Dieci anni fa l'attentato
Ricordo di Georges Wolinski e dei martiri laici della strage di Charlie Hebdo
Il sarcasmo, il riso demolitore, la lotta contro il conformismo che si pasceva della riprovazione borghese. Tutti valori estinti, che Wolinski incarnava a perfezione. Quanto ci manca quel tempo in questo tempo cupo!
Editoriali - di Fulvio Abbate
Dieci anni appena adesso dalla strage islamista di “Charlie Hebdo”, dieci anni, un secolo, una vita; un ciclo storico, quasi. Il tempo di perderne memoria “civile” esatta. Proprio ieri, scorrendo la pagina Instagram del giornale che da sempre si dichiara politicamente “Stupido e Cattivo” (anzi, “Bête et Méchant”) insieme ad “Hara-Kiri”, magazine compagno d’avventura, ho notato che i milioni di “cittadini”, pronti a occupare le piazze in nome del “Siamo tutti Charlie”, sono come svaniti, assenti all’appello: soltanto 209.000 anime resistenti a seguirne ormai il profilo ufficiale.
Chi era Georges Wolinski, il fumettista di Charlie
Delle voci di “Charlie” custodisco, da sempre, il ricordo personale di Georges Wolinski, suo editorialista a fumetti principe. Incontrarlo, da amico, nella sua casa parigina di rue Bonaparte era per me motivo di gioia e vanto, come se andassi a far visita alla storia trascorsa del Sessantotto francese. A Georges, che in ogni disegno faceva brillare sesso e politica. Proprio Wolinski, felicemente, oscenamente, orgiasticamente “comunista”. Ora vignettista “ufficiale” del PCF al tempo di Georges Marchais, sulle colonne severe de “l’Humanité”, ora compagno informale di strada dei trotskisti di “Rouge”. Wolinski organico e insieme irregolare. Se ne sente l’assenza: mancano le sue tavole, manca la sua ironia, ora “civile” ora espressamente, l’ho detto, sessualmente liberatoria. La Francia, si sappia, è un paese laico, dove ciò che altrove bollano come “blasfemia” è invece ammesso, ritenuto legittimo, in nome delle “virtù repubblicane”, rimaste intatte dai giorni della rivoluzione francese del 1789.
Il nostro primo incontro a Viareggio, lui ospite di un festival cinematografico. L’altro giunto fin lì, sullo stesso litorale dove un tempo Alberto Sordi, nel film Una vita difficile, sputa sulle auto e i torpedoni dei turisti di passaggio urlando loro: “Tornate indietro qui non c’è nulla da vedere…”, proprio in quello stesso tratto di strada della memoria ci siamo trovati, in quel punto esatto della storia. Un’occasione anche per raccontare la sua storia. Esattamente sulle pagine di questo giornale allora. Ed era il 2001. Del nostro incontro è rimasto un disegno affettuoso, lo stesso che trovate riprodotto adesso in prima pagina, un omaggio dedicato ai “compagni” italiani, “fraternamente”.
Georges Wolinski è tra i martiri laici di “Charlie Hebdo”, potrà sembrare retorico, non esiste però altra parola per restituire la sua tragica morte. Infami islamisti, insieme a Georges, hanno assassinato il principio appunto laico e desiderante del piacere, materia narrativa nella quale Georges è stato un gigante, i suoi fumetti, le sue tavole sono infatti letteratura, poco importa se disegnata. Da noi, in Italia, molti lo ricorderanno sulle pagine benemerite di “Linus”. Se dovessimo restituire almeno una delle sue tavole non potremmo fare a meno di citare la storia dove una coppia di ragazzi innamorati distesi a baciarsi su un prato elegiaco riflettendo sulle meraviglie della natura e del creato, ignorano che nel frattempo, tra gli steli d’erba, altrettanto si trovano due cicale gay, barbute, intente a litigare meschinamente per ragioni di gelosia, rinfacciandosi i rispettivi tradimenti.
Era un gigante Wolinski, non meno capace di restituire la scena dei migranti che raggiungono la costa francese venendo giù da un barcone, stanchi e prostrati, pronti a rivolgere la parola a un signore che intanto li osserva passeggiando sulla riva con un cagnolino al guinzaglio, che poi è lo stesso Georges: “È qui la douce France?”.
Escluso Il Male, su cui è appena uscito un libro antologico che ne ricostruisce la straordinaria storia (Gli anni del Male a cura di Mario Canale, Angelo Pasquini e Giovanna Caronia, DeriveApprodi edizioni) l’Italia dello Stivale, gravata dal peso confessionale di un catto-comunismo incancellabile, nell’ambito della satira non può vantare nulla che davvero eguagli, di più, brilli accanto al felice anarco-comunismo di “Charlie Hebdo”. Wolinski tra le sue firme, certo, e ancora Reiser, Choron, Willem, Siné, Cabu, Riss, Gebé, Fred, Roland Topor.
La storia della strage di Charlie
Il numero apparso in edicola dopo l’eccidio, nel tragico gennaio 2015, mostrava una caricatura dolente di Maometto pronto a dire alle vittime dei suoi fedeli: “Tout est pardonné”, tutto è perdonato. “Charlie”, mantenendo fermo il principio della laicità, del sarcasmo e del riso demolitore, nel corso della sua storia editoriale, ha non meno ironizzato spietatamente, felicemente, gioiosamente, su ogni papa cattolico, e ancora sui rabbini, sui poliziotti del CSR, cioè la spietata celere francese, e addirittura perfino su Philippe, figlio del generale Charles De Gaulle, con un titolo tombale: “Tutto il ritratto di sua madre”. Così come ancora nessuno potrà dimenticare molte altre pagine, non meno felicemente spietate, sulle femministe, sui gay, sui fascisti.
Scorrendo molte vignette storiche di “Charlie”, c’è da domandarsi quanto nel nostro presente, segnato da un’ossessione presuntamente etica, molti, virtuosamente, lo possano ritenere doverosamente censurabile, osceno, pronto all’accusa tragicamente sessuofobica d’essere portatore di una subcultura maschilista e patriarcale. Di certo, metti, dalle prefiche e dalle badesse femministe dello schwa. Giunge davvero il sospetto che il passato, il sentimento rivoluzionario e iconoclasta che quella testata ha sempre fatto proprio come bandiera di lotta libertaria, osservata con le pupille sgranate della riprovazione conformistica, ne imporrebbe il requiem definitivo.
Non è infatti forse vero che molta sinistra, che per brevità semantica definiremo edificante, ha trasformato il paesaggio delle idee e perfino della satira in un deserto moralistico? Possiamo dire d’avere nostalgia proprio di Wolinski che, rivolgendosi all’amico e compagno ospite italiano, pronuncia: “In Francia non crediamo alle menzogne della religione”. Ora e sempre “Charlie”!