L'inchiesta del NYT
Deportati e trattati peggio dei nazisti, così Trump ha spedito 238 venezuelani in Salvador in base ad accuse false
Lo dice la giudice americana Patricia Millett che segue la deportazione di 238 venezuelani in Salvador. Trump li tratta da cittadini stranieri di Paese invasore
Esteri - di Angela Nocioni

Una montagna di balle. L’operazione di propaganda della deportazione in una prigione del Salvador di 238 immigrati venezuelani, esibiti in ceppi a favore di telecamera, non è soltanto illegale perché viola completamente il diritto alla difesa degli accusati. E’ anche basata su una montagna di balle. L’Amministrazione Trump ha detto che i venezuelani ammassati in una cella, davanti alla quale ha posato per una foto, come allo zoo, la Segretaria per la sicurezza nazionale, Kristi Noem, in completo bianco e berretto della Immigration and Customs Enforcement (Ice), sono sono tutti membri del Tren de Aragua, una pandilla, una banda criminale estesa tra Venezuela, Bolivia e Colombia.
Un’inchiesta del New York Times documenta che soltanto pochissimi di loro hanno precedenti penali (estranei peraltro al Tren de Aragua) e che per pochissimi di loro esistono indizi tali da far supporre un legame possibile con la gang. Per questo show con cui Donald Trump ha inaugurato il suo secondo mandato alla Casa Bianca è stato usato il Foreign Enemy Act, una norma che dà al presidente un ampio potere in tempo di guerra e che consente al suo governo di deportare molto rapidamente i cittadini di un Paese invasore. Che il Venezuela abbia invaso gli Stati uniti d’America, però, non risulta a nessuno. Il Foreign Enemy Act è stato usato tre volte nella storia, la più recente è stata per arrestare sospetti nazisti, nella seconda guerra mondiale.
I 238 venezuelani deportati il 15 marzo marzo nella terribile prigione per terroristi in Salvador sono stati dichiarati “nemici stranieri”. Secondo gli avvocati, le testimonianze giudiziarie, i giudici e le interviste con decine di parenti dei prigionieri fatte da un gruppo di reporter dal New York Times non solo ai deportati è stato negato il diritto di difendersi, ma mentre venivano espulsi, i detenuti hanno ripetutamente pregato i funzionari di spiegare dove li stavano portando e mai gli è stato detto che sarebbero stati portati a El Salvador o che sarebbero stati espulsi ai sensi della legge sui nemici stranieri.
Il Foreign Enemy Act dà al governo degli Stati Uniti ampi poteri per arrestare le persone in tempo di guerra, ma le sentenze della Corte Suprema chiariscono che i detenuti hanno il diritto di contestare il governo e un’udienza prima della loro espulsione. Il mese scorso, un giudice di una corte d’appello ha denunciato la mancanza di garanzie procedurali sotto l’amministrazione Trump. “I nazisti sono stati trattati meglio ai sensi della legge sui nemici stranieri”, ha detto il giudice Patricia Millett. I nove giudici della Corte Suprema hanno detto che le persone destinatarie di un decreto d’espulsione dovrebbero avere il tempo di contestare la loro espulsione prima di essere espulse, e hanno ordinato all’amministrazione Trump di dare loro questa opportunità. In tribunale, il governo ha sostenuto che i 238 deportati possono ancora contestare la loro incarcerazione: ma come possono esercitare questo diritto se sono già in El Salvador, fuori dalla portata del sistema giudiziario statunitense, con relative complicazioni e costi per vedere gli avvocati? “Dovrebbero rimanere lì per il resto della loro vita”, ha dichiarato la scorsa settimana Kristi Noem.
Il presidente di El Salvador, Nayib Bukele, ha categoricamente respinto l’idea di riportare indietro un uomo del Maryland che era stato deportato per errore in El Salvador, nonostante le istruzioni della Corte Suprema degli Stati Uniti che ha ordinato di assumere provvedimenti per riportare indietro il migrante. Gli Stati Uniti stanno pagando il governo di El Salvador per imprigionare i prigionieri venezuelani. Su X (ex Twitter), il leader salvadoregno ha definito la sentenza di un anno “rinnovabile”. L’uso della legge sugli stranieri da parte del governo degli Stati Uniti è attualmente oggetto di un’intensa battaglia legale tra il governo e i gruppi per i diritti civili, tra cui l’Unione americana per le libertà civili, i cui avvocati affermano che il governo non ha rispettato la norma per invocare la misura. In tribunale, il governo Trump ha dichiarato di avere ampi poteri per determinare cosa costituisce una guerra o un’invasione, nonché per decidere chi è membro della banda, che Trump ha recentemente inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche straniere. La Corte Suprema ha affermato che l’amministrazione Trump potrebbe continuare a deportare le persone utilizzando il Foreign Enemies Act, mentre la battaglia legale si svolge in tribunale, a condizione che i detenuti abbiano la possibilità di contestare le loro espulsioni.
