Il nuovo Regolamento rimpatri

Il piano illegale dell’Europa per disfarsi dei rifugiati, Bruxelles vuole copiare lo scellerato patto tra Londra e Ruanda

Un rapporto del Consiglio d’Europa lancia l’allarme sull’esternalizzazione delle procedure di rimpatrio e di asilo contenuta nelle proposte della Commissione UE. Altissimo il rischio di violazione dei diritti umani e delle convenzioni internazionali

Editoriali - di Gianfranco Schiavone

12 Ottobre 2025 alle 08:00

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Foto LaPresse/Andrea Alfano
Foto LaPresse/Andrea Alfano

Il 4 settembre scorso il Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa Michael O’Flaherty ha pubblicato un rapporto dal titolo “Externalised asylum and migration policies and human rights law  che si pone l’obiettivo di esaminare “le aree chiave in cui l’esternalizzazione delle politiche di asilo e migrazione da parte degli Stati membri del Consiglio d’Europa può portare a violazioni” (pag.5) dei diritti umani.

Il rapporto esamina le procedure di rimpatrio esternalizzate, ovvero condotte al di fuori del territorio UE direttamente da paesi europei o in collaborazione con paesi terzi, nonché le procedure di asilo esternalizzate, ovvero quelle che prevedono che l’esame delle domande di asilo si svolga fuori dall’Unione Europea ma sotto giurisdizione di uno stato membro, come nel caso del protocollo Italia-Albania, o il completo trasferimento a stati extra-UE della responsabilità di esaminare le domande. Le riflessioni e le raccomandazioni contenute nel rapporto sono di bruciante attualità: il Parlamento Europeo ha infatti avviato l’analisi della proposta della Commissione Europea di adottare un nuovo Regolamento sui rimpatri che sostituisca la vigente Direttiva 115/08/CE. Parimenti sono già in discussione i due testi presentati dalla Commissione Europea con i quali si propone di modificare la nozione di paese terzo sicuro (di cui avevo scritto sull’Unità del 22 maggio 2025), nonché quella di paese di origine sicuro.

La nuova proposta di Regolamento sui rimpatri autorizza gli Stati membri a concludere degli accordi con paesi terzi in modo che essi possano diventare paesi di ritorno anche se non sono né paesi di origine degli espulsi né hanno con gli stessi alcun legame. Salvo un generico obbligo che siano “rispettati gli standard e i principi internazionali in materia di diritti umani in conformità con il diritto internazionale, compreso il principio di non respingimento” nessun vincolo sostanziale viene posto ad effettiva tutela di ciò che può avvenire alle persone espulse in tali Paesi. L’accordo con il paese terzo cui affidare i migranti da espellere potrebbe anche non venire ratificato dai parlamenti nazionali rimanendo al mero livello di non trasparenti accordi intergovernativi.

Secondo il rapporto i rischi di tale esternalizzazione sono altissimi perché mentre gli stranieri espulsi “che rimangono sul territorio degli Stati membri, sono coperte da alcune tutele dei diritti umani, ad esempio ai sensi della Carta europea dei diritti sociali o del diritto derivato dell’UE, tali tutele non si applicano a livello extraterritoriale. Di conseguenza, il rischio di violazioni dei diritti umani per una persona che non può essere rimpatriata da un hub di rimpatrio è maggiore” (pag.27). Tali rischi sono già emersi con chiarezza già nel caso del Protocollo italo-albanese in base al quale sono stati aperti i centri di Gjader e di Shengjin non c’è alcun trasferimento di responsabilità a paesi terzi, bensì permane la giurisdizione italiana. Come è stato evidenziato dalla maggior parte dei giuristi è proprio l’irriducibile diversità che intercorre tra una procedura condotta nel territorio dello Stato e la stessa procedura condotta in regime extra-territoriale a determinare disparità non sanabili in termini di effettività di accesso alle garanzie fondamentali, specie per ciò che riguarda il diritto di difesa, con seri rischi di violazione almeno degli articoli 3 e 24 della Costituzione. Nel caso ancor più radicale del pieno trasferimento della responsabilità ad uno stato terzo di eseguire il rimpatrio di un cittadino straniero “per conto” di un paese UE, l’impossibilità di garantire procedure e standard analoghe appare macroscopica. Per usare le parole del rapporto se “i centri di detenzione amministrativa all’interno degli Stati membri hanno talvolta regimi problematici; replicarli a livello extraterritoriale riprodurrà anche i rischi di violazione dei diritti umani” (pag.31).

Analoghe rilevanti considerazioni sono contenute nel rapporto in relazione all’estrema difficoltà nel garantire standard adeguati di esame delle domande di asilo in regime extraterritoriale. Osserva inoltre il rapporto che “se i sistemi di asilo degli Stati membri presentano già significative debolezze, questi rischi vengono trasferiti e potenzialmente estesi alla procedura esternalizzata. Ciò è tanto più probabile quando le iniziative di esternalizzazione sono introdotte per applicare procedure di frontiera o altre procedure accelerate che di per sé riducono fortemente le garanzie contro il respingimento e altre gravi violazioni dei diritti umani” (pag.21). Di particolare rilievo infine risultano le osservazioni del rapporto in relazione a quella forma di esternalizzazione del diritto d’asilo su cui si sta concentrando in modo spasmodico l’attenzione politica che è rappresentata dalla proposta di realizzare in modo massiccio e generalizzato trasferimenti coattivi di richiedenti asilo già arrivati in Europa verso paesi terzi extra europei che accettano di esaminarne le domande di asilo al posto del paese europeo di invio. Il rapporto ricorda che nel diritto internazionale sui rifugiati la responsabilità primaria all’esame di una domanda di asilo spetta sempre al paese in cui la domanda viene presentata e che “le eccezioni a questo principio non sono necessariamente illegali, ma sono sempre state interpretate in modo restrittivo”.

