Segreteria nazionale Cgil
“Sulla patrimoniale la destra di indigna ma gli italiani stanno con noi”, intervista a Christian Ferrari (Cgil)
«Il ritorno all’austerità e la corsa al riarmo non porteranno nulla di buono. Vanno fermate le guerre, che non solo causano sofferenze indicibili alle popolazioni coinvolte, ma sono tra i fattori principali della crisi economica e industriale»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Christian Ferrari è membro della Segreteria nazionale della Cgil
Ieri è subentrata una novità in Medioriente, il cessate il fuoco non è più solo una speranza, ma sembra un fatto imminente. Quanto durerà è tutto da vedere, ma intanto sta succedendo qualcosa di importante e di inaspettato.
Evidentemente, la distruzione di Gaza e la condotta genocidiaria del Governo israeliano erano talmente vicine al punto di non ritorno che perfino l’Amministrazione Trump ha deciso di intervenire. Il movimento pacifista non ha aspettato due anni per rendersi conto di quanto di inaccettabile stava accadendo. Ed è mobilitato dal 2023. In un crescendo, man mano che lo sterminio proseguiva, le fila di chi si opponeva si sono ingrossate sempre di più, fino alla partenza della Global Sumud Flotilla, che ha fatto scattare la scintilla. Due milioni hanno partecipato allo sciopero generale di venerdì, un altro milione ha manifestato sabato a Roma. Come è stato sottolineato, una cosa simile non si vedeva dai tempi della nostra manifestazione del Circo Massimo che impedì l’abolizione dell’articolo 18 tentata dal Governo Berlusconi, e dell’enorme movimento pacifista contro la guerra in Iraq. La vera novità è l’affacciarsi sulla scena pubblica di una nuova generazione che scopre l’impegno mobilitandosi per la pace e in difesa del martoriato popolo palestinese. Ne siamo sorpresi fino a un certo punto, perché un segnale chiaro era arrivato già ai nostri referendum: nella fascia di età tra i 18 e i 34 anni, infatti, il quorum è stato superato. Questo smentisce la narrazione sul disimpegno, la passività, la rassegnazione dei giovani. Quando sono in gioco grandi questioni – come la pace o il diritto a un lavoro sicuro, libero e dignitoso – le ragazze e i ragazzi rispondono eccome. Sono loro che stanno accendendo la luce in un tempo cupo come quello che stiamo vivendo.
E adesso cosa succederà a quel movimento?
Sono convinto che la mobilitazione proseguirà, a partire dalla partecipazione alla Marcia Perugia-Assisi di domenica prossima. La pressione internazionale non può fermarsi proprio ora, anche perché l’opinione pubblica ha il fondamentale compito di presidio e vigilanza sul piano dell’Amministrazione americana. Benissimo il cessate il fuoco, ma se si vuole aprire davvero una prospettiva di pace, non si può prescindere dal riconoscimento dello Stato palestinese, e non si può non mettere quel popolo nelle condizioni di prendere in mano il proprio destino. Per noi, dunque, la bussola resta: “due Popoli, due Stati”, che possano convivere in sicurezza, autodeterminazione e libertà. Se invece si pensa di approfittare di quella immane tragedia per fare affari, magari attraverso un piano di miserabile speculazione immobiliare e finanziaria, o di applicare uno schema neocoloniale fuori dal tempo e dalla storia, allora si preparano altre tragedie, che invece vanno in ogni modo prevenute e scongiurate. Lo diciamo da sempre e lo ribadiamo a ridosso del secondo anniversario dell’orribile attacco terroristico con cui Hamas ha trucidato oltre 1000 cittadini israeliani. Proseguendo i bombardamenti feroci e indiscriminati e l’occupazione di Gaza e della Cisgiordania, non si rende giustizia a quelle vittime, ma si somma all’orrore un orrore senza fine, che prepara il terreno più fertile per future stagioni di guerra e terrorismo.
Il sindacato faccia il sindacato, hanno sentenziato i censori politici e mediatici.
Quando scioperiamo contro la precarietà e i bassi salari, ci si dice che lo sciopero è immotivato, perché le ricette del Governo non hanno alternative; quando scioperiamo in difesa della Flotilla e contro il genocidio, ci si spiega che dovremmo scioperare contro la precarietà e i salari bassi. Non c’è invece alcuna contraddizione tra il tema della pace e quello del lavoro, sono due aspetti indissolubilmente intrecciati. Li tiene insieme, innanzitutto, la Costituzione che ripudia la guerra e fonda sul lavoro la nostra Repubblica.
Altra accusa, rivolta a Landini: ha cercato di recuperare il terreno “conquistato” dall’Usb…
Leggere quanto sta avvenendo con le logiche della competizione tra sigle sindacali vuol dire non comprendere il sentimento e la portata di questa enorme mobilitazione. La Cgil ha sostenuto fin dal primo momento la missione umanitaria della Flotilla, sia contribuendo a raccogliere aiuti, sia partecipando alle manifestazioni che, a cominciare da quella di Genova, hanno accompagnato la sua partenza. Tutte partecipatissime, una sorta di preludio di quello che sarebbe successo dopo. In accordo con i responsabili di quella iniziativa, abbiamo annunciato che avremmo indetto uno sciopero generale se fossero stati fermati o, peggio, colpiti. Siamo stati di parola.
