Le indagini
Omicidio del giudice Scopelliti, dopo 34 anni nuovi rilievi sull’auto in cui morì ucciso dai sicari di ‘ndrangheta

A quasi 34 anni da quel 9 agosto 1991, quando Antonino Scopelliti, sostituto procuratore generale presso la Corte di Cassazione, venne ucciso in un agguato mentre viaggiava da solo a bordo della sua Bmw nera per recarsi a Villa San Giovanni, in Calabria, di rientro da una giornata trascorsa al mare, c’è chi ancora indaga su quell’omicidio.
L’ultima svolta dell’inchiesta condotta da Giuseppe Lombardo, procuratore facente funzioni della Dda Reggio Calabria che iniziò ad indagare sulla morte di Scopelliti quando era pm, è arrivata in queste ore: nuovi rilievi scientifici si svolgono infatti sul luogo dell’attentato in cui il giudice perse la vita.
Da Roma sono giunti specialisti e l’auto di Scopelliti, una Bmw 318i che è stata riportata sul luogo in cui il giudice perse la vita per effettuare nuove indagini, nuove proiezioni e calcoli su quanto accaduto quel giorno in cui un commando armato poco prima delle 17:30 lo sorprese e uccise a colpi d’arma da fuoco. Scopelliti, colpito alla testa, morì sul colpo e l’automobile, priva di controllo, finì in un terrapieno: per questo in un primo momento si pensò a un incidente stradale.
Proprio il fucile utilizzato per l’omicidio Scopelliti ha dato la decisiva svolta nel riaprire le indagini: l’arma usata dai sicari per uccidere il giudice, che avrebbe dovuto rappresentare l’accusa contro gli imputati del maxiprocesso di mafia istruito da Giovanni Falcone a Palermo, è stata ritrovata nel 2018 nel Catanese grazie alle indicazioni dell’ex collaboratore di giustizia Maurizio Avola.
Così da questa mattina si ritorna a lavorare sulle indagini in quel tratto di strada nella frazione Ferrito di Villa San Giovanni a Piale di Campo Calabro. La polizia, riferisce l’Agi, ha riprodotto fedelmente quanto si trovarono davanti gli investigatori intervenuti dopo l’agguato costato la vita a Scopelliti: la Procura di Reggio Calabria ha dato incarico alla Beretta di riprodurre l’arma usata dai sicari, una doppietta Arrizabalà calibro 12 di fabbricazione spagnola, di cui parlava il pentito Maurizio Avola, e hanno portato sul luogo dell’agguato una moto di grossa cilindrata uguale a quella del delitto, una Honda Gold Wing, che si differenzia da quella dei killer solo nel colore, bianca anziché amaranto.
Dopo l’esplosione dei colpi da parte dei sicari, e la morte del magistrato, l’auto, che in questi anni è rimasta nella disponibilità della famiglia Scopelliti, finì fuoristrada in curva in un fosso tra filari di ulivi, sullo sfondo lo stretto. In quel punto l’hanno riportata per ricostruire la scena dell’agguato, la balistica, la precisa direzione dei colpi esplosi dal commando.
Le prime indagini sull’omicidio Scopelliti si basarono sul racconto dei pentiti di ‘ndrangheta Giacomo Lauro e Filippo Barreca: i due evocarono un presunto “patto” tra la cupola siciliana di Cosa Nostra e la ‘ndrangheta calabrese, con la mafia siciliana a chiedere l’omicidio del giudice di Cassazione in cambio della cessazione della “guerra di mafia” in corso a Reggio Calabria.
Vennero istruiti e celebrati due processi presso il Tribunale di Reggio Calabria, uno contro contro Salvatore Riina e sette boss della ‘Commissione’ di Cosa Nostra, e un secondo procedimento contro Bernardo Provenzano ed altri sei boss, tra i quali Filippo Graviano e Nitto Santapaola: dopo le condanne in primo grado nel 1996 e nel 1998, in Appello due anni dopo tutti gli imputati vennero assolti.