Richiamando le consolidate posizioni di UNHCR (UNHCR, Accordi internazionali per il trasferimento di rifugiati e richiedenti asilo, 7 agosto 2025) il rapporto sottolinea come affinché “gli accordi di trasferimento siano legittimi e appropriati, dovrebbero essere finalizzati a rafforzare la condivisione delle responsabilità e la cooperazione internazionale o regionale, contribuendo al miglioramento dello spazio di protezione complessivo. Al contrario, i tipi di procedure di asilo esternalizzate che alcuni Stati membri del Consiglio d’Europa hanno recentemente perseguito sembrano escludere ampi gruppi di persone dal richiedere protezione sul loro territorio e sono concepiti principalmente come deterrenti e per spostare le responsabilità, in contrasto con la Convenzione sui Rifugiati del 1951 e con i principi di cooperazione e solidarietà internazionale. Questo sarebbe stato il caso soprattutto se l’accordo tra Regno Unito e Ruanda fosse stato attuato”.

La Commissione Europea (Bruxelles, 20.5.2025 COM (2025) 259) ha presentato una proposta di modifica del Regolamento (UE) 2024 n. 1348 sulle procedure in materia di asilo (applicabile da giugno 2026) e che è già all’esame del Parlamento Europeo. La proposta ha l’obiettivo di allargare i casi in cui è possibile applicare la nozione di paese terzo sicuro nel quale rinviare richiedenti asilo che sono già in Europa. In base alla vigente normativa un paese terzo può essere considerato sicuro se offre una protezione effettiva in quanto ha “ratificato e rispetti la convenzione di Ginevra nei limiti delle deroghe o limitazioni previste da tale paese terzo, autorizzate a norma della convenzione” (art. 59 nuovo Reg. procedure). Il testo della proposta lascia la possibilità che gli Stati mantengano limitazioni geografiche all’applicazione della Convenzione e omette ogni riferimento alla necessità che il paese terzo adotti una legislazione analoga a quella europea sulla protezione sussidiaria in modo da fornire una reale protezione in particolare alle vittime dei conflitti armati. Il rinvio di un richiedente in un paese terzo supposto sicuro, a legislazione vigente, è possibile solo se la persona “ha con il paese terzo in questione un legame in virtù del quale sarebbe ragionevole che vi si recasse” (art. 59 par.5 lettera b). Si tratta di una nozione che ha finora trovato ben scarsa applicazione anche perché del tutto carente sotto il profilo del requisito della determinatezza della fattispecie.

La proposta di riforma avanzata dalla Commissione non solo non sana questa carenza ma prevede di inserire altre due fattispecie che legittimerebbero l’invio del richiedente in paesi terzi: 1) quando il richiedente ha transitato nel Paese terzo in questione; 2) quando esiste un accordo o un’intesa con il Paese terzo interessato che impone l’esame del merito delle domande di protezione effettiva presentate dai richiedenti soggetti a tale accordo o intesa. La prima proposta di nuova fattispecie, sfidando ogni logica, presuppone di per sé la sussistenza di un legame tra il richiedente e un paese terzo in ragione del solo transito di tale paese, anche se la persona non ha con esso alcun legame. Emerge evidente che lo scopo che si vuole perseguire è solo quello di cercare di impedire alla quasi totalità dei richiedenti asilo di poter chiedere asilo in Europa dal momento che, a meno che i richiedenti non fuggano proprio da uno Stato confinante con l’Unione (come è stato nel caso dell’Ucraina) tutti hanno dovuto transitare da altri paesi prima di giungere nel vecchio continente.

La seconda proposta renderebbe possibile realizzare accordi con qualsiasi stato del mondo sia disponibile a prendersi i richiedenti asilo che semplicemente i paesi europei non vogliono in cambio di ingenti somme di denaro (quale altra motivazione potrebbe infatti esserci?) creando in tal modo un mercato globale “legale” di vendita di esseri umani. Ritengo non ci sia nessuna differenza sostanziale tra la nuova proposta della Commissione Europea e il Protocollo che il Regno Unito tentò con il Ruanda; identica è infatti la finalità di trasferire in modo sistematico il maggior numero possibile di richiedenti, identica è la volontà di sbarazzarsi dei propri obblighi giuridici. Gli accordi non avrebbero la finalità di un rafforzamento del sistema internazionale di protezione, anche in termini di una più equa redistribuzione generale delle presenze dei rifugiati, e neppure quella di evitare situazioni di pressione eccessiva su alcuni paesi.

Sul nuovo Reg. rimpatri c’è un interesse politico a correre e i tempi saranno comunque brevi, ma in particolare sulla questione del paese terzo sicuro la Commissione vuole chiudere in qualche mese, senza discussioni e approfondimenti. Le forze politiche che siedono in Parlamento Europeo e che si rifanno ai valori fondanti l’Unione Europea avranno la capacità di squarciare la cortina del silenzio e costruire una maggioranza trasversale che rigetti una proposta così grave e inaccettabile per la residua dignità dell’Europa?

12 Ottobre 2025

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