E abbiamo manifestato anche ieri, davanti al Colosseo, quando un’altra missione, della stessa natura, è stata di nuovo sequestrata dall’esercito israeliano, violando per l’ennesima volta il diritto internazionale. Detto ciò, siamo perfettamente consapevoli che questo movimento si esprime con una forte autonomia, che non aspetta nessuno per agire; e che agisce non appena ne ha l’occasione, perfino a prescindere da chi – di volta in volta – quell’occasione la convoca e la promuove. Su Gaza, sulla pace, sul no al riarmo c’è una domanda enorme di partecipazione dal basso nella nostra società. E c’è di più: come ha sostenuto il sociologo Lorenzo Zamponi, “c’è anche, in queste piazze, un vedere la sofferenza del popolo palestinese come metafora dell’ingiustizia presente nel mondo”. La Cgil condivide profondamente i valori delle persone che sono scese in piazza, e sente anche il dovere di difenderle, soprattutto le ragazze e i ragazzi, dal tentativo di schiacciare sulle sparutissime frange violente una mobilitazione così imponente, con l’evidente obiettivo di soffocarla nella culla, come avvenuto tante volte nel passato. Questo movimento non c’entra nulla con la violenza, al punto che, sabato 4 ottobre, i provocatori sono stati fischiati e allontanati. Infatti, sono andati a fare danni lontano dal corteo e dalla piazza.
La presidente del Consiglio ha irriso lo sciopero: cosa non si fa per un weekend lungo.
Parole ignobili, che offendono quanti rinunciano a una giornata di salario non per rivendicare i propri diritti, che naturalmente è sacrosanto, ma per difendere i diritti di chi – pur geograficamente lontano – viene considerato vicino come fosse un fratello. Mi risulta davvero inconcepibile come si possa non empatizzare con chi, armato solo del proprio corpo, attraversa il Mediterraneo e prova – a proprio rischio e pericolo – a rompere anche simbolicamente un assedio medievale che sta affamando un intero popolo. Evidentemente le parole che Giorgia Meloni pronunciò nel discorso di insediamento alle Camere, annunciando simpatia anche verso i ragazzi che sarebbero scesi in piazza contro il suo Governo, erano parole vuote. Oppure, più banalmente, c’è una precisa concezione del potere, che si vuole esercitare senza intralci, al punto da minacciare provvedimenti draconiani per negare l’esercizio di una libertà fondamentale come il diritto di sciopero. Comunque, qualunque scelta intendano compiere, non potranno mai cancellare una semplice verità: l’Esecutivo, non solo si è guardato bene dal sanzionare il Governo israeliano, ma ha addirittura proseguito la cooperazione militare con quel Paese. Il movimento pacifista ha squarciato il velo su questa condotta ingiustificabile, e per questo si è meritato gli strali della Presidente del consiglio.
Ieri l’Unità ha aperto titolando sulla vostra proposta di un contributo di solidarietà dai super ricchi, per finanziare lo stato sociale e restituire il drenaggio fiscale. Il 25 ottobre sarete di nuovo in piazza san Giovanni, con quali proposte?
La nostra manifestazione terrà insieme pace, democrazia e lavoro, minacciati dal tentativo di convertire l’economia italiana e quella europea in un’economia di guerra. Il ritorno all’austerità e la corsa al riarmo non porteranno nulla di buono. Va fatto il contrario: vanno fermati i conflitti in essere, che non solo causano sofferenze indicibili alle popolazioni coinvolte, ma che sono tra i fattori principali della crisi economica e industriale che colpisce anche il nostro Paese. Basti pensare ai costi energetici che si scaricano su famiglie e imprese. Oltretutto, le centinaia di miliardi che si vogliono destinare alle armi saranno inevitabilmente sottratte a salari, pensioni, sanità, istruzione, politiche industriali e investimenti. Il modello di sviluppo fondato sul mercantilismo, sull’austerità e sulla svalutazione del lavoro, già in crisi da tempo, è ormai insostenibile sia socialmente che ambientalmente. È una tragica illusione pensare di salvarlo attraverso l’economia di guerra.
Da piazza San Giovanni partirà un messaggio molto chiaro: il modello di sviluppo va cambiato radicalmente, mettendo al centro la pace, la lotta alle diseguaglianze, il lavoro di qualità e ben retribuito, il welfare pubblico e universalistico, la transizione digitale ed ecologica del sistema produttivo. E lo si può fare solo andando a prendere le risorse dove sono, per esempio chiedendo un contributo di solidarietà all’1% della popolazione più ricca. La destra sta reagendo con indignazione a questa proposta di puro buon senso. Per loro è assolutamente normale prendere 25 miliardi di drenaggio fiscale da lavoratori e pensionati, ma scandaloso ottenere 26 miliardi da chi, in questi anni di emergenza salariale e sociale, ha macinato profitti e rendite senza precedenti. Siamo convinti che la larga maggioranza degli italiani sia d’accordo con noi.