Il caso dell'iraniana
Non era una scafista, si sono sbagliati anche questa volta: Marjan assolta
Assoluzione con formula piena al Tribunale di Locri per la donna iraniana accusata dai tre che avevano tentato di stuprarla. Accuse senza prove, storia di una indagine fatta coi piedi
Cronaca - di Angela Nocioni

No, non era una scafista. Gli inquirenti si erano sbagliati anche questa volta. Succede un po’ troppo spesso. Assolta ieri con formula piena Marjan Jamali Qadari, l’iraniana trentenne scappata nell’ottobre del 2023 da Teheran con il figlio di otto anni e sbattuta in cella appena sbarcata a Roccella Ionica con l’accusa falsa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Ad additarla come tale erano stati tre migranti (resisi poi subito irreperibili) che durante la traversata avevano tentato di stuprarla e che avevano minacciato di vendicarsi nei suoi confronti e verso il ragazzo iraniano che l’aveva difesa, Amir Babai, anche lui indicato da loro come scafista che il Tribunale di Locri ha invece condannato ieri a 6 anni e un mese. I difensori definiscono “incomprensibile” la condanna e si dicono certi che “verrà sicuramente ribaltata in Appello perché anche lui è completamente innocente”.
Durante il lungo dibattimento, qualsiasi prova evidente di innocenza di Marjan venisse esibita in tribunale a Locri, qualsiasi testimone parlasse in sua difesa, la pubblica accusa Marzia Currao finiva sempre col dire di non ritenere mutato “il grave quadro indiziario” senza mai spiegare con esattezza e prove certe quale fosse. Aveva chiesto per Marjan e per Amir Babai 6 anni di carcere e oltre un milione e 500 mila euro ciascuno. La persona che portava la barca e che patteggiato la pena – un cittadino egiziano – ha testimoniato confermando che Marjan e Babai erano due dei 104 passeggeri senza alcun legame con l’equipaggio e l’organizzazione. Anche altri migranti, una coppia che dalla Turchia all’arrivo in Italia ha viaggiato sempre insieme a Marjan e a suo figlio rintracciata in Germania dalla difesa di Marjan, l’avvocato Giancarlo Liberati, hanno confermato. Liberati ha presentato le prove del pagamento del viaggio per Marjan e Faraz da parte del padre di Marjan (14mila dollari depositati a una agenzia di Teheran).
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Le ipotesi dell’accusa sono state confutate in udienza, una ad una, con tale evidenza che il 27 marzo del Tribunale del Riesame di Reggio Calabria ha accolto subito la richiesta presentata dalla difesa di Marjan di revoca degli arresti domiciliari, liberando la donna anche dal braccialetto elettronico e dal divieto di comunicazione. La requisitoria e la contro requisitoria della pm hanno ignorato tutti i dati di fatto acquisiti nel dibattimento e sono state imbastite su notazioni come questa: “Marjan è sempre stata troppo calma, fredda, troppo tranquilla per essere una vittima di violenza, se l’aspettava di essere fermata…”. Ha anche detto che Marjan si sarebbe “ricordata dopo mesi” di esser stata oggetto di violenza, quando è agli atti che il tentativo di stupro subito a bordo da quelli che poi l’hanno additata come scafista è stato dalla donna raccontato immediatamente. La pm ha detto in Aula che il processo ha avuto un’eccessiva esposizione mediatica e che c’è stato un continuo attacco alla “macchina statale dell’accoglienza” da parte di chi ne ha scritto. La storia di Marjan è stata denunciata sulla stampa dall’Unità, nel sito del giornale potete trovare le tappe della grave e purtroppo non eccezionale vicenda.
Il Garante nazionale dei detenuti ci chiamó nella primavera del 2024 chiedendo informazioni e mettendo in moto gli uffici per seguirla. Ha detto la pm Currao nella requisitoria: “La difficoltà principale che io ho trovato, diciamo nel dovere affrontare questo processo, è questa, cioè l’esposizione mediatica che la vicenda ha assunto, i toni che sono stati diciamo sposati nei confronti dei miei stessi colleghi della Magistratura italiana e delle forze dell’ordine, sulle quali si è cercato in ogni modo di gettare discredito, del cui operato encomiabile perché, lo ripeto, queste persone, soprattutto nei territori dove noi ci troviamo a operare, dove io mi trovo a operare da più di sei anni ormai, perché ho origini di altro tipo, le persone, le forze dell’ordine dedicano la loro vita, sacrificando le proprie famiglie, sacrificando diciamo i loro interessi, per uno stipendio che, non voglio fare nessun tipo di polemica, ma sicuramente non è paragonato al sacrificio che noi Stato gli chiediamo di fare, e questo processo è stato un processo alla Magistratura e è stato un processo alle forze dell’ordine. Questo è stato un processo mediatico dove i giornali, senza avere diciamo contezza, riscontrare quello che era il dato di fatto, la verità processuale, hanno pubblicato e hanno reso noto, hanno diffuso notizie diciamo in parte false, non so dove abbiano poi reperito queste notizie, e questo è divenuto un processo alla Magistratura e alle forze dell’ordine. Ma non è una vicenda difficile, è un normale processo, è un normale sbarco, quindi, noi li chiamiamo così in gergo, tra gli operatori del settore, li chiamiamo sbarchi. È una dinamica, una vicenda che per me era completamente estranea e della quale ho avuto contezza una volta che sono arrivata in Calabria. Allora, c’è un reato, che è l’articolo 12, e il terzo comma, il comma 3 bis, il comma 3 ter, punisce determinati tipi di condotte. Può piacere e può non piacere, però io qua dentro rappresento lo Stato, quella è la legge e io sono tenuta a fare sì che tutti applichino la legge. Di fronte a un reato il Pubblico Ministero ha l’obbligo dell’azione penale. Io sono serena, ho studiato tanto, ho fatto diciamo tutto quello che era giusto fare”.
