Galimberti parla, il governo ringrazia: perché le sue parole sono pericolose e violente

News - di Redazione Web

27 Febbraio 2025 alle 16:22

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Galimberti parla, il governo ringrazia: perché le sue parole sono pericolose e violente

Riceviamo e pubblichiamo un intervento di Marianna Monterosso, musicista, attivista per il contrasto all’abilismo, referente Intergruppo Parlamentare Diritti Fondamentali della Persona, in risposta a un articolo pubblicato da questo giornale a proposito delle dichiarazioni del filosofo Umberto Galimberti su scuola, disabilità e disturbi specifici dell’apprendimento. 

C’è un vecchio trucco della politica: se vuoi tagliare su qualcosa di importante – sanità, scuola, welfare – la prima cosa che fai è seminare il dubbio. “Siamo sicuri che serva davvero tutta ‘sta roba?” “Non è che se ne stanno approfittando?”. E per rendere il tutto più credibile devi trovare qualcuno con un nome altisonante e un microfono davanti per dirlo.

Ecco, in questo scenario questa volta entra in campo Umberto Galimberti che, come riportato da L’Unità in un articolo del 25 febbraio scorso, a un evento sulla scuola organizzato da Confartigianato Vicenza ci ha regalato perle come “ci sono troppi dislessici e autistici” e “la scuola è diventata una clinica psichiatrica”. Ma attenzione: non si tratta solo delle sue parole (ignoranti, errate, violente, ci arriviamo).

Il problema è che queste affermazioni trovano spazio sui giornali, spesso senza verifica e senza contraddittorio, proprio mentre il governo Meloni sta tagliando i fondi a scuola e sanità, e tenta in queste ore di prorogare al 2027 la Legge sulla Vita Indipendente, la n.227 del 22/12/2021, che riguarda la riorganizzazione dei Servizi a disposizione delle persone con disabilità.

Ora, chiariamo subito una cosa: Galimberti è un filosofo, non un neuropsichiatra. Non ha alcuna competenza su autismo, DSA, ADHD o didattica inclusiva. Se volesse parlarci di Heidegger potremmo pure stare ad ascoltarlo con interesse, ma se si mette a pontificare su diagnosi e insegnanti di sostegno no, mi spiace, non sono disposta a farlo, non funziona così. Inutile dire che non basta essere esperti in un campo per esserlo in tutto, altrimenti domani io vado in sala operatoria e pretendo di fare un trapianto di cuore perché ho letto un trattato di cardiochirurgia. Vedete, Galimberti, agiatamente seduto sul trono della sua paternalistica – ma presunta – onniscienza, è la prova vivente che dire una cosa con convinzione non la rende automaticamente vera, e adesso ve lo dimostro. Punto per punto.

“Ai miei tempi non c’erano tutti questi autistici!”.

Vero! Non c’erano neanche il vaccino per la poliomielite e il diritto di voto per le donne, sarà nostalgia del passato? Galimberti nasce nel 1942, quando ancora non esistevano l’ICD, la Classificazione Internazionale delle malattie, strumento promosso dall’OMS e pubblicato per la prima volta nel 1946 (oggi siamo all’undicesima edizione) e il DSM, il Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali che dal 1952 è arrivato alla sua quinta revisione. Il fatto che oggi si parli di più di autismo e DSA non significa che “ne spuntino fuori troppi”, ma che finalmente li riconosciamo. Prima i bambini – e le bambine – autistici venivano lasciati ai margini, stavano nelle classi differenziali (ricordo che sono state abolite nel 1977 con la Legge n.517) o erano segregati in casa. Prima i bambini dislessici erano additati come svogliati o maleducati, erano quelli che “non si impegnavano abbastanza”. Non erano di meno quindi, erano solo più discriminati. Dire “ai miei tempi non c’erano” è come dire che nel Medioevo non c’era il cancro. No, semplicemente non sapevano diagnosticarlo.

Davvero i genitori si inventano le diagnosi – lui le chiama “ricette” – per facilitare i figli?

Facciamo un rapido test di realtà.

