Il caso Brusca e il sistema penale
Lasciamo perdere la liberazione di Brusca, il problema è l’inutilità del sistema penale
Il sistema penale, a pensarci bene, rappresenta un ‘immensa messinscena, attraverso la quale pensiamo di esorcizzare le nostre contraddizioni, senza che mai vengono risolte.
Cronaca - di Vincenzo Scalia

La liberazione di Giovanni Brusca, esponente di spicco di Cosa Nostra, reo confesso della strage di Capaci e della morte del magistrato Rocco Chinnici, oltre che dell’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, avvenuta il 5 giugno scorso, ha conquistato la ribalta mediatica. I soliti fautori del carcere come misura regolatrice dei conflitti sociali, hanno utilizzato la liberazione di Brusca per attizzare quella parte dell’opinione pubblica che ritiene troppo lassista il sistema penale italiano. In realtà, la liberazione di Giovanni Brusca, parla di noi, delle paure contemporanee regolate attraverso la domanda di sicurezza e la produzione di outputs repressivi da parte degli attori politici, oltre a evidenziare le contraddizioni del sistema penale. In particolare, sono tre gli aspetti che vale la pena di sottolineare.
Il primo aspetto riguarda quello la funzione e la durata della pena. Ogni volta che qualcuno, che sia un boss mafioso o un ladro di polli, termina di scontare la sentenza inflittagli, si innesca nella società un meccanismo di reazione che tradisce insicurezza, paure, ma anche sgomento per la rottura di un equilibrio che si pensava consolidato. Tra il pubblico sono in molti a pensare che la giustizia penale funzioni come una serie televisiva poliziesca, in cui il colpevole viene rinchiuso e rimosso per sempre dalla società. Viceversa, come sottolineava il compianto Massimo Pavarini, ci si dimentica che la pena costituisce, per molti dei detenuti, una condizione temporanea, e che, una volta estinto il proprio debito con la giustizia, una persona torna ad essere un libero cittadino, da riaccogliere all’interno del consesso sociale.
- Giovanni Brusca è definitivamente libero: fu lui ad azionare il telecomando della strage di Capaci
- Il sistema penale è un cavallo imbizzarrito, fermiamolo
- Carcere, un albero delle mele marce: un’idea ottocentesca soltanto punitiva
- Quella illusione autoritaria di rieducare le persone chiudendole in una cella…
Se è vero che Brusca non appartiene alla folta schiera dei detenuti che scontano reati relativi al cosiddetto “penale quotidiano”, allora bisogna compiere uno sforzo di laicizzazione del dibattito pubblico, e confrontarsi col secondo elemento che affiora dalla vicenda. Ci si riferisce alla questione dei “pentiti”. Sin dai tempi della repressione delle formazioni armate, l’opinione pubblica italiana, si è rifugiata nella categoria cattolica del pentitismo per definire i collaboratori di giustizia. La figura del pentito rientra invece all’interno della sfera religiosa, e riguarda l’interiorità degli individui coinvolti nella vicenda penale. E’ proprio questo il punto che ha sottolineato Maria Falcone, la sorella del magistrato. Si può rimanere sgomenti, ma è il prezzo da pagare in cambio dell’accertamento dei fatti che la collaborazione ha consentito.
Si può essere d’accordo, e provare sgomento, per il fatto che l’autore di circa 200 omicidi sia in libertà. In questo caso, e questo è il terzo aspetto su cui bisogna riflettere, dobbiamo porci la domanda: davvero la pena costituisce lo strumento migliore per governare, in modo equo, le contraddizioni di una società? La situazione delle carceri italiane, alcune misure specifiche, ci fanno rispondere negativamente. Basta pensare al 41 bis, applicato su discrezione dei magistrati, più volte censurato dalle istituzioni internazionali per il proprio carattere vessatorio. Ad esempio, pensare che Alfredo Cospito, che ha commesso reati molto meno gravi di quelli di Brusca, languisca al 41 bis, suscita più di una perplessità. Come la suscita il 4 bis, ovvero il cosiddetto ergastolo ostativo, vero e proprio ricatto morale, anche in questo caso applicato a discrezione, nei confronti di chi viene ritenuto latore di informazione importanti ai fini delle indagini. Se scaviamo ancora più a fondo nei meandri del sistema penale, le iniquità sono ancora più profonde.
Per esempio, il 40% dei detenuti si trova rinchiuso in attesa di giudizio. La metà di loro verrà assolta, ma a prezzo di una reputazione danneggiata e di una rete affettiva e relazionale lesionata a volte irreparabilmente. Senza dimenticare le condizioni igienico-sanitarie, il sovraffollamento che il nuovo DDL 1660 rischia di aggravare, il triste rosario di suicidi. Il sistema penale, a pensarci bene, rappresenta un ‘immensa messinscena, attraverso la quale pensiamo di esorcizzare le nostre contraddizioni, senza che mai vengono risolte. Gli attori principali di questa messinscena, i detenuti, lungi dal diventare divi, vivono sulla nostra pelle questo esorcismo. Invece di partecipare alla squallida gara del “cosa farei a Brusca”, sarebbe il caso di riflettere sull’inutilità del sistema penale. Lasciando Brusca coi suoi sensi di colpa e con l’onere di pentirsi autenticamente per sua scelta.
*Professore di Sociologia della Devianza – Università di Firenze