Intercettazioni, ipotesi e neppure un reato

La bufala dell’inchiesta su Milano: tante intercettazioni, nessun reato

È un primo segnale per il partito delle Procure? Speriamo. Se però non si interviene legislativamente, togliendo dalle mani di quel partito alcuni strumenti che sono troppo potenti per essere lasciati a disposizione dei Pm la forza resterà sempre dalla sua parte. La ragione no.

Politica - di Piero Sansonetti

22 Luglio 2025 alle 17:00

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Photo credits: Canio Romaniello/Imagoeconomica
Photo credits: Canio Romaniello/Imagoeconomica

L’inchiesta di Milano è finita con l’esplodere di coloratissime bolle di sapone. Sono state tirate fuori un po’ di intercettazioni, qualche testimonianza, molte ipotesi, scombiccherati giudizi, tutte cose che portano a dimostrare l’assoluta innocenza dei colpevoli. Già: l’innocenza dei colpevoli. Si scopre che i politici esposti al ludibrio pubblico in realtà non erano proprio colpevoli di corruzione, ma di “comportamenti corruttivi”, e non è che prendessero mazzette, ma erano arroganti, e non è neppure che violavano le leggi, ma le usavano cinicamente a loro favore e addirittura progettavano di farne delle nuove.

Siamo alle solite. Probabilmente oltre le solite. Il nulla spinto che è alla base di questa inchiesta supera persino le nuvole dell’inchiesta di Genova contro l’ex governatore Toti, costretto a dimettersi per non essere abusivamente tenuto in detenzione, sotto l’accusa di essere salito sulla barca a vela di un miliardario e di avere accettato un finanziamento legittimo e dichiarato al suo partito.. Stavolta niente. Non c’è neppure un euro. Manca lo strumento della corruzione, manca l’oggetto della corruzione, e poi mancano i corrotti e i corruttori. C’è solo la pubblicazione delle intercettazioni di colloqui a ruota libera tra una decina di imputati, e la prova che alcuni di loro facevano pressione perché il loro progetti andassero in porto (mentre è noto che di solito, in politica, i politici onesti fanno pressione perché i propri progetti siano affossati).

A cosa puntava dunque questa nuova inchiesta? A bloccare la cosiddetta legge salva-Milano, che, se approvata, avrebbe reso troppo libera l’iniziativa edilizia privata. E questo è vero. Quella legge (sostenuta in parlamento soprattutto da Fdi) a occhio è una pessima legge. Che privilegia la Milano dei ricchi sulla Milano dei poveri e gli affari dei costruttori sui diritti dei singoli cittadini. Solo che io avevo sempre pensato che toccasse alla politica combattere contro le leggi sbagliate, non alla magistratura. Altrimenti è un gran pasticcio. Cade la distinzione storica tra i poteri e continuamente avviene che un sostituto procuratore si arroga il diritto di cambiare i rapporti politici in una città o in una regione. A Genova il bersaglio era la giunta regionale di centrodestra, che invece è sopravvissuta. Cioè, è caduta sotto il ricatto a Toti ma poi è tornata al potere vincendo le elezioni (anche se pochi mesi dopo il centrodestra ha pagato, probabilmente, con un po’ di ritardo, perdendo clamorosamente le elezioni comunali).

Forse qui a Milano è successa la stessa cosa. E finalmente un partito non ha accettato il diktat del “Pm”. Il Pd finalmente ha preso il coraggio a due mani e si è dissociato dall’asse potentissimo formato dal legame di ferro tra Procure e Cinque Stelle. Una parte della destra, per la prima volta (e va reso atto a Meloni) ha evitato la speculazione e non ha tirato a palle incatenate contro Sala (anche perché poi era difficile sostenere che la salva-Milano non fosse una legge gradita e sponsorizzata dalla destra). E così Sala ha retto all’urto e resta al suo posto. È un primo segnale per il partito delle Procure? Speriamo. Se però non si interviene legislativamente, togliendo dalle mani di quel partito alcuni strumenti che sono troppo potenti per essere lasciati a disposizione dei Pm (penso all’uso scriteriato e diffusissimo delle intercettazioni) la forza resterà sempre dalla sua parte, lo so. La ragione no.

22 Luglio 2025

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