L'Unità è casa mia

L’eredità di Berlinguer è di tutti, non è una questione di quarti di nobiltà

Cosa è oggi l’Unità che torna a vivere? Cosa volete che sia? Scriveva Gertrude Stein: “una rosa è una rosa è una rosa”. Verso splendido. Anche l’Unità

Editoriali - di Piero Sansonetti - 14 Giugno 2023

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L’eredità di Berlinguer è di tutti, non è una questione di quarti di nobiltà

I fratelli Berlinguer, figli di Enrico, hanno scritto domenica scorsa una lettera a Repubblica, nella quale protestano per l’uso che noi dell’Unità abbiamo fatto della foto di loro padre, nella campagna di informazione per far conoscere il ritorno in edicola del giornale dopo quasi sette anni di assenza.

La Repubblica ha dato grande risalto alla lettera dei fratelli Berlinguer, l’ha collocata in prima pagina, e il giorno dopo – sempre in prima pagina – ha messo insieme un articolo un po’ pasticciato per attaccare ad alzo zero l’Unità, con dichiarazioni di un membro della segreteria del Pd che intima al nostro giornale di restare fuori dalle feste dell’Unità. Non so a nome di chi faccia questa intimazione. Capisco la scelta di Repubblica (che non aveva mai dato notizia, se non sbaglio, della resurrezione dell’Unità) di creare ostacoli e danni a un giornale che viene considerato evidentemente, per tante ragioni, concorrente e pericoloso. E di utilizzare qualunque mezzo a questo scopo.

Ognuno interpreta il giornalismo come vuole. O come sa. (Certo, a proposito di “padri” la Repubblica di Scalfari non avrebbe mai fatto cose di questo genere). Resta la questione posta dai figli di Berlinguer, i quali nella loro lettera sostengono che la nuova Unità non ha niente a che fare con la vecchia Unità. E quindi non deve utilizzare l’immagine di Enrico Berlinguer. Ecco, questo non è vero. Del resto mi pare che nessuno abbia mosso una contestazione alla linea politica, radicalmente di sinistra, che stiamo affermando col giornale, e che è tornata a vivere in un panorama dell’informazione che da anni ne era privo. Si fa solo una questione di quarti di nobiltà.

Beh, per quel che mi riguarda, qualche quarto, o almeno qualche ottavo lo rivendico. Non è che io non abbia mai avuto a che fare con l’Unità come lascia intendere la lettera. Proprio in quel numero dell’Unità mostrato da Berlinguer nella foto di cui stiamo discutendo, c’è la mia firma in prima pagina. Ho iniziato a lavorare all’Unità nel 1975, ci sono rimasto per trent’anni. Per venti ho fatto parte della sua direzione, come caporedattore centrale, vicedirettore e condirettore. Ho lavorato con impegno travolgente, per tutta la parte più giovane ed efficiente della mia vita professionale, fianco a fianco con direttori come Reichlin, Petruccioli, Macaluso, Chiaromonte, D’Alema, Foa, Veltroni e Caldarola.

Di alcuni di loro sono stato il braccio destro. Da alcuni ho avuto carta bianca nella “fattura” del giornale. Sono stato un militante del Pci dal 1971, segretario Longo, ho diretto la sezione universitaria romana del partito durante gli anni di piombo, e sono rimasto iscritto fino allo scioglimento del partito. Quando stavo all’Unità ho respinto proposte di lavoro molto vantaggiose dalla Repubblica (conservo un biglietto di Scalfari) dalla Stampa, dall’Indipendente e dalla Rai. Tornando all’Unità non mi sento un marziano calato da chissà dove. L’Unità è casa mia. Non penso che tra i viventi ci siano molte persone che possano vantare all’Unità un curriculum come il mio. Forse nessuno. Poi nel 1998 fui allontanato dalla Direzione del giornale (ma restai all’Unità per altri sei anni come inviato) quando il partito vendette la testata ad Angelucci. Non piacevo ad Angelucci. Mi scuso per la nota autobiografica. Ma serviva a dare informazioni utili a chi mi conosce poco o niente.

L’Unità che abbiamo riportato in edicola, grazie all’intervento generoso e molto impegnato dell’imprenditore Alfredo Romeo – persona legata alla storia del Pci da quando era ragazzo – è un giornale di sinistra, indipendente, con idee socialiste, libertarie e cristiane, che ovviamente, come tutti (pochi) i giornali seri, non risponde e non prende ordini da nessuno. È vicino al Pd come è vicino ad altre forze di sinistra, e si sente libero di criticare o di battere le mani. In questa fase critichiamo il Pd per le sue posizioni non pacifiste, e su molti altri terreni lo approviamo, lo difendiamo o lo spingiamo ad essere più radicale. Intendiamo restituire alla sinistra uno strumento di dibattito e di elaborazione e di idee. Perché pensiamo che sia la cosa più importante che manca alla sinistra: la capacità di pensare, di elaborare idee nuove, di riconnetterle alle vecchie.

L’Unità è un giornale che vuole ripartire da dove ci eravamo lasciati. Dalla vecchia Unità, quella di prima della traumatica chiusura del 2000. Quella che sapeva rispettare la verità, dire cose scomode, quando serviva anche litigare col partito, che a quell’epoca era l’editore. Litigammo persino su Togliatti. Litigavamo e sapevamo imporci. L’Unità che abbiamo riportato in edicola è un giornale che vuole difendere la tradizione, il passato, la storia, e ridare vita a grandi idealità, come quella dell’uguaglianza, che sembra scomparsa, ma anche quelle della fraternità e naturalmente quella della libertà: guardando avanti, senza pensare però che qualunque idea nuova sia migliore di una idea vecchia. Un giornale così non deve usare l’immagine di Enrico Berlinguer? Non capiamo il perché. Se è necessario discutiamone.

Non c’è niente da discutere invece sull’intimazione di stare alla larga delle feste dell’Unità recapitataci da Sandro Ruotolo. Che con la storia dell’Unità non ha niente a che fare. Perdonate ancora la nota autobiografica: non mi sono fatto dettare la linea dal Pci quando era il partito editore, potete immaginare quanto mi senta intimidito dall’editto bulgaro di Sandro Ruotolo. Lui ha deciso che le feste dell’Unità si dovranno svolgere senza l’Unità? Ha deciso di mettere al bando il nostro giornale? Beh, da vecchio militante, di intimidazioni del genere ne ho subite tante. Non certo dalla sinistra. Le ho sempre respinte, sorridendo.

Né posso prendere in considerazione le parole leggere e al vento di un certo professor Romano, che non avevo mai incontrato prima nella mia militanza di sinistra. Né quelle di Antonio Padellaro, che sì, ho incontrato molte volte, da quando, assai giovani, io lavoravo all’Unità e lui, con molti altri colleghi, si aggirava alla corte di De Mita. Ora ha cambiato idea. E frequenta la corte di Travaglio, l’allievo prediletto (ma sarà vero?) di Indro Montanelli

Comunque, per tranquillizzare i burocrati: noi non siamo il giornale del partito, non siamo il foglio del Pd. A me personalmente manca la comunità umana del Pci. Non il totem del partito, quello no, ma la comunità fatta di tante persone diverse che si riconoscevano discutendo attorno a un giornale. E si scontravano, si battevano, pensavano, si riunivano di nuovo. Abbiamo riportato l’Unità in edicola anche per questo. A me mancava. Chissà se mancava pure a qualcuno di voi.

14 Giugno 2023

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