La morte dell'ex presidente Usa
Jimmy Carter Presidente per caso: “ma salvò gli Stati Uniti dalla crisi”, intervista a Massimo Teodori
“Era un democratico sconosciuto ai più e governava la Georgia: la conquista della Casa Bianca fu una sorpresa. Modesto quanto onesto, mise la pace al centro della politica estera americana rompendo con le pretese di egemonia e ridando credibilità al sistema”
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Jimmy Carter, scomparso ieri all’età di 100 anni, e il segno lasciato nella storia dei presidenti – fu il trentanovesimo – degli Stati Uniti. L’Unità ne discute con uno dei più autorevoli analisti del “pianeta americano”: Massimo Teodori. Professore di Storia e Istituzioni degli Stati Uniti, ha insegnato in università italiane e americane. Tra i suoi libri sull’America, ricordiamo: Maledetti americani. Destra, sinistra e cattolici: storia del pregiudizio antiamericano (Mondadori), Ossessioni americane. Storia del lato oscuro degli Stati Uniti (Marsilio); Obama il grande (Marsilio); Storia degli Stati Uniti e il sistema politico americano (Mondadori) e Il genio americano. Sconfiggere Trump e la pandemia globale (Rubettino).
Professor Teodori, cosa è stato Jimmy Carter nella storia dei Presidenti Usa?
Jimmy Carter è stato un presidente molto sui generis, forse divenuto tale per un caso. In una classifica stipulata nel 2021 da 142 storici ed altri osservatori professionali sulla base della leadership di tutti i presidenti degli Stati Uniti, Carter occupa il 26° posto – i primi tre sono Abraham Lincoln, George Washington e Franklin D. Roosevelt – quasi a segnalare che la sua elezione per un solo mandato fosse dovuta al caso. Carter fu presidente dal 1977 al 1981. Dico questo perché lui viene eletto quasi di sorpresa, essendo un democratico pressoché sconosciuto a livello nazionale, provenendo dal profondo Sud, come governatore della Georgia.
Con lui entrava alla Casa Bianca il rappresentante di uno degli stati sconfitti nella Guerra civile, il primo dopo novant’anni e più.
Da cosa nasce questa eccezionalità?
Le ragioni sono molteplici. L’America era in una grande crisi di depressione per diversi gravi motivi. Il primo è che negli anni 60, quello che era iniziato come il movimento dei diritti civili contro la segregazione con Martin Luther King, era diventato sempre più in un movimento di rivolta violenta. Il movimento dei diritti civili si era trasformato nel “black power”, a cui si era intrecciato il movimento contro la guerra in Vietnam e contro la leva che riguardava massicciamente centinaia di migliaia di giovani che fuggivano dagli Stati Uniti. Le due questioni che accentuano fortemente la crisi, sai nella società che nelle istituzioni degli Stati Uniti, sono la guerra nel Vietnam e il Watergate.
In ordine, la guerra del Vietnam. Perché accentua la crisi?
Perché per la prima volta la grande potenza americana viene sconfitta in una prova militare. Prova militare che aveva visto impegnati milioni di giovani americani, con oltre 250mila tra morti e feriti americani sul campo e una fuga tremenda. La guerra nel Vietnam era cominciata nella prima meta degli anni 60 e va avanti fino al 1973-’74, quando si arriva all’accordo ma in maniera molto negativa per il prestigio degli Stati Uniti. A questo si aggiunge il primo impeachment nella storia americana: l’impeachment di Richard Nixon. È la prima volta che un Presidente viene sottoposto ad impeachment. Nixon si ritira per evitare la votazione finale. Tutto questo determina un intrigo istituzionale
Di quale intrigo si tratta?