Immaginate un genitore che scopre che la propria figlia potrebbe essere autistica o DSA. Il suo percorso sarà questo:

  • Aspettare mesi (se non anni) per una diagnosi.
  • Pagare privatamente centinaia di euro perché il pubblico non ha risorse.
  • Lottare con una scuola che spesso ostacola più che aiutare.
  • Vedere la propria figlia etichettata, esclusa, bullizzata.

Qualcuno mi spiega in quale metaverso tutto questo sarebbe un “vantaggio”? Perché mai un genitore con un po’ di sale in zucca dovrebbe inventarsi una diagnosi, sapendo che la strada che lo aspetta sarà in salita?

La filosofia del professore è che le diagnosi di DSA servano come scuse per chi va male a scuola. Non hai fatto i compiti di matematica? Niente panico, invece di dire che te li ha mangiati il cane basta sventolare un certificato di discalculia e sei giustificato! E infatti parla di “patologizzazione delle insufficienze”, – che è ben diversa dalla “patologizzazione delle diversità”, un tema serissimo su cui tanti di noi attivisti ci battiamo. Galimberti usa questa idea per negare la realtà: non si stanno diagnosticando “insufficienze”, si stanno riconoscendo funzionamenti diversi, che hanno bisogno di strumenti adeguati per garantire il diritto allo studio.

Perché il punto è questo: senza diagnosi non ci sono tutele né pari opportunità.

Ancora – ve l’avevo detto, punto per punto – l’allarmismo sull’incremento delle diagnosi di autismo e DSA rafforza un’idea pericolosa: quella che le diagnosi siano gonfiate, o che le persone si autodiagnostichino a caso, che neuropsichiatri, neuropsicologi e specialisti concedano certificazioni con leggerezza.

Ma davvero qualcuno crede che professionisti della salute mentale siano lì a distribuirle come fossero caramelle? Che tutto il lavoro di valutazione clinica, test, osservazione sia una farsa? Perché se il problema fosse che “oggi siamo tutti autistici”, allora il primo a dover essere messo in discussione non sarebbero i genitori ma chi quelle diagnosi le fa. A questo modo si screditano non solo le persone neurodivergenti ma anche chi ogni giorno lavora per riconoscerle e supportarle.

Insegnanti di sostegno? Ma stiamo scherzando?

Il professore di filosofia sostiene che gli insegnanti di sostegno dovrebbero essere dati solo a chi ha “veri problemi psicologici” e non ai bambini dislessici. Peccato che chi è dislessico non ha diritto all’insegnante di sostegno. Gli studenti certificati con Disturbi dell’Apprendimento hanno strumenti compensativi e un Piano Didattico Personalizzato (PDP) che non prevede il docente di sostegno, destinato invece a chi ha una certificazione di disabilità dalla Legge 104/92.

Il filosofo evidentemente non solo non conosce come funziona la scuola ma probabilmente non ha mai preso in mano la Costituzione italiana e letto l’art.3, che garantisce uguali diritti e pari opportunità a tutti i cittadini e le cittadine, tra questi diritti fondamentali vi è anche quello all’istruzione.

Galimberti forse non sa che non esistono studenti di serie A e studenti di serie Z e che la scuola pubblica dovrebbe garantire che tutti abbiano gli strumenti per apprendere, e sì, anche l’insegnante di sostegno per i bambini dislessici, se fosse previsto dalla legge.

E qui arriviamo al punto più pericoloso del suo discorso: la gerarchizzazione delle disabilità. Dire che ci sono troppi bambini con supporto educativo-didattico alimenta la guerra tra poveri. I genitori sono già esasperati dai tagli: la scuola non ha fondi, gli insegnanti mancano, il supporto è spesso inadeguato. Invece di arrabbiarsi con il governo che taglia, però, si finisce, seguendo la filosofia galimbertiana, per arrabbiarsi con l’altro genitore o, peggio, con l’altro bambino. “Ma tuo figlio ha davvero bisogno del sostegno se non è “grave”? “Non è che sta rubando risorse al mio?”.

Ed è così che il governo vince: ci mettono uno contro l’altro, mentre loro smantellano il sistema.

La Stampa ha una responsabilità, grande, nella narrazione della disabilità.

