La lattera aperta al Pd
Il Partito Democratico ascolti i giovani in corteo
Una lettera aperta chiede al Partito democratico: rifuggiamo dalla politica teatrino del botta e risposta, apriamoci ai movimenti, facciamo ciò che la sinistra fece dopo le mobilitazioni del lungo ‘68 italiano
Politica - di Redazione Web
Cara Elly,
quello che è avvenuto e sta avvenendo nelle piazze d’Italia e del mondo ci dice che la speranza di un mondo migliore vivrà finché ragazze e ragazzi reagiranno alla sopraffazione del più forte sul più debole, alle ingiustizie, alla prepotenza, alla miseria di tanti e alla ricchezza di pochi, al saccheggio del pianeta, rifiutando di accettare il meno peggio, il compromesso al ribasso, lo status quo che rende immobili e perpetua le ingiustizie. Tutto questo c’era e c’è in queste piazze. Una consapevolezza profonda e inaspettata da chi vede il mondo con le lenti lente e opache della nostra politica, per la quale è più facile minimizzare, o persino criminalizzare, in sostanza ritirarsi di fronte alla urgenza, alla potenza di queste domande e di questa consapevolezza che si riconosce sempre meno nei partiti, in una democrazia che si estingue per una maggioranza di donne e uomini che non capiscono più perché o per chi andare a votare.
Il re è nudo. La politica non sa che fare e soprattutto la sinistra, noi non sappiamo che fare. E si ritorna al teatrino quotidiano del botta e riposta, paralizzati dal compromesso di un partito che vuol tenere insieme spinte al cambiamento con un riformismo che, dopo cent’anni di fallimenti, oramai non può più riformare nulla, perché finanza ed economia governano la politica, rendendo la democrazia un simulacro e la giustizia sociale un’illusione. Capaci di paradossi come stare insieme con Matteo Renzi autore del jobs act contro il quale abbiamo sostenuto il referendum, siamo incapaci di offrire una visione a chi porta in piazza la passione e la compassione e insieme il rifiuto di un mondo, di un modello economico che si spegne nelle sue contraddizioni che generano diseguaglianze non più sopportabili.
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Loro sono la speranza e il futuro. Dall’apertura verso l’altro, dalla consapevolezza che la sua sorte è anche la nostra sorte, può svilupparsi un immaginario nuovo. Occorre che a questo immaginario la politica proponga una meta, una speranza – sia materiale (salari, Stato sociale, salute, istruzione), sia simbolica. Gli uomini e le donne hanno bisogno di “vedere” un futuro possibile, di vivere una speranza che sconfigga la miseria del quotidiano, per troppi umiliante, misero, indegno. In questo paese, dove regna il disordine, il cinismo, l’incompetenza, per le strade circola l’intelligenza, la passione, la speranza insieme con la rabbia di fronte alla prepotenza e all’impotenza di chi dovrebbe fare e non fa. È questa l’”egemonia culturale” di cui il nostro tempo ha bisogno.
È questo che la politica deve capire, raccogliendo la spinta delle piazze, trasformandola in luoghi di partecipazioni stabili e aperti, rinnovando il linguaggio, le forme stesse dell’organizzazione politica che siano in grado di parlare e soprattutto ascoltare. Ascoltare questi ragazzi, i precari, gli esclusi, il mondo del lavoro che soffre, dotandosi di piattaforme sociali credibili ed innovative, diventando capaci di alimentare il sogno di un mondo diverso e migliore. Poniamoci in ascolto, rifuggiamo dalla politica teatrino del botta e risposta che allontana l’interesse delle persone, apriamoci ai movimenti, facciamo ciò che la sinistra fece dopo le mobilitazioni del lungo sessantotto italiano. È un lavoro di lunga lena, d’immersione nella società, ma è il solo lavoro che paga. Non esistono scorciatoie.
Se la bandiera del Vietnam era il simbolo della rivoluzione che contagiava l’intero pianeta, quella della Palestina è il simbolo delle vittime che cercano disperatamente di sopravvivere. Il sumud, la persistenza tenace è l’affermazione della vita e della lotta. Collocata nei contesti metropolitani, nella prospettiva no future dei figli della generazione precaria resi ancora più precari dal collasso climatico e dalla guerra, questa tenacia indica una strada. Non lasciamoli soli perché non solo perderemmo un’occasione storica, ma perderemmo noi stessi.
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