Il corteo a Roma della Cgil
Paura, armi, guerra: come il governo Meloni taglierà fondi a istruzione e sanità
Per produrre armi toglieranno soldi a ospedali e scuole. E si tratta di armi che nulla hanno a che vedere con la costruzione di un vero sistema di difesa europeo, armi che verranno acquistate dagli Usa
Oggi un nuovo corteo attraverserà le strade di Roma, per arrivare a Piazza San Giovanni. Indetto dalla Cgil, vedrà la partecipazione di associazioni, movimenti, giovani studenti e lavoratori che sono stati alla base delle grandi manifestazioni per la fine del genocidio in Palestina e per il disarmo e la pace, in Ucraina e ovunque nel mondo. Questa manifestazione non dirà “semplicemente” no all’ennesima legge di bilancio che elude i grandi temi di sviluppo del Paese a partire da scuola, università, ricerca, cultura.
Sarà una manifestazione per chiedere che il lavoro e quindi il salario tornino ad essere priorità reali dell’Italia che vanta il primato di averli sacrificati negli ultimi 30 anni. Sarà una manifestazione per avanzare con forza la sacrosanta richiesta di un fisco giusto e quindi progressivo, come dice la nostra Costituzione e far pagare a chi è più ricco quello che deve pagare (semplice no?) così come di una sanità per tutti e pensioni adeguate al costo della vita. Ma sarà prima di tutto una manifestazione per dire no alla prima finanziaria di guerra del nostro paese. Perché in guerra rischiamo di andarci davvero e non per procura. Per prepararci alla guerra “ibrida” EuroNato vs Russia (sempre più probabile perché auspicata da tutti gli attori in gioco) assecondiamo ancora una volta il capitalismo finanziario che ha trovato la nuova frontiera della redditività a breve termine: le armi.
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Siamo riusciti nell’incredibile risultato di aver accettato che si può derogare alle stupide regole della governance austeritaria dell’Europa, già lontana anni luce dalla scelta lungimirante del Pnrr e dalla risposta coordinata al Covid, non per l’istruzione e la ricerca, come chiedevamo già ai tempi della purtroppo fallita strategia di Lisbona, ma per le armi. E per produrre armi taglieremo scuole e ospedali. Non è retorica, è quello che da mesi le vestali del capitalismo in armi ci spiegano dai banchi della Nato. Armi che non hanno nulla a che vedere con la costruzione di un vero sistema di difesa europeo, armi che verranno prevalentemente acquistate dagli Stati Uniti che ne producono e ne produrranno sempre più di noi. Armi che già vengono considerate un fattore di crescita economica nei bollettini della Bce Dopo le enormi manifestazioni per dire no al genocidio, in cui abbiamo scoperto come paese che non siamo stati noi a liberare la Palestina ma il contrario, è ora di fare il passo successivo: costruire un unico movimento di popolo per la pace, il lavoro e la democrazia, che sempre sono stati insieme dalla fine della Seconda guerra mondiale e che ora sono contemporaneamente a rischio. La costruzione del nemico interno ed esterno è un indicatore esemplificativo.
Il fatto è che la destra, nella parte del mondo che governa, non prova nemmeno più a promettere alle persone un mondo migliore. La loro arma, a partire da Trump, non è più quella, per costruire il consenso, di promettere maggior benessere e un futuro vivibile. L’arma (ancora una volta) è quella della paura che senza di loro le cose potrebbero peggiorare, e si alimenta di nemici veri e immaginari, come le migliaia di giovani che hanno manifestato e manifestano in Italia e nel mondo per la Palestina libera e contro tutte le guerre. Trump non esita a mostrarsi, tramite l’Intelligenza Artificiale, su un aereo che fa piovere merda sui giovani che manifestano. E intanto, nel mondo reale, picchia, bastona, incarcera, e deporta manu militari migliaia di migranti, giovani, vecchi, bambini. E taglia i fondi alle università, e fa la guerra a tutti i media che osano criticarlo. Il mondo che amano è costituito da individui uno contro l’altro, impegnati a difendere i privilegi, o le briciole di un benessere orami sfuggente, contro i loro nemici, esterni, la Russia, la Cina, e interni, ovvero quelli che pretendono di prendere la parola per aver voce in capitolo su loro futuro e sul futuro del mondo.
Allo stesso modo, nel nostro paese la presidente del Consiglio e i suoi mazzieri che imperversano sui media mainstream sono quotidianamente impegnati a delegittimare ogni forma di dissenso, a partire da quello dei movimenti di questi mesi e della CGIL, con una particolare violenza contro il suo segretario generale. Questa situazione è già ben oltre una normale dialettica politica, come qualcuno ha provato a ripetere in questi mesi e non solo nel campo della destra. Il dl Sicurezza, le annunciate misure di controllo diretto sulle università, la cancellazione sulla Rai di programmi autenticamente informativi, l’oscuramento e la manipolazione permanente rappresentano una deriva chiarissima. Tuttavia, indignarsi non è sufficiente, come non lo è la denuncia, se non riusciremo a connettere la grande questione delle libertà democratiche con la grande questione della svalutazione sociale del lavoro.
