La retata a Palermo

Maxiblitz antimafia in Sicilia, così crolla la presunzione d’innocenza

La retata in Sicilia è stata accolta da titoloni assai poco garantisti, ma la Costituzione vale anche per chi è accusato di mafia...

Cronaca - di Frank Cimini

14 Febbraio 2025 alle 13:30

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Photo credits: Saverio De Giglio/Imagoeconomica
Photo credits: Saverio De Giglio/Imagoeconomica

“Centottantatre arresti tra gli uomini dei clan”. “Smantellate le cosche”. “Colpita la riorganizzazione di Cosa Nostra”. Questi i titoli dei giornali, delle agenzie di stampa, dei siti. Un fiume di dichiarazioni di esponenti politici di tutti i partiti che si complimentano con i magistrati. Addirittura entusiasti anche gruppi di avvocati penalisti. In pratica non ci sono voci critiche sul blitz siciliano. La presunzione di innocenza pare abrogata completamente. Ai tempi del ministro Cartabia era stata tutta una raccomandazione, un invito pressante a rispettare gli arrestati, un invito alle forze dell’ordine a non presentare in conferenza stampa le operazioni con titoli che spazzavano via ogni perplessità. “Disarticolati i mandamenti mafiosi della città di Palermo e provincia in particolare quelli di Porta Nuova, Pagliarelli, Tommaso Natale-San Lorenzo, Santamaria del Gesù, Bagheria. Associazione mafiosa tentato omicidio estorsioni, traffico di droga, reati in materia di armi, esercizio a usi o del gioco di azzardo”.

Sembrano una voce nel deserto le parole dell’avvocato radicale Maria Brucale: “Sento e leggo penalisti esaltare gli arresti oltre 180 a Palermo in una operazione antimafia. Tutto bene ma la presunzione di innocenza? Credo che dovrebbe essere anche affar nostro”. Si tratta di numeri spropositati considerando le esperienze passate anche recenti tipo le retate del procuratore Nicola Gratteri in Calabria che dovrebbero indurre quantomeno a una maggiore prudenza a una minore esaltazione. Per l’avvocato Rocco Chinnicisono processi cumulativi con rischi notevoli di compromissione del diritto di difesa, bisognerebbe come avvocati e come cittadini fare altre riflessioni”. Bisogna chiedersi come si fa a difendersi in un processo con 183 imputati.

È accaduto in passato che giudici togati e popolari abbiano ammesso di non ricordare neppure le facce delle persone che stavano in gabbia. Sicuramente pesa sull’entusiasmo generale il fatto che a coordinare l’indagine ci sia il procuratore che aveva messo fine alla più che trentennale latitanza di Matteo Messina Denaro. Le conversazioni intercettate in cui gli indagati sembrano confessare la loro appartenenza alle cosche con riflessioni che lamentano di non avere più la potenza del passato servono a completare il quadro. Per il momento non restare che aspettare le prime udienze davanti al Tribunale del Riesame per avere un’idea meno imprecisa anche se le modalità dell’operazione e il clima generale non sembrano rassicurare sul rispetto dei diritti.

14 Febbraio 2025

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