Pugilato
Quando il mondo non si è accorto di un GOAT: il dominio di Oleksandr Usyk, dalla Crimea ucraina a Re assoluto della boxe
L'ultima vittoria contro Dubois a Wembley a 38 anni: il pugile ucraino vale Cristiano Ronaldo o Lewis Hamilton. Chissà quanto famoso sarebbe diventato se fosse stato americano o inglese
Sport - di Antonio Lamorte
Stavamo per perdercelo e non si capisce bene il motivo. Perché Oleksandr Usyk è bravissimo in quello che fa, anzi il più bravo, molto tecnico, di un’intelligenza sportiva superiore, è simpatico, costante e inevitabile come una sentenza. Ha messo i pesi massimi della sua generazione tutti in fila, nel giro di pochi anni li ha sovrastati, superati, surclassati dopo un salto di categoria che a 33 anni non convinceva in molti nell’ambiente. Sabato scorso, in uno stadio di Wembley strapieno a Londra, ha messo a terra per la seconda volta Daniel Dubois. A 38 anni, a fine match, ha detto: “38 is a young guy: è solo l’inizio”. Può essere semplicemente tutto qui: non abbiamo potuto perderci Usyk perché non ce lo ha permesso. Perché vale un Cristiano Ronaldo, vale un Lewis Hamilton.
Lo aveva detto anche lui alla conferenza stampa della vigilia: “Don’t push the horses” invece di “hold yout horses”, espressione idiomatica che in inglese vuol dire: vacci piano. Le sue frasi in inglese sono diventate orami un genere letterario a parte, di culto. È nato a Sinferopoli nel 1987, in Crimea, allora Unione Sovietica, quella dal 2014 occupata dai Russi. Quando nel febbraio del 2022 la Russia ha invaso l’Ucraina, per qualche tempo ha imbracciato le armi, è diventato un simbolo per il suo popolo di cui porta sempre i colori sul ring. Il Presidente Volodymyr Zelensky lo ha ringraziato dopo la vittoria su Dubois “per la forza e l’ispirazione che dai a tutto il Paese con ogni vittoria”. Secondo alcuni retroscena sarebbe stato proprio il presidente a convincerlo a tornare dal fronte al ring come ambasciatore del suo Paese.
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Usyk è cresciuto in una fattoria, fu colpito da polmonite quando era ancora un bambino, fece per un anno dentro e fuori dall’ospedale. Fino a 15 anni ha giocato a calcio, quindi il pugilato. Da dilettante su oltre 300 incontri, poco più di una decina di sconfitte. Campione d’Europa e del Mondo. Alle Olimpiadi del 2012 ha vinto la medaglia d’oro nella categoria dei pesi massimi. Londra, l’Inghilterra: una città e un Paese che hanno segnato tutta la sua carriera. Come la vittoria su Tony Bellew nel novembre del 2018 a Manchester, come la prima contro Anthony Joshua al Tottenham Hotspur Stadium nel settembre del 2021. Usyk è riuscito nell’impresa di unificare tutte le cinture sia nei pesi Cruiser che nei Massimi.
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La categoria regina, quella che non vedeva un campione unificato da 25 anni: l’ultimo era stato Lennox Lewis. Si parla della possibilità di una trilogia ma la doppia sfida con Tyson Fury in Arabia Saudita non aveva lasciato margini di interpretazione. “Non ho motivazione, ho disciplina – ha spiegato in conferenza stampa dopo l’incontro di Londra – La motivazione è temporanea, oggi ce l’hai, domani no. Ma quando io mi sveglio ogni mattina presto per allenarmi io non ho motivazione, ho disciplina. La motivazione è buona ma la disciplina è meglio”. Ha surclassato pugili più alti, grossi, muscolosi, quotati, mediatici. È singolare come ogni volta sia arrivato al match con una grandezza da dover dimostrare ancora una volta e definitivamente.
A Wembley la vittoria è arrivata nella maniera più spettacolare: ha messo a terra Dynamite Dubois al quinto round, davanti a 100mila spettatori, dopo che nel primo match tra i due, l’altra sua vittoria per kot era stata sporcata da un colpo giudicato basso che lo aveva fatto boccheggiare a tappeto. Usyk si era rialzato, aveva ripreso a fare quello che sa fare meglio, aveva risolto la questione. Le polemiche però si erano trascinate fino a oggi, avevano favorito l’organizzazione della rivincita dopo la doppia sfida con Tyson Fury. Un match da 132 milioni di dollari per il campione. Usyk ha soprannominato il suo gancio sinistro, quello fatale, Ivan: “È un nome ucraino, è come un ragazzo che vive in un villaggio e lavora in campagna, un ragazzone grande. È un pugno duro”.
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Ai tempi in cui si sprecano i GOAT per qualsiasi campione, chissà chi sarebbe diventato in termini mediatici Oleksandr Usyk se fosse stato statunitense, o inglese. Anche appassionati di boxe bisticciano ancora per paragonarlo o meno con i grandi pesi massimi del passato. A lui ha importato sempre poco: “I’m very feel”, ha detto in una delle sue frasi ormai emblematiche. È concentrato, freddo, di una durezza mentale unica. 24 incontri da professionista, soltanto vittorie, 15 per ko. Prestazioni memorabili, look indimenticabili. È considerato ormai il pugile più forte Pound for Pound di questi anni, non ci ha permesso di dimenticarlo perché le sue vittorie lo hanno portato al livello dei più grandi sportivi di questa generazione. E ormai non appare neanche più fuori luogo paragonarlo a Muhammad Ali o George Foreman, a Mike Tyson o Lennox Lewis.
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