Per la prima volta vanno alla Casa Bianca un Presidente non eletto, Gerald Ford, il vice di Nixon che prende il suo posto (ma che non era stato mai eletto vicepresidente: era subentrato al vicepresidente eletto, Spiro Agnew, che si era dovuto dimettere per uno scandalo fiscale), e un Vicepresidente, Nelson Rockfeller, anch’egli mai vagliato da nessun elettore. Nel 1974 ci troviamo di fronte all’istituzione presidenziale, per sua natura la sola istituzione rispettata e legittima per tutti gli Stati Uniti, che è fuori da qualsiasi legittimazione perché è occupata da persone che nessuno ha mai votato, che nessuno ha mai legittimato, che non si sa da dove vengono e perché vengono. Alla sconfitta del Vietnam e all’impeachment di Nixon per ragioni ignobili per un Presidente, si aggiunge una squalificazione istituzionale, sentita come tale da molti. Ma come, è il discorso che va allora per la maggiore, abbiamo un Presidente e un Vice che non si sa perché stanno lì: chi ce li ha messi? Questa è la ragione per la quale uno sconosciuto democratico del Sud, sottolineo del Sud, per la prima volta viene eletto al posto di politici più qualificati, più noti, più importanti.
Cos’è, al di là della carica di governatore della Georgia che ricopriva, Jimmy Carter quando viene eletto?
Quando viene eletto, Carter ha un volto pulito, ha una fama di onestà politica, non fa parte dell’establishment politico democratico e repubblicano di Washington; quindi, è un’alternativa a tutti i fattori, gli elementi che avevano creato la crisi depressiva di una nazione. Ed è per questo che può essere eletto un personaggio come Carter.
Entra alla Casa Bianca. E cosa fa da Presidente?
All’interno ha poca gloria. È un periodo di grave crisi energetica, si muove con difficoltà, non ha una leadership nazionale importante. Sul piano internazionale, invece, il suo tono pacifista e le sue iniziative come quello dell’accordo tra Egitto e Israele, la pace di Camp David, che gli valse il Nobel per la pace, sono importanti perché sono anche in questo un elemento assolutamente nuovo rispetto all’orizzonte Nixon-Kissinger che si basava tutto sui rapporti di forza e non già su un istinto di pace e di diritti umani. Jimmy Carter, un presidente molto modesto, come la sua persona, all’interno, ma rispettato, a cui ha accompagnato un tono internazionale non di tradizionale politica di egemonia ma fatto di tentativi dialoganti, negoziali. Tentativi che gli andarono male per quanto riguarda la vicenda, passata alla storia, degli ostaggi sequestrati dagli studenti iraniani khomeinisti nell’Ambasciata americana a Teheran. Sappiamo come andò a finire. Il 24 aprile del 1980 le forze speciali americane tentarono di liberare i 53 dipendenti dell’ambasciata statunitense di Teheran, che da mesi erano tenuti in ostaggio dal regime iraniano. La missione fu uno spettacolare fallimento, il più grave nella storia delle forze speciali americane. Il fallimento mise fine alle speranze di Carter di farsi rieleggere alle successive elezioni. Ostaggi che furono liberati in maniera furbesca dagli iraniani poche ore dopo l’insediamento, il 20 gennaio del 1981, del nuovo presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan. In ultima analisi, l’importanza di Carter è l’aver ridato un po’ di legittimità istituzionale e in generale alla politica americana dopo un decennio di guai su tutti i fronti, guai nella società, guai nelle istituzioni, guai nei rapporti militari e in politica estera. Questa è la cifra vera di Jimmy Carter, la cifra di un personaggio che inverte radicalmente il corso della crisi americana, in una versione che fu portata a termine in maniera eccellente, nel rapporto tra istituzione e società, dal suo successore, Reagan.
L’Iran. Sempre presente nella storia degli inquilini della Casa Bianca succedutisi da mezzo secolo alla guida degli Stati Uniti. Il 20 gennaio s’insedierà alla Casa Bianca Donald Trump. E il problema-Iran è ancora, irrisolto, sul tavolo dello Studio ovale.
L’Iran è stato e continua ad essere un problema perché accanto agli antagonisti tradizionali, prima l’Unione Sovietica e poi la Russia e la Cina, con l’emergere del pluralismo nazionale, il mondo islamico integralista ha acquistato una forza sempre più crescente, con cui la potenza uscente, gli Stati Uniti, sono costretti a fare i conti. Accomiatandosi, il presidente uscente, Joe Biden, ha affermato che con lui in corsa per la rielezione, Trump sarebbe stato sconfitto. Di se, se ne possono dire tanti. Certamente, se non ci fosse stato quel duello televisivo con Trump di fronte agli occhi di tutti, l’immagine di Biden, la cui malattia era stata tenuta nascosta, poteva reggere il confronto con Trump molto meglio di quanto ha retto la Harris.