Le testimonianze nel Cpr di Via Corelli
Lettere negate ai detenuti nei Cpr, l’ultimo abominio per i reclusi: “Sono utili ad appiccare incendi”
Non puoi rinnovare il permesso di soggiorno perché per un problema burocratico non arriva un documento. Finisci dentro. Dopo decenni di regolarità
L’abominio dei Cpr, in particolare di quello di Milano, arriva a negare la consegna delle lettere ai detenuti, in quanto potenzialmente utili ad appiccare incendi. Questo grande bellissimo cuore di cartoncino rosso ha invece eccezionalmente oltrepassato i muri e le porte blindate di quel lager, per finire nelle mani del papà lì rinchiuso, che ha potuto portare orgoglioso con sé in cella le parole dei figli che così avevano voluto accompagnare il cibo che la mamma aveva portato nel centro per lui. Quella sera, E., al nostro centralino era scoppiato in lacrime. Li aveva sentiti al telefono tante volte, ma quel gesto concreto lo aveva toccato. Aveva paura di non vederli più, aveva paura che perdessero la casa perché non poteva più pagare l’affitto.

Il pensiero dei quattro bambini soli, con la mamma con problemi di salute, era il suo primo pensiero costante, da quando quel giorno era stato convocato in commissariato con un pretesto per finire nella trappola: “Sei nella mia zona e non puoi andare in giro senza documenti”, questa la giustificazione dell’agente mentre sistemava le carte per spedirlo all’inferno. Dopo decenni di regolarità, E. non aveva potuto rinnovare il permesso a causa di un documento che doveva provenire dal suo paese dell’America Latina, e che non arrivava mai. I Cpr di Italia sono pieni di papà, presi a caso per strada, che avrebbero diritto a un permesso e non lo sanno o che per qualche problema burocratico non riescono ad avere.
Ma la tecnica è quella: ti sbattono dentro. Poi a provare che avresti i requisiti per un permesso ci devi pensare tu. E ci puoi riuscire solo se non sei fragile e non soccombi alle violenze quotidiane, se resti lucido, se sei fortunato ed entri in contatto con un legale in gamba tra i tanti sciacalli in toga che si aggirano anche lì. Questa una delle differenze dal carcere, forse la più terribile: sai che il giorno X tornerai a casa; in Centro per il rimpatrio stai senza sapere “quando” e neppure “se” uscirai. In televisione vediamo le scene strazianti dell’Ice (la United States Immigration and Customs Enforcement) che negli Stati uniti separava i padri da deportare, dalle loro famiglie in lacrime. Qualcosa di molto simile accade anche nelle nostre città da oltre 25 anni, ma non ci scandalizza, perché non finisce in TV. I Centri per il rimpatrio, con il loro orrore invisibile, vanno aboliti subito.