Le retate di migranti venezuelani sono iniziate subito dopo l’insediamento di Trump. L’inchiesta del Nyt ricostruisce nei dettagli gli arresti compiuti dai funzionari dell’Immigration and Customs Enforcement. Neri Alvarado, 25 anni, ex studentessa di psicologia, è stata presa in un parcheggio mentre andava al lavoro in una panetteria di Dallas, hanno raccontato sua sorella e il suo capo. Francisco Garcia Casique parrucchiere di 24 anni, è stato arrestato nella sua casa di Austin, in Texas. Gustavo Aguilera Aguero, 27 anni, autista di Uber, è stato arrestato mentre lavorava alla sua auto in un parcheggio alla periferia di Dallas. Un portavoce del Dipartimento della Sicurezza Nazionale, Tricia McLaughlin, ha detto che tutti gli uomini deportati in Salvador “sono in realtà terroristi, persone macchiatesi di crimini contro i diritti umani, membri di bande e altro; semplicemente non hanno precedenti penali negli Stati Uniti”. “Confidiamo nell’intelligenza delle nostre forze dell’ordine”, ha aggiunto. “Abbiamo una rigorosa valutazione delle forze dell’ordine che si attiene alle garanzie procedurali”.
In decine di interviste al Nyt, i parenti dei deportati hanno detto che, dopo gli arresti, i funzionari statunitensi si sono concentrati sui loro tatuaggi. García, il parrucchiere, aveva scritto la parola “pace” sul collo, con una corona, e aveva i nomi di sua madre, sua nonna e le sue sorelle sul corpo. Aguilera, l’autista di Uber, portava il nome di suo figlio maggiore, Santiago, accompagnato anche da una corona, una stella, un teschio con fiori, il simbolo dell’infinito secondo sua madre. Alvarado, un ex studente di psicologia, era andato negli Stati Uniti per guadagnare soldi per aiutare suo fratello minore, che soffre di autismo, altre disabilità e problemi di salute, ha dichiarato la sua famiglia. Prima di andarsene, Alvarado si era tatuato sulla gamba un fiocco arcobaleno. Sua sorella ha detto che si combinava con gli altri tatuaggi di Alvarado, che dicevano: “fratelli”, “famiglia” e “amor proprio”.
In un’intervista, l’incaricato delle deportazioni, Tom Homan, ha affermato che i tatuaggi erano solo uno dei fattori utilizzati per determinare se una persona fosse un membro di Aragua. “Non sto dicendo che sia un fattore importante”, ha detto, “è uno dei tanti”. Ma un documento interno del governo reso pubblico negli archivi giudiziari indica l’importanza data ai tatuaggi. Il documento, il cui titolo è “Guida per identificare i nemici stranieri”, ordina ai funzionari dell’immigrazione di utilizzare un sistema a punti per identificare i membri del Tren di Aragua. Otto punti rendono qualcuno un membro “affiliato” del gruppo. Avere tatuaggi associati alla banda vale quattro punti. Indossare vestiti associati alla banda vale altri quattro. Un secondo documento governativo afferma che il governo considera i simboli del Tren de Aragua un tatuaggio a forma di corona, molto simile a quello indossato dal calcatore Lionel Messi, e il simbolo del “Jump Man”, reso popolare da Michael Jordan. L’abbigliamento associato alla banda include “abbigliamento urbano da strada di fascia alta”.