Veniamo a L’Unità, che ha dato spazio a queste dichiarazioni. Quando ne ho criticato la scelta nel mio post su Instagram, mi è stato risposto di rileggere l’articolo in questione, intendendo che non si giustificava Galimberti, c’era scritto che aveva usato “toni affilati”.

Sarò diretta: dare spazio a un linguaggio abilista, discriminatorio e violento è già una scelta editoriale. Scrivere “haXXicapXati” e “invXlidi” è inaccettabile. Da persona autistica e discalculica, posso assicurare che leggere certe cose fa male.

I giornalisti hanno validissimi strumenti per informarsi, l’Ordine ha pubblicato linee guida chiare su come parlare di disabilità, l’Intergruppo Parlamentare per i Diritti Fondamentali della Persona di cui sono referente ha consegnato all’OdG un Manifesto Antiabilista* per la regolamentazione del linguaggio su stampa, media e socialmedia: ci sono parole che non devono più essere utilizzate non solo per rispetto verso tutte le persone disabili e neurodivegenti, ma per legge, la H-word è stata vietata!

Quindi le domande sono: perché queste cose accadono ancora? Perché quando si parla di autismo e neurodivergenza si lascia spazio a chi non è competente? Perché si amplifica la voce di chi discrimina e instilla il dubbio che una risorsa essenziale come l’insegnante di sostegno sia sprecata per gli studenti che hanno funzionamenti mentali diversi dalla norma statistica?

E perché, invece, non fare la scelta di titolare l’articolo mettendo in evidenza la violenza di quelle parole, mettendo alla gogna chi le ha usate pubblicamente, impedendogli così di ripeterle in altre occasioni e costringendolo, forse, alle scuse?

C’è un filo conduttore tra le parole di Galimberti e la narrazione tossica che da troppo tempo gira sui media: l’autismo come problema, come spesa pubblica insostenibile, come minaccia, fino ad arrivare a quella peggiore che la stampa sta veicolando senza tregua, l’autismo come pericolo. Lo abbiamo visto quando hanno associato l’autismo a Filippo Turetta, ai ragazzi degli stupri di Palermo, a Elon Musk quando ha fatto il saluto nazi-fascista, a Kanye West per i suoi gesti antisemiti.

Questo non è un caso. Queste narrazioni sono assist perfetti per avallare chi legifera per la repressione. Quando un governo decide che un gruppo di persone è un problema, sappiamo tutti come va a finire. E infatti, si continuano a finanziare le strutture segreganti dove rinchiuderci – siamo in troppi per convivere nella società –  invece che investire sui Progetti di Vita Indipendente, e mentre si costruisce questa immagine dell’autistico violento, il governo sta discutendo un Disegno di Legge (DDL Zaffini) che prevede di essere schedati come soggetti socialmente pericolosi e autorizza la contenzione fisica per chi ha crisi in pubblico da parte dei pubblici ufficiali. Vorrei ricordare al professor Galimberti che pubblici ufficiali sono anche gli insegnanti. Ah già… per lui probabilmente non sarebbe così grave… ai suoi tempi bastava un ceffone del maestro e diventavano tutti bravi discenti.

Eppure, la realtà è un’altra: una crisi autistica non è violenza, e spesso è una reazione all’ambiente, a un contesto che non accoglie, che reprime, che sovraccarica. Ma l’opinione pubblica, a furia di sentire che “gli autistici sono troppi e sono pericolosi”, finisce per crederci.

Ecco perché sostengo che dare spazio all’incompetenza, all’ignoranza e a parole discriminatorie non è semplice superficialità, ma propaganda. Perché lo stigma fa comodo, è il nemico perfetto costruito da un governo che ha bisogno di bersagli per giustificare leggi che restringono i nostri diritti. E se questo succede, la responsabilità non è solo di chi governa, ma anche di chi gli fa da megafono.

Ringrazio la redazione de L’Unità per questa opportunità di contraddittorio e per il confronto su un tema, quello dell’abilismo, che mi sta profondamente a cuore. Spero che questo dibattito non resti un episodio isolato, ma sia l’inizio di una riflessione più ampia su come il linguaggio e la narrazione sulla disabilità influenzino i diritti, le politiche e, soprattutto, la vita delle persone disabili e neurodivergenti.

27 Febbraio 2025

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