L'attacco della rockstar

Bruce Springsteen all’attacco di Donald Trump: “Via il padrino dalla Casa Bianca”

L’infantile reazione di Trump (“È un idiota”) la dice lunga: la rockstar ha colpito nel segno, denunciando il rischio di un’autocrazia. Un nuovo appello alla lotta, in perfetto stile Bruce

Spettacoli - di David Romoli

20 Maggio 2025 alle 17:30

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AP Photo/Matt Rourke – Associated Press/LaPresse
AP Photo/Matt Rourke – Associated Press/LaPresse

Tra i presidenti americani e Bruce Springsteen c’è una lunga storia: l’anatema dal palco di Manchester che ha mandato fuori dai gangheri Trump è solo l’ultimo (per ora) atto. Nel 1984 fu Ronald Reagan, nel corso della campagna per la sua rielezione, a cercare di mettere il cappello sulla rockstar, allora all’apice della sua popolarità, il fenomeno del momento. Springsteen aveva appena fatto uscire Born in the Usa, cd di enorme successo anche se decisamente non il suo migliore. “Il futuro d’America si trova nel messaggio di speranza di un uomo ammirato da tanti giovani: Bruce Springsteen”, urlò nel corso di un comizio nel New Jersey, lo Stato del Boss, il presidente.

Reagan aveva decisamente colto l’occasione più sbagliata: nonostante l’arrangiamento molto muscolare Born in the Usa era in realtà una canzone disperata e molto critica verso l’America, la storia di un reduce dal Vietnam senza lavoro e senza riconoscimenti dopo aver perso un fratello a Khe Sanh. “Non so quali mie canzoni abbia ascoltato Reagan. Certo non Johnny 99”, rispose a botta calda il cantante alludendo a una canzone il cui protagonista, dopo aver perso la casa confiscata dalla banca nella depressione dei primi anni 80, fa una rapina e viene condannato a 99 anni di galera. “Lo slogan di Reagan dice che è mattina in America. Sulla 125th Street a New York però è mezzanotte e c’è una luna funesta: ecco perché ho sentito il dovere di dissociarmi”.

Nell’84 già da anni il “prigioniero del rock’n’roll” eseguiva sul palco il pezzo più famoso di Woody Guthrie, This Land is Your Land e di pezzi che criticavano la strada imboccata dall’America ne aveva già registrati in The River dell’80 e soprattutto nell’album acustico registrato in casa Nebraska, dell’81. Eppure Bruce Springsteen non era nato come cantautore “politico”. Molte delle sue canzoni erano, come disse lui stesso, “con la ragazza” e se l’estrazione operaia era chiarissima, molto più che nelle altre rockstar dell’epoca, si declinava in ansia di fuggire per cercare una vita migliore e più libera. Poi lesse una biografia di Woody Guthrie, scoprì la nuova depressione americana e iniziò a studiare quella degli anni 30. I suoi pezzi diventarono sempre più direttamente impegnati. Nel 1988 partecipò alla tournée organizzata da Amnesty International in difesa dei diritti umani. A metà degli anni 90 incise un album che raccontava soprattutto la situazione degli immigrati e che intitolò significativamente The Ghost of Tom Joad, citando direttamente Furore, sia il romanzo di John Steinbeck che il film di John Ford e la canzone che ne trasse Woody Guthrie.

Il primo impegno diretto con il Partito democratico è del 2004, quando Springsteen fece campagna elettorale per John Kerry organizzando una serie di concerti in tutti gli Stati, il Vote for Change Tour. Kerry fu sconfitto da Bush jr. L’anno dopo il suo terzo disco acustico, Devils and Dust, era di nuovo un atto d’accusa implicito contro il presidente, pur se non tanto esplicito come Tom Joad. Nel 2008 Springsteen spinse con tutte le sue forze per l’elezione di Barack Obama. Il cantautore e il presidente diventarono amici in quell’occasione e lo sono rimasti. Nel 2021 hanno registrato insieme un podcast in 8 puntate per Spotify diventato poi un volume a doppia firma, Renegades: Born in the Usa, in cui discutono di politica, musica e dello stato del sogno americano nel XXI secolo.

Springsteen ha poi fatto campagna elettorale per tutti i candidati democratici: Hillary Clinton nel 2016, Joe Biden nel 2020 e Kamala Harris nel 2024. Non che si tratti di un caso isolato: le star della musica e del cinema si sono sempre schierate apertamente con i candidati democratici e hanno bersagliato gli ultimi due presidenti repubblicani, Bush jr. e Trump, con particolare virulenza. La differenza è che Springsteen, sia per le sue canzoni che per la biografia e il carattere, non può essere accusato di radicalismo chic: lo strumento contundente che Trump ha usato con massima pesantezza contro le star a lui ostili. Alcuni accademici, al contrario, hanno cercato di dimostrare testi alla mano che Springsteen non è distante dalla tradizione del Great Old Party per com’era un tempo, dunque molto diverso da quello di questo secolo. In realtà Springsteen ha sempre più sostenuto in questo secolo i progressisti e soprattutto i suoi candidati alla presidenza ma senza mai poter essere catalogato nell’esercito di star dello spettacolo superficialmente liberal. La sua critica è per questo molto più temibile e per questo Trump si è così vistosamente irritato e innervosito dopo l’affondo di Bruce dal palco di Manchester.

20 Maggio 2025

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