Sentiti cinque esperti venezuelani che hanno fatto studi e indagini sul Tren de Aragua – due agenti di polizia, due accademici e un giornalista – il Nyt racconta di aver saputo da loro che, sebbene alcune bande transnazionali usino i tatuaggi come indicatori di appartenenza, il Tren de Aragua non lo ha mai fatto. “Nel caso di questa banda”, ha detto Luis Izquiel, professore di criminologia all’Università Centrale del Venezuela, “non è stato dimostrato un modello comune di tatuaggi simili tra i suoi membri”. I tatuaggi visibili nelle foto sono identici a quelli di moltissimi giovani latinos, negli Stati uniti e altrove. L’amministrazione Trump ha iniziato a deportare decine di venezuelani detenuti in strutture in Texas circa due settimane prima di invocare il Foreign Enemy Act. Il 14 e il 15 marzo, gli uomini hanno chiamato le loro famiglie per dire loro che i funzionari statunitensi avevano detto loro che sarebbero stati deportati in Venezuela, secondo dozzine di interviste. Scrive il New York Times: “Nello stato di Aragua, in Venezuela, Mirelis Casique, la madre di García, il parrucchiere, si è affrettata a sistemare la sua stanza, applicando nuova vernice e appendendo nuove tende. Ma il 16 marzo, la moglie di Suárez, il musicista, (uno dei deportati n.d.r.) , non aveva ancora sue notizie. Aumentando la sua ansia, si è rivolta a Google. “Deportazione in Venezuela”, ha digitato nella casella di ricerca. A quel punto, tre voli che trasportavano i 238 uomini erano arrivati in Salvador, nonostante l’ordine di un giudice che l’amministrazione Trump li facesse tornare indietro. Quella mattina, Bukele aveva pubblicato un video in cui si vedevano i nuovi prigionieri incatenati e afferrati da guardie in tute antisommossa mentre venivano portati in prigione”.
“Abbiamo espulso dei terroristi”, aveva detto da Washington Homan, l’incaricato delle deportazioni. “Questo dovrebbe essere celebrato in questo paese”. “In internet, la moglie di Suárez – continua il Nyt – ha trovato foto di uomini rasati e ammanettati in una prigione salvadoregna. Ne riconosce uno: era suo marito. Con il suo neonato in braccio, si è seduta e ha pianto. In seguito, si è collegata a una pagina di ricerca dell’Ice con cui era riuscita a monitorare i trasferimenti da arrestato di suo marito negli Stati Uniti. Suarez era improvvisamente scomparso dal sistema”. Mai prima d’ora, affermano gli analisti legali, la legge sui nemici stranieri era stata utilizzata con così poche garanzie procedurali. Durante la seconda guerra mondiale, quando si aveva a che fare con sospetti di complicità coi nazisti, il Dipartimento di Giustizia istituì commissioni di udienza civile in cui gli “stranieri registrati” di origine tedesca, italiana e giapponese detenuti dal governo potevano sostenere che non costituivano un pericolo per lo Stato.
“In Venezuela – scrive il Nyt – le famiglie si sono riunite in marce, in manifestazioni di piazza, per chiedere la liberazione dei deportati. Molti hanno cercato di contattare funzionari statunitensi e salvadoregni, ma dicono che i loro messaggi sono rimasti senza risposta. I governi di Trump e Bukele si sono rifiutati di pubblicare un elenco degli uomini confinati nel centro antiterrorismo o di confermare alle famiglie chi si trova lì”. Per questo imponente e dettagliato lavoro d’inchiesta il New York Times ha ottenuto un elenco di nomi da documenti interni del governo. CBS News aveva già riportato i nomi. La Casa Bianca ha dichiarato che 137 degli uomini sono stati deportati ai sensi del Foreign Enemy Act, mentre altri 101 sono stati espulsi secondo le normali procedure di immigrazione. Tutti sono accusati di essere membri di bande e tutti sono in prigione in El Salvador.
Nelle ultime settimane, Nicolas Maduro, capo del regime venezuelano, ha accusato l’amministrazione Trump di “desapariciones” su larga scala. Le Nazioni Unite definiscono la pratica come la privazione della libertà “seguita dal rifiuto di rivelare il destino o il luogo in cui si trovano le persone colpite”. Human Rights Watch è arrivato alla stessa conclusione di Maduro. Il fratello di uno dei deportati, un rapper che sognava di sfondare negli Usa e che si era sentito a un passo dal successo per il gran numero di visualizzazioni in internet delle sue canzoni, dice che la sua più grande paura è “che domani mi restituiscano mio fratello in una scatola di legno”.
Uno zio del ragazzo, Edgar Trejo, ha detto che la famiglia aveva lottato non solo per capire come il musicista sia finito in una prigione lontana, ma anche la svolta degli eventi in “un paese così organizzato e giusto” come gli Stati Uniti. Molto tempo fa, ha detto Trejo, pastore a Caracas, è arrivato a credere che gli Stati Uniti fossero “il poliziotto di Dio sulla terra”. A Caracas, la famiglia si era abituata a portare via le persone senza un processo preliminare. Ora, ha detto, “quello che abbiamo visto qui”, in Venezuela “lo stiamo vedendo anche lì”.