Il caso delle stragi di mafia
Accanimento di Ranucci su Berlusconi: ancora fango di Report nonostante quattro archiviazioni…
La trasmissione ha propinato ancora la storiella del Silvio mafioso finanziato dalla mafia, già bocciata più volte dai giudici. FI insorge: “Ranucci un clown”
Giustizia - di Paolo Comi

La morte di Silvio Berlusconi deve essere stata sicuramente un trauma per la redazione di Report. La trasmissione di Rai3 diretta da Sigfrido Ranucci, colui che afferma di essere “lo Stato nello Stato” e di avere in mano ben “cinque Procure”, è riuscita nell’impresa questa settimana di mandare in onda una puntata sulla vita del Cavaliere senza alcuna notizia nuova.
Ranucci, pagato con il canone pubblico, ha propinato ai suoi fedelissimi la solita ministra riscaldata, e quindi che Forza Italia venne fondata a seguito delle difficoltà finanziarie di Berlusconi e che Marcello Dell’Utri è stato, fin dal 1974, il tramite fra quest’ultimo e Cosa nostra. Questo stanco copione è stato rinvigorito dall’indagine, che si trascina stancamente da più di un lustro, della Procura di Firenze, recentemente azzoppata nel suo vertice con l’annullamento della nomina del procuratore Filippo Spiezia, che ha iscritto nel registro degli indagati Berlusconi e Dell’Utri come mandanti esterni delle stragi di mafia del 1993, in concorso con i boss Filippo e Giuseppe Graviano, detenuti ininterrottamente dal 1994 al 41 bis.
L’indagine è stata aperta dagli allora procuratori aggiunti Luca Turco e Luca Tescaroli, il primo dal mese scorso in pensione, il secondo promosso procuratore a Prato. Le stragi, secondo gli inquirenti, avevano lo scopo di indebolire il governo Ciampi ed avevano l’obiettivo di “diffondere il panico e la paura fra i cittadini in modo da favorire l’affermazione del progetto politico di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri”. La tesi, va ricordato a Ranucci, è sempre la stessa da trent’anni a questa parte, con Dell’Utri “portatore di un profilo particolarmente adatto per alimentare intese stragiste, in ruolo di trait d’union fra Berlusconi e la criminalità mafiosa dal 1974 al 1992”, il quale con le conoscenza mafiose ha poi alimentato la nascita di Forza Italia.
Questa stranoto canovaccio prevede poi il solito Vittorio Mangano, lo stalliere di Arcore, al soldo di Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca e quindi dei fratelli Graviano. E i soldi dati negli anni da Berlusconi a Dell’Utri, puntualmente elencati durante la trasmissione, sarebbero la contropartita per le condanne patite e il suo silenzio nei processi penali che lo hanno visto e lo vedono coinvolto. Tescaroli, per la cronaca, non è mai riuscito a portare a processo Berlusconi e Dell’Utri, e ha dovuto aprire e chiudere continuamente con archiviazioni sempre la stessa vicenda. Dopo quattro procedimenti chiusi già nella fase delle indagini preliminari, ecco dunque arrivare l’ultimo atto con alcune chicche inedite.
Ad esempio, i cellulari dei Graviano nel 1993 avrebbero agganciato diverse volte le stesse celle telefoniche di quelli in uso a Dell’Utri e Berlusconi. Tale coincidenza sarebbero la prova dell’avvenuto incontro fra loro anche se Dell’Utri e Berlusconi hanno sempre smentito i rapporti con i due boss. L’asso nella manica dei pm sarebbe comunque Salvatore Baiardo, il gelataio di Omegna che in passato era stato condannato per aver favorito la latitanza dei fratelli Graviano. Baiardo, intervistato anche da Report, aveva detto di aver visto le fotocopie dell’agenda rossa su cui il magistrato Paolo Borsellino annotava i suoi appunti riservati in mano a diversi boss, come Matteo Messina Denaro. Attraverso il social cinese Tik Tok, Baiardo aveva successivamente smentito quelle affermazioni.
Il gelataio pentito di Omegna avrebbe quindi mostrato a Massimo Giletti una foto dove a suo dire ci sarebbero stati ritratti Berlusconi, Giuseppe Graviano e il generale dei carabinieri Francesco Delfino. I tre sarebbero stati immortalati sulle sponde del lago d’Orta. Praticamente un racconto oltre l’immaginazione.
