L'album epocale
Quando Bruce Springsteen era depresso e si chiuse in cameretta a scrivere canzoni: la storia di Nebraska, il disco che ha ispirato “Liberami dal nulla”
Reduce dal successo di "The River", con "Born in the USA" praticamente pronto, si isolò in una casa nel New Jersey e registrò quella musica su un 4 piste. Quel disco ancora oggi è una dichiarazione di autenticità e indipendenza dall'influenza a rilascio prolungato
Cultura - di Antonio Lamorte
Quando Bruce Springsteen portava in studio quei brani, la musica che aveva scritto in solitudine in una casa in mezzo al nulla, i personaggi di quelle canzoni scomparivano. Quei protagonisti dell’America lontana dai riflettori, i perdenti, i killer, gli abbandonati dall’American Dream, svanivano dalla scena. Ancora non è chiaro chi a un certo punto, tra un tentativo e un altro, se ne uscì fuori con un: “Perché non pubblichi quei demo così come sono?”. È questa la storia che racconta Bruce Springsteen – Liberami al nulla, il film diretto dal regista Scott Cooper al cinema in questi giorni. È la storia di com’è nato NEBRASKA, album spartiacque, episodio unico nella discografia del suo autore, disco che sublima una carriera intera per autenticità e immediatezza e la cui influenza ha avuto un rilascio prolungato e imprevedibile.
Quella storia è stata tratta dal libro omonimo scritto da Warren Zanes, docente alla New York University ed ex vicepresidente della Rock and Roll Hall of Fame, membro della band Del Fuegos, che la casa editrice Jimenez ha avuto il merito di pubblicare in italiano con la traduzione di Alessandro Besselva Averame. Libro che racconta la genesi di quelle canzoni, che risale alle influenze che lo avevano generato tra cui La rabbia giovane di Terrence Mallick, le opere di Flannery O’Connor, a sorpresa i Suicide di Frankie Teardrop. Ricostruzione che si avvicina senza pornografia al segreto di quel disco.
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Perché Springsteen attraversava un crollo mentale di cui avrebbe parlato soltanto anni dopo. Con il doppio album The River era passto da essere “il nuovo Dylan” a una specie di salvatore del rock’n’roll, era stato trionfale il tour con la E-Street Band, aveva praticamente pronte le canzoni di Born in the USA che lo avrebbe reso una star mondiale. Ma qualcosa non andava, pianificò la sua sparizione: prese e se ne andò a Colt Necks, nel suo New Jersey. Chiese al roadie Mike Batlan di uscire e comprare qualcosa per registrare, quello se ne tornò con un registratore a quattro piste della Teac, il Model 144 Portastudio e microfoni Shure SM57. E una Gibson J200. Mandolino, armoniche, glockenspiel. Una rockstar che si chiude in cameretta, in una casa dove non ha mai vissuto e dove si è trasferito da solo, con una moquette a pelo lungo arancione.
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Lui non lo sapeva ma quella del 3 gennaio 1982 fu la notte in cui registrò gran parte del disco. Nebraska, la title track che lo apriva, faceva sua la voce del seria killer Charles Starkwater. Atlantic City era una città disperata dietro le luci del suo bel seafront. Mansion on the hill ritornava ai sogni dell’infanzia della working class di provincia. L’uomo condannato per omicidio in Johnny 99. Le storie dei fratelli, uno bandito e l’altro poliziotto, in Highway Patrolman. Un uomo dalla coscienza sporca che supplica lo State trooper di non fermarlo al posto di blocco. La nuova macchina usata comprata dal padre di famiglia in Used cars perché di più non può permettersi. L’operaio del turno di notte fidanzato con una cassiera di Open all night. Domina My father’s House il rimpianto per il rapporto con il padre. Gli sprazzi di fede dell’umanità di Reason to believe. Curiosità: “Deliver me from nowhere” è un passaggio condiviso nei testi di State trooper e Open all night.
Sono canzoni solide nella loro asciuttezza, dagli oscuri poteri immaginifici, complete nel loro minimalismo. Lo erano anche prima della pubblicazione del ricchissimo cofanetto, uscito per Sony Music, NEBRASKA ’82: EXPANDED EDITION con 4 LP + Blu-Ray e 4 CD + Blu-Ray, che includono le leggendarie registrazioni battezzate Electric Nebraska e la prima esecuzione live di tutto l’album. Per Zanes “era una pittura rupestre nell’era della fotografia”. Copertina iconica: una classica route americana in bianco e nero, le scritte di un rosso sanguinolento. Nessun nome di produttori: non era stato prodotto in effetti. “Dei grezzi demo casalinghi. Masterizzati a basso volume. Nessun singolo. La prima traccia che parla di un serial killer. Niente tour né promozione stampa. Se faceste una lista di cose che una casa discografica NON vuole sentire …”. Una straordinaria dichiarazione di integrità e indipendenza artistica.
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Springsteen disse che era la sua prima opera davvero onesta. Per esempio, tra quelle canzoni, c’era anche Born in the USA, che lo avrebbe reso una star mondiale, che sarebbe stato frainteso e strumentalizzato dall’America reaganiana: venne tagliato fuori. Perché la storia di NEBRASKA trasmette tra le altre cose l’urgenza e la contingenza dell’arte: la sua inedita e peculiare necessità di venire fuori nelle vesti che preferisce, quando è sincera e autentica. Di come si debba imparare, come se fosse la prima volta per davvero, ogni volta a creare qualcosa dal nulla, con una forma e delle caratteristiche precise al servizio della storia che si vuole raccontare.
Qualcosa che soltanto una persona poteva fare – a chi altro l’avrebbero permesso, d’altronde – ma che ispirò tantissimi, anche oltre il genere. Come se non sapesse ancora di star realizzando un disco, come se quelle canzoni di vita quotidiana, paesaggi periferici e marginali, personaggi grotteschi e disperati, violenza esercitata oltre che subita, con il rumore del sogno americano che si infrange sullo sfondo, le stesse scrivendo e cantando per lui solo. E forse era davvero così. E infatti fu proprio la musica a decidere. “Mi sa che ci siamo”, disse a un certo punto, quando decise di registrare quel disco come un folksinger solista alle prese con i suoi tormenti e il lato oscuro dell’America.