La scienza si fa epica
Dio gioca a dadi col Mondo, il libro di Giuseppe Mussardo che prova a spiegare la fisica quantistica
Il fisico Giuseppe Mussardo ripercorre la storia di un sapere che ha rivoluzionato il mondo moderno, tra duelli intellettuali e paradossi ancora aperti
Cultura - di Filippo La Porta

Va bene, sono di parte. Con Giuseppe Mussardo – fisico teorico nella prestigiosa Sissa di Trieste – ho scritto l’anno scorso un libro a quattro mani sulle Due culture. Ho potuto ammirarne la vocazione a divulgare senza banalizzare e soprattutto il gusto del racconto, la predilezione per il genere della biografia, per lo schizzo ritrattistico (viene dal Salento, dal Sud degli inesauribili storyteller). In Dio gioca ai dadi col mondo. La storia della meccanica quantistica (Castelvecchi) prova a spiegarci la quantistica, ciò che per definizione era in parte incomprensibile anche ai suoi inventori, e che oggi ci ritroviamo in un romanzo italiano su tre in quanto dispensatrice di metafore e paradossi senza fine (spesso usati impropriamente). Mussardo riesce a fare – come Primo Levi – un’epica della ricerca scientifica.
La scoperta della natura discontinua della luce o l’indagine sulle orbite di un elettrone diventano avventure intellettuali avvincenti. Il conflitto tra formule matematiche è una drammaturgia del pensiero (lui è uno scienziato di ottime e solide letture e in questo caso si gioca bene i suoi Musil e Borges). Al centro del libro la vicenda – quasi conradiana – dei due “duellanti”, che ha attraversato la prima metà del secolo: Einstein e Bohr (con i rispettivi schieramenti, Schrodinger con l’uno, Heisenberg con l’altro, i rispettivi sponsor nell’antichità, Parmenide e Eraclito…). In questa infinita partita a scacchi, con vittorie e sconfitte parziali delle rispettive parti, alla fine vincerà Bohr, dato che la teoria quantistica acquisisce importanti conferme sperimentali, né l’indeterminazione è solo strumento di calcolo, incapace di spiegare la natura come riteneva Einstein. Ma, sulla base di questo ampio ma scorrevolissimo volume (per di più corredato di foto anche colori) e senza entrare nelle parti più “tecniche” della sua trattazione, ho rivolto all’autore quattro domande.
1 Ok, ha vinto Bohr. Eppure Einstein fa bene a difendere la realtà. Questo tavolo su cui scrivo per me è duro e compatto anche se composto al 99% di vuoto, è soggetto alle leggi della fisica classica, insomma il mondo in cui vivo – quello macroscopico, non quello delle particelle (dove un elettrone se non lo misuro non si sa dove sia!) – non è interamente in balia dei dadi e della probabilità, e conserva una sua armonia di fondo. Quella di Einstein è stata una battaglia epica, il grande scienziato tedesco non si rassegnava proprio all’idea che, al nocciolo delle cose, la realtà sia governata da leggi probabilistiche. Tuttavia, per risolvere l’apparente paradosso (quello di una realtà macroscopica dettata dalle leggi deterministiche della fisica classica di contro a una microscopica dettata dalle leggi probabilistiche della meccanica quantistica) dobbiamo pensare che la scala dei fenomeni quantistici è associata a una grandezza fisica – detta azione, una quantità legata all’energia del sistema e al tempo del suo impiego – legata alla famosa costante di Planck.
È il valore non nullo di questa costante di Planck che introduce una granularità nelle misure delle grandezze fisiche e apre le porte alla probabilità. Per semplificare: ogni sistema fisico con un’azione paragonabile alla costante di Planck è quantistico, mentre è classico se la sua azione è molto più grande di essa. Vuoi sapere, per esempio, l’ordine di grandezza dell’azione di una formica che solleva un chicco di grano di un centimetro, impiegandoci un secondo? È più grande di 100000000000000000000000000 (1 seguito da 27 zeri) volte la costante di Planck! Questo dice immediatamente quanto piccoli siano gli effetti quantistici, così piccoli da non essere apprezzati su scala macroscopica. Quindi, dobbiamo usare la meccanica quantistica per capire gli atomi ma possiamo tranquillamente usare le leggi di Newton se vogliamo predire il moto di un pendolo.
2 Distingui tra “geni ordinari” e “stregoni”. I primi siamo tutti noi, almeno potenzialmente, i secondi ce li presenti come uomini speciali, come dei profeti lontani dall’umanità comune. Ti ricordo che per san Tommaso ciascuno ha l’intelletto passivo, poi sta a lui attivarlo, ma è esattamente lo stesso in tutti.
Che alcuni fossero dei veri e propri stregoni non c’è ombra di dubbio – pensiamo a Einstein, Bohr o Heisenberg, per esempio – così come, d’altra parte, in altri ambiti, lo furono anche Dante Alighieri, Mozart o Picasso. Giusto per capirsi, gli “stregoni” sono coloro che vivono semplicemente in un altro mondo e i loro processi mentali ci sono completamente incomprensibili. Potremo capire il risultato finale, ma come vi siano pervenuti resterà per noi sempre un mistero. Sono come i travellers di Philip Dick, abitanti di mondi sconosciuti scaraventati a vivere tra noi per far sì che, grazie a loro, la fantasia superi la realtà, la preceda e la costruisca. Tuttavia, altro che fenomeni da baraccone! Per molti di quegli scienziati, la loro vita si intrecciò inestricabilmente con tutte le storture della storia del Novecento e spesso furono posti davanti a scelte drammatiche. Per cui, anche loro, umani, troppo umani, mi verrebbe da dire.
3 Nel tuo album di scienziati ci sono due sole donne, Marie Curie e Lise Meitne, possibile? Non sarà che l’universo dei fisici è patriarcale e misogino?
Tocchi un tasto estremamente dolente e non solo in ambito scientifico ma, come ben sappiamo, in tutti i campi della società. Rimanendo però sulla storia della meccanica quantistica, non è che i vari Planck, Bohr, Dirac o Heisenberg fossero misogini, ovvero che agissero intenzionalmente per ostacolare l’ingresso delle donne nell’arena scientifica. È che di donne nel giro ce n’erano veramente pochine. Ma, vorrei sottolineare, quelle poche che c’erano godevano della stima unanime di tutta la comunità scientifica, come confermato dai due Nobel di Marie Curie (e anche dal Nobel della figlia Irene), così come dalle decine di volte che Planck propose Meitner per il Premio Nobel. Per fortuna ora i tempi stanno cambiando velocemente.
4 Infine: Feynman, Nobel per la Fisica, osservò che l’unica verità trasmettibile a generazioni future in caso di catastrofe è “le cose sono composte da atomi”. Io avrei detto “ci si salva solo cooperando con gli altri”. E tu? A naso, direi che si sta parlando di summe teologiche diverse… Se a Feynman premeva sottolineare quale potesse essere il sunto estremo di tutto lo scibile umano, tu invece insisti, giustamente, sul sunto estremo della convivenza civile. Le due cose non sono chiaramente né opposte né contradditorie. D’altra parte, nel grande fiume di formule e di grandi scoperte che ha contraddistinto la storia della meccanica quantistica, c’è sempre stato ampio argine per grandi amicizie e per profondi sodalizi, anche tra personaggi dal carattere diversissimo, pensiamo per esempio a Pauli e Heisenberg, oppure a Dirac e Oppenheimer. Lasciami quindi dire che, per quanto mi riguarda, anche nel mondo super competitivo della ricerca scientifica, “ci si salva solo cooperando con gli altri”.