Il teorema della Procura di Firenze, sponsorizzato pancia a terra da Ranucci, si scontra con le risultanze del processo Trattativa Stato-mafia, ormai conclusosi con sentenza passato in giudicato. Nel procedimento, che aveva visto sul banco degli imputati i vertici del Ros dei carabinieri che avevano catturato Totò Riina, ad iniziare dal generale Mario Mori, Dell’Utri era colui che aveva veicolato la minaccia mafiosa al primo governo Berlusconi. Per i pm fiorentini, invece, l’ex presidente del Consiglio sarebbe arrivato al governo proprio grazie alle stragi e all’appoggio di Cosa nostra, anche se in quel periodo non esisteva Forza Italia e le tv del biscione appoggiavano i pm di Mani pulite.
Insomma, un canovaccio che si ripete con gli stessi protagonisti. Il servizio di Report “appartiene alla categoria del peggior pattume mediatico-giudiziario”, ha commentato ieri Marina Berlusconi, presidente della Fininvest. “Rimestando per quasi due ore in un bidone di accuse sconnesse, illogiche, già smentite mille volte, utilizzando prevalentemente, addirittura, brani di puntate precedenti, e dando voce a personaggi più che screditati, la trasmissione ha tentato di riesumare le infamanti, paradossali accuse di una presunta vicinanza di mio padre alla criminalità organizzata: accuse ormai vecchie un quarto di secolo e tutte regolarmente sepolte sotto le plurime archiviazioni decise – sempre su richiesta degli stessi inquirenti – dai Tribunali di Palermo, di Caltanissetta e di Firenze”, ha aggiunto la figlia dell’ex premier. Accuse “totalmente false finite nel nulla, insomma, così come nel nulla non potrà che finire anche l’ultima di queste inchieste, assurdamente riaperta a Firenze molti anni fa, dopo quattro successive archiviazioni”, ha sottolineato la presidente della Fininvest, ricordato che “per mio padre parlano i fatti: Silvio Berlusconi è sempre stato in prima fila contro tutte le mafie”.
Marina ha quindi elencato i provvedimenti varati sotto i governi presieduti dal padre, come la stabilizzazione del carcere duro per i boss mafiosi, la creazione dell’Agenzia nazionale per la gestione dei beni sequestrati, ed il primo Codice antimafia nel 2011. “Report – ha quindi puntualizzato Marina – resta fedele al proprio dogma di disprezzo per la verità e per le garanzie processuali, oltre a perseverare nel consapevole esercizio del peggior ‘disservizio pubblico’, che non danneggia soltanto la memoria di Berlusconi, ma tutti coloro che avrebbero diritto a un’informazione basata sui fatti. Con l’aggravante di accanirsi su un uomo che, scomparso oltre un anno e mezzo fa, non può più difendersi”. “Nel suo delirio calunniatorio non riesce a trattenersi nemmeno davanti alla morte: i suoi autori non solo hanno scelto di inserire nel loro montaggio alcune riprese del funerale di mio padre senza che ce ne fosse alcuna necessità, ma sono arrivati a irridere quei momenti di cordoglio, sovrapponendo alle immagini del suo feretro una canzonetta ironica, più che una colonna sonora, una colonna infame che viola non solo la deontologia giornalistica, ma il rispetto stesso della dignità umana”, ha concluso la figlia dell’ex premier, annunciato che farà ricorso con tutti gli strumenti legali per reagire a questo “ignobile e vergognoso esercizio di pseudo-giornalismo”.
Come se nulla fosse, Ranucci ieri ha difeso la sua “inchiesta rigorosa, di grande interesse pubblico che è stata seguita da punte di oltre 1,5 milioni di telespettatori”. Una inchiesta “basata su documenti e dichiarazioni vagliate dai magistrati”. “Si è dato conto – ha spiega il conduttore – delle novità emerse dalle perizie finanziarie economiche dalla Procura di Firenze dove Silvio Berlusconi era indagato e dove oggi è ancora indagato Marcello Dell’Utri. Si è data possibilità alla famiglia e a Dell’Utri di intervenire, in alternativa si è dato ampio spazio alle risposte dei legali nel corso dell’inchiesta e degli studi”. “Lette le dichiarazioni di Ranucci crediamo che il contenuto di quel che dice lo renda degno al massimo di un programma comico in quarta serata. Perché la sua attendibilità è pari a quella di un clown”, hanno replicato i senatori di Forza Italia in una nota.