I toni della requisitoria stati questi: “È arrivato il Commissario Trimboli, il quale ha dichiarato tutta una serie di cose delle quali io non ero a conoscenza perché non erano neanche degli atti di indagine, perché ricordiamoci, a meno che non succedano delle cose eclatanti, le parti relative allo scambio di fusioni amorose, come è stato per esempio tra la signora Caderi e il signor Babai, non è che entrano negli atti del processo, perché a noi non ci importa, non ci interessa quello che tu fai nella tua vita personale, a meno che non abbia a oggetto i fatti di causa. (…) Il Commissario Trimboli che cosa ha detto? Ha detto che loro stavano mano nella mano. Dà fastidio anche a me riferire queste cose, però lo devo fare, perché a me non interessa quello che voi avete fatto e quali sono i vostri rapporti se non influiscono sui fatti di causa, però io penso che fare emergere questi dati serva a mettere in evidenza, diciamo, anche degli elementi ai Giudici per valutare quella che è la correttezza processuale che voi avete avuto e l’attendibilità. Quindi, io penso che sia giusto dirlo. Stavano mano nella mano. La signora Bagalà, la dottoressa Bagalà addirittura dice che si scambiavano dei baci. Trimboli dice “se lo aspettava, era tranquilla, è stata così fino a quando non ha comunicato di essere…”, cioè, no, questa è una mia osservazione, si aspettava appunto che sarebbe stata arrestata”.
I giudici del Tribunale del Riesame nella sentenza di accoglienza del ricorso della difesa: “Orbene gli elementi emersi dal cellulare dell’imputata consentono innanzitutto di affermare che la Qaderi (Marjan Jamali Qaderi n.d.r.) aveva intrapreso il viaggio come migrante per recarsi prima dall’Iran alla Turchia e poi in Europa, unitamente al figlio minore, nella prospettiva di una vita migliore. La stessa non risulta avere alcun ruolo all’interno dell’organizzazione criminale dedita alla programmazione e realizzazione di tali viaggi…”. “La condizione di migrante emergeva anche dalle comunicazioni avvenute una decina di giorni prima della partenza…” “Ciò posto, a parere di questo Collegio, dagli elementi sinora disaminati risulta innanzitutto dimostrato che la Qaderi, prima di intraprendere la traversata in mare, non facesse parte dell’organizzazione criminale che programmava tali viaggi…”. “Infatti, dalle dichiarazioni acquisite in contraddittorio è emerso che la Qaderi avrebbe effettuato anche la traversata in mare in condizioni analoghe a quelle degli altri passeggeri….”.
Per Marjan finalmente ieri, giustizia è stata fatta. L’impianto accusatorio era basato sul nulla, quelle stesse prove che ha portato in aula la difesa avrebbero dovute cercarle e trovarle gli inquirenti e non l’hanno fatto. A Marjan tutto ciò è costato 500 giorni di detenzione (dal 27 ottobre 2023 al 31 maggio 2024 in carcere, dal 31 maggio 2024 al 27 marzo 2025 ai domiciliari), incluso un mese nell’ex manicomio criminale di Barcellona Pozzo di Gotto dove non poteva nemmeno vedere suo figlio che comunque non ha potuto vedere mai dal giorno dello sbarco, il 27 ottobre 2023 fino al febbraio 2024. Mettetevi nei panni di un bambino di otto anni che arriva in Italia da Teheran dopo una traversata stipato in una barca con altre 105 persone, vede arrestata la madre allo sbarco senza sapere perché, non ha nessuno in Italia, viene affidato a una famiglia nell’attesa e non la rivede per mesi. Per lui e Marjan l’incubo è finito. Per Amir Babai no.