La partita veneta
Veneto, Regionali fronte di scontro tra Meloni e Salvini: Zaia pronto a correre da solo, a rischio anche il governo
Politica - di Carmine Di Niro

È il Veneto il nuovo fronte caldissimo di scontro tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il suo vice e leader della Lega Matteo Salvini, a sua volta alle prese con un partito in subbuglio.
I problemi derivano dalla decisione presa dall’esecutivo, col Carroccio costretto a dire sì per non segnare una rottura praticamente insanabile, di impugnare la legge elettorale campana varata dal governatore Vincenzo De Luca per poter ignorare il tetto dei due mandati e candidarsi per la terza volta.
La mossa blocca De Luca, dando anche una mano alla segretaria Dem Elly Schlein che non vuole un terzo mandato per il governatore uscente, ma è un messaggio anche al “doge” veneto Luca Zaia, che vorrebbe restare al governo della Regione addirittura per la quarta volta.
Non sono un mistero le mire di Fratelli d’Italia sul Veneto: Meloni vuole un suo candidato alle prossime elezioni regionali e lo ha detto chiaramente al suo vicepremier e ministro delle Infrastrutture. Fratelli d’Italia è l’unico partito della destra che, pur essendo di gran lunga il più forte, non governa nessuna Regione del nord.
La palla è ora in mano a Salvini, che dovrà fare i conti con Zaia e con la forte Lega Veneta: in Consiglio regionale il Carroccio, assieme alla lista Zaia, che cinque anni fa prese il 44%, può contare sulla bellezza di 40 eletti.
E Zaia di fare un passo indietro non ha intenzione. Il governatore lo ha ribadito con tanto di frecciatine alla premier Meloni: Zaia ha definito “inaccettabile dire che si blocchino dei mandati a amministratori eletti direttamente dal popolo altrimenti si creano centri di potere”, definendo “stucchevole che la lezione venga da bocche che da 30 anni sono sfamate dal Parlamento”, con evidente riferimento proprio alla presidente del Consiglio.
Anche sulle chiare aspirazioni di Fratelli d’Italia a candidare un suo esponente in Veneto Zaia non nasconde l’irritazione: “È legittimo ma allora, se ci diranno che non abbiamo amministrato bene, le strade si separano”.
Tra questi due fuochi si trova, in chiara difficoltà, Matteo Salvini. Accettare un candidato della destra non leghista sarebbe una sconfitta di portata inaudita e forse fatale per la sua leadership nel Carroccio, oltre a creare le basi per una possibile spaccatura in Veneto, con Zaia che potrebbe pensare di correre da solo. Circostanza che avrebbe ripercussioni a Roma, con la tenuta dell’esecutivo che inizierebbe come ovvio a dare chiari segni di cedimento.
Per questo si rincorrono “voci di palazzo”, in particolare tra chi evoca uno “scambio” tra premier e vice: il Veneto a Zaia, che in caso di ricandidatura è chiaramente strafavorito alle urne, in cambio di un candidato di FdI in Lombardia, altra “culla” del leghismo. Altra ipotesi riguarda un secondo tipo di scambio: il Viminale a Salvini, che ripetutamente ha evocato il suo ritorno al Ministero degli Interni dove attualmente siede Matteo Piantedosi, in cambio del Veneto.