Il diritto all'ingresso
Deportato a Tripoli su nave italiana, arriva a Roma con visto per ordine del tribunale
È sbarcato la mattina di Natale a Fiumicino, sei anni dopo essere stato deportato a Tripoli dal mercantile Asso29 della Augusta offshore
Cronaca - di Angela Nocioni
È sudanese. Scappava dal Darfur in guerra. Si chiama A. Mentre tentava la traversata verso l’Europa è stato catturato e imprigionato a Tripoli, il 2 luglio del 2018, in una delle innumerevoli deportazioni di migranti che l’Italia fa di tutto per incoraggiare e finanziare. È sbarcato la mattina di Natale a Fiumicino – l’altro ieri, sei anni dopo – con un visto d’ingresso ordinato dal Tribunale di Roma per poter esercitare il diritto di chiedere protezione internazionale. Aveva diritto a farlo già sei anni fa.
A deportarlo a Tripoli il 2 luglio del 2018 fu un mercantile italiano, Asso 29, della Augusta offshore. Un tribunale l’ha già riconosciuto mesi fa e la presidenza del Consiglio, il ministero della Difesa, quello dei trasporti, il Capitano della Asso 29 e la società armatrice Augusta Offshore sono già stati condannati al risarcimento del danno dei migranti ricorsi in giudizio. Perché la Asso 29 avrebbe dovuto “condurre i migranti in Italia, non in Libia” hanno detto i giudici. I Tribunali continuano a ripeterlo, sentenza dopo sentenza: le politiche con cui si bloccano o respingono le persone in paesi insicuri per chi da lì fugge come la Libia, ma anche la Tunisia, comportano gravissime violazioni dei diritti fondamentali, di cui l’Italia è responsabile. Facendo sbarcare le persone in Libia le si espone a torture, detenzione illegale, violenze di ogni genere e, in alcuni casi, alla morte.
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La Libia non è un luogo sicuro in cui può concludersi un’operazione di ricerca e soccorso. Sentenze di Tribunali lo sanciscono, eppure gli accordi del governo italiano con la Libia rimangono in piedi. Il gommone sul quale A. era in viaggio in mezzo al mare stava imbarcando acqua. Una delle persone a bordo riuscì a contattare via radio la Guardia costiera italiana e a chiedere soccorso. Le autorità italiane non intervennero direttamente nonostante fosse presente in mare anche la nave Duilio della Marina Militare di stanza a Tripoli che avrebbe potuto effettuare il soccorso. Si misero invece in contatto con la motovedetta libica Zuwarah, data ai miliziani libici dal governo italiano, che raggiunse i naufraghi quando il gommone era ormai affondato. Tutti morti,solo 18 superstiti, tra i quali A. I libici li individuarono con l’aiuto dell’elicottero della Marina militare italiana Eliduilio. Con il supporto e il coordinamento delle autorità italiane la Zuwarah catturò altri naufraghi di altre imbarcazioni: in tutto 262 persone, secondo il resoconto della Augusta Offshore al processo.
Così sovraccarica e con condizioni meteomarine non ottime la motovedetta non volle proseguire la navigazione. Le autorità italiane a bordo della nave militare Caprera, di stanza nel porto di Tripoli, diedero istruzione di prestare assistenza alla Zuwarah al comandante della Asso 29 in quel momento sulla rotta che da Tripoli la conduceva alla piattaforma petrolifera Bouri Field. La Asso 29 arrivò sul posto, dove era presente anche la Duilio che a sua volta agiva seguendo le indicazioni provenienti dalla Marina italiana. I migranti furono così trasferiti sulla Asso 29 che, a operazioni di trasbordo concluse, si diresse verso Tripoli, trascinando a rimorchio la motovedetta libica. A bordo della Asso Ventinove salì anche un ufficiale libico, che, alla presenza del capitano della nave, comunicò ai naufraghi che se non avessero protestato sarebbero stati condotti in Italia. L’ufficiale, per tutta la traversata, si occupò dell’organizzazione dei naufraghi.
Il 2 luglio la nave arrivò dinanzi al porto di Tripoli dove consegnò i naufraghi alle autorità libiche che li portarono a terra su imbarcazioni più piccole. La Asso Ventinove, terminati i trasbordi, riprese la sua rotta originaria. Dal processo sono emersi con chiarezza i fatti seguenti. Le catture dei naufraghi da parte dei libici sono state il risultato dell’attività di supporto e coordinamento delle autorità italiane. Chi ha individuato le imbarcazioni in emergenza, nonostante la vicinanza, ha scientemente deciso di non intervenire facilitando l’arrivo della motovedetta libica per evitare di vedersi obbligato a portare le persone in Italia.
La Asso 29 è intervenuta su richiesta delle autorità italiane che, come quotidianamente accade nel Mediterraneo, forniscono istruzioni dichiarando formalmente di agire “per conto” delle autorità libiche. Le autorità italiane avevano l’obbligo di intervenire e di evitare che le persone fossero riportate in Libia e non l’hanno fatto. Una delle conseguenze del non aver rispettato quell’obbligo è stata la deportazione di quelle persone nelle celle di Tarik Al Sikka, Zintan, Tarik Al Matar, Gharyan.
“Il Tribunale di Roma con le decisioni sul caso Asso 29 ha messo in luce la palese illegittimità di quello che è tutt’altro che un caso isolato – dicono Cristina Laura Cecchini e Lucia Gennari dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione – ogni giorno nel Mediterraneo le autorità italiane danno un contributo fondamentale affinché le persone vengano intercettate e riportate in Libia spesso con la collaborazione di attori privati che realizzano la condotta materiale illecita di riconsegnare le persone in fuga alle autorità libiche”.
“Senza la fondamentale attività di ricostruzione e documentazione dei fatti del JL project e dei suoi attivisti non sarebbe stato possibile fare giustizia. I diritti delle persone, soprattutto nel Mediterraneo, necessitano di quella fondamentale attività di monitoraggio e documentazione che oggi le autorità italiane vorrebbero ostacolare anche attraverso la criminalizzazione delle organizzazioni umanitarie che operano i soccorsi in mare” aggiungono le avvocate Giulia Crescini e Ginevra Maccarrone del collegio difensivo. Esulta Sarita Fratini, l’attivista romana che ha creato JL Project: “A. è il primo ad ottenere giustizia. Il primo tra oltre seicento persone che il JL Project ha rintracciato e identificato come vittime di respingimenti illegali nei lager libici compiuti dal governo italiano. Il suo arrivo in Italia è un meraviglioso inizio”.