Urge un dibattito nelle scuole
La visione identitaria della storia e la libertà di insegnamento
Si devono forse educare i ragazzi a un’idea della superiorità della propria cultura sulle altre? Su questo, e non solo, si dovrebbe aprire un dibattito pubblico nelle scuole.
Cultura - di Paolo Saggese
In questi ultimi mesi, a seguito della pubblicazione dei Materiali per il dibattito pubblico delle Nuove Indicazioni nazionali della Scuola dell’infanzia e del I Ciclo d’Istruzione, che risale all’11 marzo, e quindi di un secondo testo provvisorio, pubblicato l’11 giugno, nonché del testo definitivo del 7 luglio, preceduto dal Parere del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione (Cspi) del 27 scorso, si è giunti all’elaborazione del testo definitivo delle Indicazioni nazionali, che sono un documento particolarmente importante per il futuro del Sistema educativo di istruzione e formazione per i prossimi decenni. Si attende a questo punto il parere del Consiglio di Stato.
Come è noto, si tratta di “Indicazioni”, che hanno suscitato molte perplessità tra i sindacati, tra gli studiosi, nel mondo della scuola e dell’Università, in parte sintetizzate nel “Parere” non vincolante del Cspi, che, pur essendo un documento cauto, ha posto in evidenza alcuni aspetti problematici che avrebbero necessitato di una ulteriore revisione del testo. Tuttavia, in base ad un’analisi non sistematica ma fondata su alcune evidenze, risulta che le richieste del Cspi sono state accolte soltanto parzialmente, in particolare relativamente alla “declinazione delle conoscenze”, che rischiano di far diventare queste “Indicazioni” dei veri e propri “Programmi”. Il Cspi, nel “Parere” pubblicato dal Mim il 30 giugno, affermava: “Inserire le conoscenze in un box in appendice. Le conoscenze inserite dopo gli obiettivi rischiano di essere considerate prescrittive e non suggerite, come invece è giustamente indicato dalla Commissione incaricata della redazione del documento. La declinazione delle conoscenze rinvia alla logica del programma. Un eventuale utilizzo pedissequo delle conoscenze può stridere con l’autonomia scolastica […]” (p. 3).
Se si prende il testo delle “Indicazioni nazionali” nella versione definitiva, ad esempio a p. 56, le “Conoscenze” seguono ancora gli “Obiettivi” e da p. 57 sono elencati in modo particolareggiato gli argomenti. Le “conoscenze” non sono inserite in “un box in appendice”. Gli estensori scrivono subito prima: “L’elenco di argomenti che segue intende semplicemente aiutare l’insegnante fornendogli la traccia di un possibile percorso didattico. Restando egli libero, naturalmente, di apportarvi le integrazioni e le modifiche che riterrà opportune, avvalendosi eventualmente di tutte le fonti documentarie, scritte e non, utili a illuminare aspetti e vicende del passato” (p. 57). Tale precisazione non è, tuttavia, sufficiente, secondo il Cspi, che richiedeva l’inserimento delle “Conoscenze” in un apposito box in appendice.
Inoltre, il ritorno alla scuola delle conoscenze è stigmatizzato sempre nella stessa pagina del “Parere”: “L’accento marcato sulle conoscenze fa emergere […] una scuola dell’insegnamento trasmissivo, che contraddice non solo la funzione docente – come delineata dalla normativa – ma limita e comprime la ricchezza delle competenze che a detta funzione si riconnette”.
A proposito della disciplina di “Storia”, si precisa ancora: “L’incipit, tra l’altro, potrebbe essere percepito come polarizzante e la finalità dell’insegnamento della ‘Storia’ sembrerebbe accentuare la dimensione della disciplina come strumento per la costruzione di una identità nazionale più che come approccio tipicamente disciplinare” (p. 6). L’incipit “Solo l’Occidente conosce la Storia” è stato criticato da tantissimi studiosi e associazioni sindacali e di intellettuali. D’altra parte, nelle due pagine di premessa alla disciplina “Storia”, dal titolo “Perché si studia la storia”, il termine Occidente o “cultura occidentale” o simili sono citati ben 12 volte, a sottolineare una certa “ossessione” per l’Occidente, a cui si attribuisce una chiara superiorità culturale e intellettuale rispetto alle altre “civiltà” umane.
Ci chiediamo: “Perché si studia la storia”?
Si studia la storia forse per educare i giovani occidentali a maturare la convinzione che la propria cultura sia superiore a quella delle altre civiltà? Si studia la storia forse per forgiare un’identità nazionale e per favorire l’integrazione “di giovani provenienti da altre culture” (p. 55)? Quindi, la “storia” non serve a comprendere il mondo e l’evoluzione faticosa dell’umanità, ma a maturare la coscienza di una presunta superiorità degli occidentali e ad imporre un’identità nazionale ai giovani italiani e non. Insomma, è proprio la visione identitaria e ideologizzata della storia che doveva essere rivista nel testo delle “Indicazioni”. Ma questo non è avvenuto. Inoltre, sempre in questo paragrafo, per mero errore materiale, gli ultimi sei righi di p. 54 e il primo di p. 55 (da “La storia, cioè la conoscenza e il giudizio […]” a “la volontà di acquisire un più ampio e organico protagonismo”) sono ripetuti dal rigo 19 al rigo 24 di p. 55; anche la frase “ha reso inevitabile […] la dimensione politica” (p. 54, righi 45-46) è ripetuta quasi identica a p. 55, righi 12-13.
Preoccupa non meno una conseguenza di alcune delle scelte della Commissione autrice del documento, ovvero: nel momento in cui si conservasse questa elencazione così particolareggiata dei contenuti come per la disciplina “Storia”, si verificherebbe non solo il ritorno ai “programmi” – come sottolineato dal CSPI -, che sono in contraddizione con l’autonomia scolastica e che ledono anche la libertà e l’autonomia dei docenti, ma si potrebbe imporre una sorta di “Manuale di Storia”, con contenuti quasi completamente indicati dal MIM e con un’impostazione “identitaria” dell’insegnamento della disciplina voluta dal Ministero. Insomma, le Case editrici potrebbero non sentirsi libere di proporre un proprio libro, i manuali potrebbero essere fondamentalmente gli stessi, in serie, cambierebbe solo la Casa editrice e i curatori. Su questo, e non solo, si dovrebbe aprire un dibattito pubblico nelle scuole.
*Storico della Scuola