Il caso della governatrice

Chi ha fatto fuori Todde, nel collegio di garanzia il padre di un non eletto di FI e la sorella di un ex senatore di IV: i nomi

Nel Collegio di garanzia elettorale che ha decretato la decadenza della governatrice Gemma Cucca, sorella dell’ex senatore omonimo di Iv e Tullio Conti, padre del candidato non eletto di FI alle ultime regionali

Politica - di Paolo Comi

8 Gennaio 2025 alle 13:30

Condividi l'articolo

Chi ha fatto fuori Todde, nel collegio di garanzia il padre di un non eletto di FI e la sorella di un ex senatore di IV: i nomi

“Noi non crediamo ai complotti, ma una domanda la poniamo: la sorella ed il padre di due avversari politici della Todde non dovevano astenersi dal giudizio sulla Todde?”, ha scritto ieri Marco Travaglio. Il riferimento è alla presidente della Corte d’Appello di Cagliari, Gemma Cucca, ed al commercialista Tullio Conti, componenti del Collegio di garanzia elettorale che ha decretato alla vigilia di Natale la decadenza, per irregolarità nella rendicontazione delle spese sostenute nelle ultime elezioni, della presidente della regione Sardegna, la grillina Alessandra Todde.

Travaglio non fa i nomi degli “avversari politici” della presidente Todde e allora li facciamo noi: il primo è Giuseppe Cucca, ex senatore Pd, poi in Italia viva, ed ora in Azione, il secondo è invece Filippo Conti, candidato, non eletto, di Forza Italia alle elezioni regionali vinte da Todde. Il direttore del Fatto Quotidiano ha scoperto che esistono i “conflitti d’interesse” e che i magistrati, per primi, vi possono incappare, rendendo necessario il ricorso all’astensione. Nulla di sconvolgente, ovvio. L’obbligo di astensione è previsto dal codice civile del 1940 ed il suo non rispetto da parte del magistrato è causa di illecito disciplinare. La “scoperta” dell’astensione delle toghe da parte di Marco Travaglio ha dunque uno scopo ben preciso: sollevare il dubbio nei lettori del Fatto che gli estensori del provvedimento di decadenza non siano stati terzi ed imparziali nella loro decisione in quanto “influenzati” dalle dinamiche familiari.

Una premessa: non vogliamo entrare nel merito della vicenda dei finanziamenti al comitato elettorale di Todde avendo letto solo il provvedimento del Collegio di garanzia e non le giustificazioni fornite sul punto dalla presidente della Regione che, comunque, ha già dato due versioni differenti riguardo le modalità di tali finanziamenti. Ciò che invece interessa è il ragionamento del direttore del Fatto proprio sulla eventuale mancata astensione. Peccato, infatti, che tali considerazioni Travaglio non le abbia fatte l’anno scorso quando scoppiò l’inchiesta sul governatore di centrodestra della Regione Liguria Giovanni Toti, poi costretto alle dimissioni e al patteggiamento per tornare libero ed evitare di rimanere almeno un decennio in qualche aula di tribunale.

Vale la pena ricordare chi è la madre di Paola Faggioni, la gip del tribunale di Genova che aveva firmato il provvedimento di cattura per Toti e che poi si era sempre espressa in senso negativo per tutte le istanze che chiedevano di attenuare la misura custodiale con una meno afflittiva. Bene, la magistrata è figlia di Maria Rosa Biggi, consigliera comunale a Genova per due mandati, dal 2002 al 2012, prima con la Margherita e poi con il Pd. La circostanza era stata evidenziata dal quotidiano Libero ed aveva provocato l’immediata reazione dell’Anm che aveva accusato il quotidiano di Mario Sechi di voler screditare e mettere in cattiva luce l’operato della magistrata. Seguendo il pensiero di Travaglio, anche la gip Faggioni doveva astenersi vista la parentela con un “avversario politico” di Toti.

Travaglio non ha detto nulla al riguardo ed, anzi, la “sua” presidente era andata a Genova per manifestare con coloro che chiedevano le dimissioni immediate di Toti. Da questa vicenda ciò che emerge è il solito fastidioso ed imbarazzante doppiopesismo che nel caso del M5s raggiunge l’apoteosi. Nello statuto del Movimento inizialmente era prevista l’incandidabilità per chi fosse stato raggiunto da un avviso di garanzia. Poi si è passati al rinvio al giudizio e quindi alla sentenza di primo grado. E non è escluso che un domani qualcuno possa dire che bisognerà attendere il giudizio della Corte di Strasburgo prima di escludere qualche aderente.

P.s. A dire il vero quel qualcuno già c’è ed è proprio Marco Travaglio. All’indomani della sentenza della Cassazione che ha condannato in via definitiva per rivelazione del segreto d’ufficio il suo commentatore di punta, l’ex presidente dell’Anm e componente del Csm Piercamillo Davigo, il direttore del Fatto si è augurato che quel “capolavoro di surrealismo giudiziario” potesse essere cancellato quanto prima.

8 Gennaio 2025

Condividi l'articolo