La finanziaria è miserabile, priva di politiche industriali, necessarie a uno sviluppo civile e non inquinante – la fine del Green Deal come motore di sviluppo, e la scelta della crescita attraverso le armi, sono ben esemplificate dal passaggio di Cingolani da ministro dell’ambiente a capo di Leonardo. Non affronta i problemi della disoccupazione giovanile e della povertà crescente, ma cerca di costruirsi con qualche ridicola mancia il consenso dei ceti medi, per garantire loro, per lo meno a parole, che non cadranno in povertà. Un tentativo di comprare tempo fino alle prossime elezioni cercando di occultare le questioni reali. Con questo prezzo dell’energia già insostenibile, con tutte le risorse drenate dalle armi (volutamente non parliamo di investimenti in difesa), la condizione di vita peggiorerà per tutti, perché i salari continueranno a ridursi e il welfare del nostro paese destinato a collassare. Perché senza risorse e perché reso insostenibile dalla curva demografica. Nell’inverno demografico europeo (avremo bisogno di milioni e milioni di nuovi cittadini da qui al 2050) l’Italia, infatti, vanta un primato speciale.
Il fallimento più evidente della Meloni, donna, madre, cristiana, e dei suoi accoliti che vogliono mettere al bando i migranti magari “reimmigrandoli” per evitare, come dicono loro, la sostituzione etnica, è il calo record della natalità nei primi mesi del 2025, rispettò al periodo corrispondente del 2024, 13000, 6,3 % in meno. Magari inventeranno che è colpa della cultura “woke”, e non del fatto che i salari non bastano, che il lavoro è precario, che non si riesce a trovare casa, che i servizi a supporto delle le donne che lavorano sono insufficienti.
Per far nascere più bambini occorre avere un’idea del futuro che li aspetta e del futuro del mondo in cui vivranno. Mentre con la paura si tengono a bada gli individui, mentre il lavoro è frammentato e disperso, per costruire il futuro è necessaria l’azione collettiva, mettersi insieme e insieme costruire progetti e proposte. Questo sta di nuovo accadendo.
È in atto nel mondo una grande presa di parola delle nuove generazioni. Dagli Stati Uniti, all’Europa, alla Turchia, al Marocco, all’Italia. Un elemento in comune: non rassegnarsi ad un mondo ingiusto, che tratta come merci la terra, la casa, il lavoro e persino la democrazia, che investe sulle armi, invece che su scuole e salute, che assiste indifferente ai disastri provocati ogni giorno dal riscaldamento climatico, che fa crescere invece che contrastare le diseguaglianze, che permette che la maggior parte delle ricchezze mondiali e le decisioni sul loro uso siano nelle mani di un pugno di oligarchi, più o meno tecnologici. Se si ascoltano le voci e si leggono i cartelli (modo bellissimo di manifestare) delle centinaia di migliaia di persone scese in piazza (non solo nelle enclave liberali) nel No Kings day, si scopre che c’è molta più consapevolezza di ciò che pensiamo sulle cause vere del trumpismo; sulla condizione di sofferenza di milioni di lavoratrici e lavoratori americani e sulla necessità di saldare quella sofferenza, che ha portato tanti a votare Trump, con la spinta libertaria delle università, con gli studenti che per primi quando ancora c’era Biden si sono mobilitati (e sono stati silenziati) contro il genocidio in Palestina.
Per molti in quelle manifestazioni è tempo di pensare ad uno sviluppo che non può basarsi su una crescita infinita alla ricerca di nuove frontiere, che capitalismo e colonialismo non possono più essere il biglietto da visita dell’Occidente nel resto del mondo. Anche perché il resto del mondo è tanto più dell’Occidente, come dimostra l’oggettiva ascesa non solo della Cina ma di tutto il Sud-est asiatico dal punto di vista scientifico, tecnologico, produttivo. Ma soprattutto la cosa davvero sorprendente ed entusiasmante è la consapevolezza di tante e tanti che la crisi delle democrazie occidentali a partire da quella Usa si può risolvere solo con una presa di parola dal basso, solo con la costruzione di nuovi spazi pubblici, nuovi spazi comuni fuori dai perimetri esistenti sempre più asfittici e che anche i sindacati americani così come il partito democratico con questa richiesta devono fare i conti.
Ecco troviamo importanti analogie con quello che accade oggi nel nostro paese. Abbiamo visto in piazza milioni di persone catalizzate dal simbolo della Sumud Flotilla, abbiamo visto il più grande sindacato italiano (non senza difficoltà) entrare in sintonia e sostenere quel movimento. Abbiamo visto e percorso una grandissima marcia Perugia-Assisi come non si ricordava dal 2001, non a caso dopo Genova e l’attentato alle torri gemelle, una meravigliosa processione laica come è stata correttamente definita. Abbiamo visto di nuovo, dopo gli incontri di papa Francesco, i movimenti popolari riuniti su invito della Chiesa cattolica, sotto l’egida delle tre T: Tierra, Techo y Trabacho (Terra, Tetto e Lavoro). Ci aspettiamo che nelle prossime settimane siamo tutti capaci (sindacati, partiti, movimenti laici e cattolici) di costruire dal basso un cammino che porti ad una alternativa politica, perché c’è sempre una alternativa, sempre un altro mondo è possibile di pace, di lavoro libero, di dignità per tutte e tutti. Spetta a noi costruirlo.