Quel decreto andava fermato prima

Perché Mattarella non ha bloccato il decreto sicurezza che è incostituzionale?

Che fare? Il ruolo della Consulta, del Parlamento, del Quirinale

Politica - di Andrea Pugiotto

30 Aprile 2025 alle 12:30

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Perché Mattarella non ha bloccato il decreto sicurezza che è incostituzionale?

1. È raro che oltre 270 costituzionalisti sottoscrivano un appello dove, motivandone i «gravissimi profili di incostituzionalità», si denuncia di un decreto legge l’«impostazione autoritaria, illiberale e antidemocratica, non episodica od occasionale ma mirante a farsi sistema, a governare con la paura invece di governare la paura».
Allarmismo eccessivo? Il medesimo provvedimento è stato parimenti censurato dall’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale, dall’ANM ed è causa dell’astensione dalle udienze proclamata, per tre giorni, dall’UCPI. In precedenza, quand’era ancora un disegno di legge all’esame del Parlamento, è stato oggetto di pareri ufficiali egualmente preoccupati da parte dell’OSCE, del Consiglio d’Europa e dell’ONU. Comune la denuncia: il decreto legge n. 48 del 2025 (già in vigore dall’11 aprile) baratta la sicurezza dei diritti con un diritto alla sicurezza arbitrario, simbolico, repressivo.
Nel merito, tutti questi avvisi allineano i tanti principi costituzionali e sovranazionali compromessi dall’introduzione – improvvisa e immediata – di oltre una ventina tra nuovi delitti, inedite circostanze aggravanti e giri di vite sanzionatori. A rischio sono l’eguaglianza, la libertà personale e di riunione, la tipicità e determinatezza delle norme penali, la conoscibilità previa e la necessaria offensività delle fattispecie incriminatrici, la sussidiarietà e la proporzionalità nel ricorso alla leva penale.
La gravità delle nuove misure – spinta con talune previsioni fino all’odiosità – viene svelata nel loro scopo: reprimere forme di marginalità sociale e di dissenso anche nonviolento, privilegiando un uso esemplare del diritto penale, disinteressandosi dei suoi effetti negativi sulla qualità della vita democratica, sull’efficienza della giustizia, sulle condizioni in carcere e nei centri detentivi per migranti.

2. Non è sempre facile capire ciò che accade mentre accade. Nel diritto, dove la forma è sostanza, c’è un segnale d’allarme inequivocabile: la forzatura delle regole sulla produzione delle norme.
La prassi della decretazione d’urgenza, in tal senso, è un catalogo di strappi costituzionali. Decreti legge privi di presupposti (se non esclusivamente mediatici). Reiterati più volte. Adoperati come corsie preferenziali per introdurre – in sede di conversione – norme eterogenee o tutt’altro che necessarie e urgenti. Usati come driver per disposizioni ad efficacia differita, prive di quegli effetti immediati che l’emergenza dichiarata pretenderebbe. Decreti legge omnibus contenenti norme senza un oggetto o una ratio comuni. Oppure confezionati come spiedini, con disposizioni dell’uno infilzate nell’altro, secondo una «tortuosa tecnica di produzione normativa – frutto di un anomalo uso del peculiare procedimento di conversione del decreto legge – che reca pregiudizio alla chiarezza delle leggi e all’intelligibilità dell’ordinamento» (Corte costituzionale, ord. n. 30/2024).
Abbiamo visto di tutto, ma non avevamo ancora visto tutto. Sbalorditiva, infatti, è l’attuale scelta del Governo di travasare in un decreto legge un testo legislativo all’esame parlamentare da oltre un anno, già approvato alla Camera e in dirittura d’arrivo al Senato. D’incanto, il decreto legge diventa un disegno di legge governativo a effetto immediato. L’esame parlamentare, se troppo lungo o dall’esito incerto, è interrotto a piacimento dal Governo e surrogato per decreto. I suoi presupposti di straordinarietà, necessità e urgenza tornano ad essere categorie rimesse alla valutazione politica dell’Esecutivo, non più requisiti oggettivi di validità costituzionale riconducibili a situazioni di fatto.

