La morte del boss

Con la morte di Matteo Messina Denaro seppelliamo anche la peggiore antimafia

Ha ragione il presidente Grasso quando commenta che la morte del boss di Castelvetrano chiude un’era, ma non chiude la lotta a “cosa nostra”.

Giustizia - di Alberto Cisterna - 26 Settembre 2023

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Con la morte di Matteo Messina Denaro seppelliamo anche la peggiore antimafia

E ora? La morte di Messina Denaro chiude per sempre le porte di guerra del tempio di Giano spalancate da “cosa nostra” con le stragi del 1992 e 1993 e si porta – dovrebbe portarsi – con sé negli abissi anche un pezzo sostanzioso della peggiore antimafia. Quella retorica, chiacchierona, complottista, con le mani in pasta in rivoli di denaro pubblico sperperati, in buona parte, in celebrazioni, musei, pubblicazioni, festival, osservatori, commissioni e centri studi di varia natura.

Messina Denaro, quanto meno sotto il profilo della legittimazione storica, politica e anche morale si trascina nella tomba una postura, un linguaggio e, in fin dei conti, un’ideologia che grandi danni ha cagionato alla lotta alla mafia quanto meno negli ultimi 15 anni. Se e vero, come è vero, che al di là di ipotesi, dietrologie, azzardi vari, nessuno è da tempo in grado di dire con una certa serietà dove siano le mafie – quelle importanti – di cosa si stiano occupando, dove davvero siano custoditi (se esistono) i miliardi di euro delle sue spettacolari ricchezze.

Calata si spera la cortina fumogena che, per troppo tempo, ha inquinato la comprensione dei fenomeni, messe da parte ipotesi di complotti e di inconfessabili trattative, lasciati i morti a seppellire i morti, si può guardare un po’ più fiduciosi a un cambio di passo, a un reset delle analisi finora andate in voga e a un approccio finalmente serio, documentato, attendibile sull’evoluzione della criminalità mafiosa in Italia. Per molto tempo ha avuto ragione chi, in assoluta solitudine (a esempio Aldo Varano. Quell’inutile Commissione antimafia che serve solo per “sistemare” qualche parlamentare, su Il Dubbio del 31.5.2023) ha puntato il dito contro la sostanziale inutilità della Commissione parlamentare antimafia che, per legislature e legislature, si è spesso limitata a operare da cassa di risonanza mediatica e carrieristica di alcune indagini e di alcuni pubblici ministeri, rinunciando al ruolo che le compete di commissione d’inchiesta, proiettata non verso la rimasticatura di informative di polizia, ma a orientare il Parlamento nella sua insostituibile attività di propulsore dell’attività di prevenzione e repressione dei fenomeni mafiosi.

Se, del caso, anche ascoltando le proposizioni di quanti, in contrapposizione alla main stream mediatica, ritengono che ci siano responsabilità enormi della lotta alla mafia in questo paese da imputare, in parte ragguardevole, a chi volgendo lo sguardo perennemente al passato ha trascurato di comprendere quale fosse l’evoluzione futura dei potentati mafiosi. Ecco la morte di Messina Denaro – come un tragico Commentatore che trascina con sé nelle fiamme il don Giovanni di Mozart – potrebbe consentire il lento, ma indispensabile affrancarsi della vera antimafia da un fardello tanto pesante quanto inutile perché inadeguato, stantio, ammuffito da celebrazioni, decorazioni, pubblicazioni in gran parte autocelebrative. Ha ragione il presidente Grasso quando commenta che la morte del boss di Castelvetrano chiude un’era, ma non chiude la lotta a “cosa nostra”.

Il punto è, però, da dove partire. Ossia come riannodare le fila di strategie investigative troppe volte finite – almeno dal 2008 all’epoca della rilevante collaborazione di Gaspare Spatuzza – nelle mani di pentiti di terza e quarta fila, di opachi rigattieri di informazioni orecchiate, di fumisterie complottistiche. Il tutto aggravato dal grido d’allarme lanciato dal procuratore nazionale Melillo a proposito dell’inefficacia degli strumenti d’intercettazione, dell’inadeguatezza delle tecnologie a disposizione delle forze di polizia rispetto ai mezzi di comunicazione dei clan, della perdita di un prezioso canale di acquisizione delle prove.

Con una stagione delle collaborazioni di giustizia quasi alla bancarotta (quanto meno per le più rilevanti e strategiche penetrazioni investigative) e con le intercettazioni al capolinea dell’obsolescenza tecnica, nessuno dice quali debbano essere le nuove modalità d’approccio, quali i protocolli da reinventare, quanto spazio possa avere, a esempio, lo strumento degli agenti sotto copertura che pochissimi uffici giudiziari utilizzano e che pur ha dato (si veda la recente indagine della procura di Trento sul riciclaggio dei narcodollari) risultati di assoluto rilievo.

Insomma, il male incurabile che ha stroncato anzitempo la vita dell’appena sessantenne Messina Denaro, potrebbe rivelarsi un bene di inestimabile valore per quanti ritengono che le mafie e le loro propaggini istituzionali, politiche e soprattutto economiche si siano troppo avvantaggiate delle “prediche inutili” degli officianti di una certa antimafia e che sia giunto il momento di volgere lo sguardo a un ignoto presente e a un futuro gravido di troppa materia oscura e poche stelle.

26 Settembre 2023

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