Il nuovo film del cineasta

Senza resistenza non c’è futuro: “28 anni dopo”, il nuovo film di Danny Boyle sul virus della rabbia

Il cineasta: “Attraverso questo sequel abbiamo parlato di Brexit, un fenomeno che ha isolato l’Inghilterra. Ma anche di rancore e di sfide decisive: mancano leader capaci di condurci e rivoluzionare il presente”

Spettacoli - di Chiara Nicoletti

15 Giugno 2025 alle 17:58

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AP Photo/Chris Pizzello
AP Photo/Chris Pizzello

Con 28 Anni dopo, al cinema dal 18 giugno con Eagle Pictures, il regista inglese premio Oscar Danny Boyle torna alle atmosfere di uno dei suoi film più iconici, 28 giorni dopo, del 2002. Prodotto da Sony Pictures e scritto in coppia con lo sceneggiatore Alex Garland, il film racconta una nuova terrificante storia ambientata nel mondo di 28 giorni dopo, con il virus della rabbia ancora presente e ormai sistemico, in cui un gruppo di sopravvissuti vive su una piccola isola collegata alla terraferma da un’unica strada rialzata ed estremamente protetta.

In quella che potrebbe essere definita una storia di formazione, un dodicenne, lasciata l’isola per una missione diretta nel profondo della terraferma, scoprirà segreti, meraviglie e orrori che hanno mutato non solo gli infetti ma anche gli altri sopravvissuti. Non è nuovo ai sequel Danny Boyle che aveva già ripreso i suoi personaggi di Trainspotting nel 2017, ma 28 giorni dopo era rimasto indelebile nella memoria ed era stato più volte rievocato durante la pandemia di Covid, davanti alle immagini di una Londra deserta, proprio come nel film che vedeva protagonista Cillian Murphy, superstite in un mondo di infetti. Cosa ha spinto un premio Oscar come Boyle a rientrare in quell’universo cult, oltre l’horror? “In realtà il film originale, nonostante siano passati tantissimi anni, ha continuato ad essere molto popolare, un film molto visto al cinema con eventi in cui venivo chiamato a parlare, nonostante fosse disponibile su dvd o in streaming” racconta il regista, a Roma al cinema Barberini per la conferenza stampa di presentazione del film. “Con Alex Garland – prosegue il cineasta – abbiamo spesso parlato della possibilità di realizzare un sequel, un’aggiunta a quello che era il film originale. Abbiamo lavorato insieme a tutta una serie di idee però è soltanto quando è venuta fuori questa idea qui che ci siamo caricati di energia. Volevamo realizzare qualcosa che facesse presa sull’attualità, ci interessava soprattutto inserire nella storia anche la Brexit”.

Senza fare troppi spoiler, 28 anni dopo racconta nell’incipit che mentre l’Europa “continentale” è riuscita ad andare avanti, contenere il virus e ritornare a vivere, l’Inghilterra non è riuscita a debellarlo ed è stata messa in perenne quarantena. All’interno di questo piccolo mondo isolato, l’isola di ambientazione del film è ferma o è retrocessa, volutamente, ad un sistema patriarcale di finte sicurezze e finto controllo. A questo destino, nel suo percorso di crescita, il protagonista, il giovane Spike (Alfie Williams) tenta di sfuggire, nonostante l’attaccamento al padre, interpretato da Aaron Taylor Johnson. Lo spiega molto bene Danny Boyle: “La nostra intenzione è quella di realizzare tre film, una trilogia, anche se ciascun film poi sarà autonomo e indipendente. Abbiamo già girato il secondo e devo dire che il viaggio del ragazzino fondamentalmente è il viaggio del film perché ci si aspetta che il ragazzo segua le orme del padre, quello che lui ha fatto, quello che gli impone la comunità che guarda all’Inghilterra del passato, degli anni 50. Questa è metafora della Brexit. Il ragazzo vive in una comunità in cui i ruoli di genere sono ben definiti, ben separati, i maschi sono maschi, le femmine sono femmine. Ai ragazzi si insegna a cacciare, uccidere mentre le ragazze stanno lì ad aspettare. Questa è la vecchia Inghilterra, mentre le decisioni che lui prende sono molto più influenzate da quello che è il progresso, dall’andare avanti. Tanto è vero che lui non torna a casa, va per conto suo, per la sua strada”.

Se le immagini di 28 giorni dopo si erano sovrapposte a quelle reali del mondo e dell’Inghilterra deserta in lockdown durante il Covid, quanto tutto ciò che abbiamo vissuto e stiamo vivendo, tra pandemia, guerre e sovranisti, ha influenzato la scrittura di 28 anni dopo? Danny Boyle risponde introducendo l’idea di adattamento: “La sequenza iniziale del primo film ci mostrava una Londra completamente deserta, un’immagine che con il Covid è diventata comune a tantissime altre città. Questa ha ovviamente alimentato anche questo film ma ancor più di questo, ad ispirarci e influenzarci c’è stato il modo in cui noi ci siamo adattati al Covid con il tempo perché ovviamente la reazione non poteva continuare ad essere quella iniziale di sorpresa e quasi di paralisi. Dopo un periodo così lungo non si poteva reagire all’infezione o al virus così come si era fatto all’inizio per cui la reazione è stata quella di cominciare a correre qualche rischio, a cercare di uscire. Nel film iI sopravvissuti cercano di andare a caccia, non muoiono più soltanto di fame, si uniscono in gruppo, corrono dei rischi. L’altra cosa interessante è stata che anche il virus si è adattato, è mutato, è cambiato, si è evoluto perché anche il virus ha cercato di sopravvivere ed anche loro, gli infetti, si sono organizzati e hanno cominciato a evolversi anche loro. Il Covid ha avuto una fortissima influenza sulla scrittura”.

Il virus del film, ideato dalla mente di Danny Boyle, è definito “della rabbia” per la violenza istantanea che instilla nelle sue vittime. Nome profetico e molto indicativo di un sentimento diffuso oggigiorno e attuale, che coinvolge tutti. Concorda Boyle: “Quando abbiamo fatto il primo film in realtà pensavamo alla rabbia che ti si scatena quando sei al volante per strada e ti parte la furia. Poi però ci siamo resi conto che la rabbia era praticamente l’impostazione di default della nostra quotidianità. Si va da 0 a 100 senza passare per nessuna fase intermedia, sia essa frustrazione o delusione. Credo che, ma sono molte le teorie a riguardo, la colpa di tutto ciò sia la tecnologia. Ci ha dato individualmente tantissimo potere, ci fa sentire importantissimi poi però ci rendiamo conto di non essere la persona più importante del mondo. La vita infatti ci dice che alla fine andiamo tutti a finire nello stesso posto, che tu sia ricco, famoso, bello o l’esatto contrario. Volevamo che questo film fosse carico di umiltà e speranza”.

C’è chi ha già definito 28 anni dopo un film sulla resistenza. Chi la rappresenta nel mondo d’oggi? “Credo che al giorno d’oggi giorno manchino leader della resistenza, ovviamente posso parlare solo ed esclusivamente per il mio paese. Credo che ci manchino delle figure di ispirazione che abbiano la capacità di condurci in avanti. Ad un certo punto si è pensato che la tecnologia potesse assumere questo compito ma l’intelligenza artificiale offre tante opportunità di business a scapito delle libertà personali. Questa, secondo me, è una grandissima sfida”.

15 Giugno 2025

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