

Sharara è il più grande giacimento petrolifero della Libia, è gestito dalla joint venture Akakus, che riunisce la libica National Oil Corporation, la spagnola Repsol, la francese Total, l’austriaca Omv e la norvegese Statoil e, da sola, ha una produzione di circa 300 mila barili al giorno. El Feel, gestito da Mellitah Oil and Gas, una joint venture tra la libica Noc ed Eni, produce a regime circa 70 mila barili di petrolio al giorno. Prima di andar lì, Saddam Haftar ha visitato i giacimenti di Al Samah, Al Naqaa, Zaltan e Al Waha.

Come mai un rampollo con tale carnet di impegni e immaginabile conseguente volume d’affari fa perder tempo alle sue milizie col suo bel vascello davanti alle coste della Cirenaica a fare lo spaventa-migranti in mezzo al mare giusto giusto sulla rotta battuta dai barconi diretti in Italia? In cambio di quanti soldi? E promessi da chi esattamente, a pagamento di cosa?

18 Giugno 2023

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