La miopia dei dem che lasciano

Compagni centristi, state sbagliando: noi sturziani dobbiamo restare nel Pd

La crisi del 2008 ci ha insegnato che capitalismo e massimo profitto non sono compatibili con le gravi questioni sociali e ambientali che si profilano dinanzi a noi. Inutile disperdersi in partitini irrilevanti, molto più utile nutrire di linfa cristiana un grande partito plurale

Editoriali - di Savino Pezzotta

26 Maggio 2023 alle 12:41

Condividi l'articolo

Compagni centristi, state sbagliando: noi sturziani dobbiamo restare nel Pd

Alcuni amici di area cattolico-democratica hanno recentemente manifestato l’idea di lasciare il Partito Democratico non condividendo i pensieri dell’attuale segretaria. Personalmente credo che questo sia un errore anche se capisco le loro motivazioni. Personalmente sono molto distante dall’ispirazione che definisco borghese della segretaria del Pd (che è, essenzialmente, la cultura “liberale” dominante dell’Occidente). Uso il concetto di “borghese” per indicare una visione dell’umanità incentrata su un’idea individualistica e mondana di felicità. Resto pertanto ancorato all’idea propria del popolarismo sturziano che si incentra su un’idea di persona costituita da relazioni solidali. Ed è questa visione che vorrei vivesse in un rapporto di dialettica costruttiva con le altre idee e tradizioni presenti nel Pd.

Sono convinto (e mi sembra che i fatti lo dimostrino) che per resistere e creare un’alternativa a questa destra serva un partito che abbia idee e numeri. Mi rendo conto che personalmente sono il meno indicato a fare queste osservazioni, essendo stato il mio percorso politico, a differenza di quello sindacale, molto differenziato e pieno di contraddizioni profonde: passare dall’ammirazione a Franco Rodano, alla militanza nel Mpl e nel Partito Popolare di Martinazzoli, a anche a una stretta vicinanza all’Udc di Casini e ora al Pd non è stato certo un percorso lineare. Queste migrazioni sono però il segno di una inquietudine e di una difficoltà nei rapporti personali con l’impegno politico. Ciò che mi ha portato ultimamente ad aderire al Pd, dopo una iniziale attenzione alla proposta di Prodi e Veltroni, è stata la riflessione sulle questioni sociali e umane provocate dalla crisi economico-finanziaria iniziata nel 2008. Sono convinto che molti dei guai che viviamo oggi (guerre comprese) genealogicamente nascano da quella esperienza e dalla dimostrazione che l’attuale capitalismo non è in grado di autoregolamentarsi e che la ricerca del massimo profitto economico non sia la condizione ottimale per affrontare le crisi ambientali, economiche e geopolitiche che si preannunciano.

Tornando alle questioni iniziali, personalmente credo che per affrontare i problemi del nostro presente serve un partito fatto di idee, di programmi, di una classe dirigente e di numeri. I piccoli partiti possono servire a mantenere delle precise identità, ma non credo possa essere questo il ruolo che un partito politico debba svolgere in una epoca in cui sono in atto e si preannunciano grandi trasformazioni tecnologiche che a differenza di quelle del passato incideranno fortemente sulla condizione umana e sull’idea stessa di essere umano oltre che su quella sociale, politica ed economica. In questo senso credo che si debba essere sturziani dentro il Pd.