3. Così infragilito e corroso dall’interno, a sgretolarsi definitivamente è il principio (supremo) di separazione dei poteri che serve a prevenire l’arbitrio e a tutelare le libertà.
Come insegna la Consulta, il ricorso al decreto legge è prerogativa del Governo, ma entro precisi «limiti costituzionali» e «regole giuridiche indisponibili da parte della maggioranza, a garanzia dell’opzione costituzionale per la democrazia parlamentare e della tutela delle minoranze politiche»: il ruolo propulsore dell’indirizzo politico assunto dall’Esecutivo «non può giustificare lo svuotamento del ruolo politico e legislativo del Parlamento che resta la sede della rappresentanza della Nazione (art. 67 Cost.)» e dev’essere esercitato «nel rispetto degli equilibri costituzionalmente necessari» (sent. n. 146/2024).
Di più: abusando della decretazione d’urgenza si altera la Costituzione dei poteri violando – nel contempo – la Costituzione delle libertà, perché la disciplina che regola la produzione di norme primarie (leggi e atti aventi forza di legge) «è anche funzionale alla tutela dei diritti e caratterizza la configurazione del sistema costituzionale nel suo complesso» (sent. n. 171/2007).

4. Come combattere una simile metastasi?
Il Giudice delle leggi e degli atti con forza di legge può molto, ma non è abbastanza. Quello della Corte costituzionale, infatti, è un sindacato frammentato e occasionale. Richiede un giudizio in corso, dove trovi applicazione la norma di dubbia legittimità, e un giudice che la impugni. Difficilmente la sua sentenza può intervenire nei 60 giorni di vigenza del decreto. Potrà colpire la relativa legge di conversione, ma raramente lo fa per vizi formali. È certo che molte norme del decreto legge “sicurezza” – una volta convertito in legge – cadranno sotto la scure della Consulta perché illegittime nel merito, ma ci vorrà tempo. Nell’attesa, produrranno i loro effetti incostituzionali spesso irreversibili, specialmente in ambito penale (come in questo caso).
Potrebbe molto il Parlamento chiamato a convertire in legge il decreto governativo, diversamente destinato a morire ab origine. Lo imporrebbe la difesa del proprio ruolo, altrimenti subalterno. Ma il suo è un esame che risponde a logiche più politiche che giuridiche, spesso forzato dal “voto in blocco” determinato dalla questione di fiducia posta dal Governo (nell’attuale legislatura è accaduto in una camera nel 59,2% dei casi di conversione, in entrambe nel 42,2%). Un esame, per di più, soffocato dall’invalso “monocameralismo alternato”, dove un ramo del Parlamento si limita a prendere atto della conversione in legge deliberata dall’altro (com’è accaduto per il 100% dei 77 decreti legge convertiti nella legislatura in corso).
Che fare, allora?

5. Insufficienti o inefficienti i rimedi successivi all’entrata in vigore del decreto legge, andrebbe esercitato quello preventivo spettante al Presidente della Repubblica: è lui, infatti, che «emana i decreti aventi valore di legge» (art. 87, comma 5, Cost.).
Qui, davvero, la quantità è qualità delle cose. Con l’unica eccezione avvenuta il 6 febbraio 2009 in una nota vicenda (il “caso Englaro”), non si è mai pubblicamente registrato il rifiuto presidenziale di emanare uno qualsiasi degli innumerevoli decreti legge governativi. Eppure essi vengono «presentati» al Capo dello Stato (art. 15, legge n. 400 del 1988) e non trasmessi perché, se la loro adozione è responsabilità del Governo, la relativa emanazione è atto presidenziale mediante il quale esercitare un controllo «di intensità almeno pari a quello spettante allo stesso Presidente sulle leggi» (sent. n. 406/1989). Un controllo in cui far valere i limiti alla decretazione d’urgenza elaborati da un’articolata giurisprudenza costituzionale che nel Capo dello Stato (più che nel Governo e nel Parlamento) cerca – finora inutilmente – il suo diretto interlocutore.
Servirebbe dal Quirinale un segnale di discontinuità: a difesa della regola costituzionale che attribuisce la funzione legislativa al Parlamento (e non al Governo) e a tutela dei diritti fondamentali, se esposti a grave pericolo dagli effetti pro tempore di un decreto legge che entra in vigore immediatamente. Per come sono andate le cose, ahimè, l’emanazione dell’abnorme decreto legge n. 48 del 2025 rappresenta un’occasione non colta.

30 Aprile 2025

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