Ho imparato, militando in quella che era la Sinistra Cristiana, che non serva più un partito di cattolici ma dei cattolici che facciano delle scelte programmatiche e non ideologiche. Chi si ispira a don Sturzo, a Mazzolari, Milani e a Martinazzoli non può vedere come pericolo per le proprie idee militare in un partito plurale, anzi ne dovrebbe essere stimolato. Stare da cristiani nel Pd significa per me una permanente capacità di apertura per individuare obiettivi comuni ad altre ispirazioni ideali e tradizioni politiche e può aiutare a costruire una vera cultura democratica che è fatta di dialogo, di socialità e di cura emancipatoria dei più deboli. Non mi piace definire il Pd come partito riformista, anche perché il termine evoca una visione minimalista, accomodante e influenzata dal liberalismo economico, preferisco il termine democratico che è molto più aperto. È su questo terreno che dovremmo impegnarci a fare del Pd il Partito della prassi democratica a tutti i livelli del vivere sociale, il partito dell’accoglienza, e farne lo strumento per operare concretamente contro le disuguaglianze e le emarginazioni. Dunque, dobbiamo proporci dentro il Pd come espressione aperta di un pensiero politico che rifiuta ogni dogmatismo politico, non possiamo pensare che un partito nuovo come dovrebbe essere il Pd ricalchi gli schemi del nostro passato, un passato che non ripudiamo, ma che non vogliamo replicare in un contesto mutato e in continua mutazione.

Vedo che diversi amici continuano a pensare al centro, ma credo, per esperienza, che oggi esso non può incardinarsi in una forma partito, ma rifarsi al valore che in una democrazia matura è importante ed essenziale: quello della mediazione politica che è capace, nell’orientarsi al bene comune di superare e trasformare ogni visione estremistica declinandola nella realtà concreta. La politica deve avere attenzione alle teorie, alle enunciazioni culturali ma la sua massima attenzione deve andare alle persone concrete, quelle in carne e ossa e pertanto ai loro bisogni e desideri e anche ai loro sogni. La politica italiana ha bisogno di tante cose ma non certamente di narcisi. La politica deve tornare ad alimentare la condivisione dei valori di fondo che per non essere astratti devono essere quelli proclamati dalla Costituzione Repubblicana e che bisogna difendere da chi, con la scusa della maggiore efficienza la vorrebbe trasformare per rimpiazzarla con un autoritarismo morbido fatto di presidenzialismo, premierato, autonomie differenziate. Una fedeltà alla Costituzione che non si attesti su visioni rigide ma sia capace di creatività.

Vorrei, rispondendo all’ispirazione sturziana e agli insegnamenti ricevuti da Martinazzoli, che in una fase in cui sono troppi quelli che danno il Pd in estinzione, diventi necessario per la democrazia e per il Paese operare per fare del Pd non un partito chiuso ma il generatore di una vasta area culturale e sociale in cui credenti e non credenti, i “liberi e forti” di oggi, possano impegnarsi in una proposta di trasformazione del Paese. Si possono avere idee diverse rispetto alla guerra che si combatte in Ucraina, ma assodato che nessuno può giustificare l’aggressione, non si può assumere il bellicismo come orizzonte e pertanto serve un rispetto per le culture della Pace che si mobilitano nel Paese: essere per la pace in tempo di guerra significa guardare in avanti e al futuro e non favorire una separazione tra presente e futuro.

Credo però che sia tempo di una nuova critica al capitalismo, partendo dai suoi errori che in questi anni abbiamo sperimentato e che ci obbligano ad abbandonare tutte le visioni ottimistiche che il liberismo ha alimentato e a cui non abbiamo saputo rispondere. Il Pd deve prestare maggiore attenzione alla crisi climatica che se non affrontata con urgenza rischia di travolgere o indebolire le conquiste sociali realizzate dal sindacalismo, generando così un malcontento che può incrinare l’assetto democratico. È urgente che il Pd elabori e proponga una proposta concreta e non abbia timore nel proporre modifiche all’attuale stile di vita troppo consumistico. Va respinta la logica dell’austerità per orientarsi invece verso la sobrietà e far diventare questo un tema centrale del dibattito democratico. Sturzo sosteneva che le riforme devono nascere con proposta dal basso, a partire da una interiorità spirituale dei singoli impegnati nell’azione politica. Sappiamo che nel Pd convivono, data la sua natura plurale, diverse visioni etiche. Ma quello che bisogna evitare è che si determini una sorta di divisione etica. Sarebbe opportuno che sui temi più delicati prevalesse sempre il dialogo e la ricerca delle mediazioni possibili.

26 Maggio 2023

Condividi l'articolo