Intervista allo scrittore e giornalista

Parla Massimo De Angelis: “L’Occidente che rifiuta Israele rifiuta se stesso, la svolta antiebraica dei progressisti”

«È il nuovo rifiuto di Israele. Via via che il sottofondo delle nostre società è la tecnica e il denaro, che riduce le comunità a individui, i cittadini a consumatori e la cultura agli “stili di vita”, l’identità ebraica fa scandalo»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

13 Dicembre 2024 alle 08:00 - Ultimo agg. 13 Dicembre 2024 alle 09:19

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AP Photo/Ohad Zwigenberg
AP Photo/Ohad Zwigenberg

Massimo De Angelis, scrittore e giornalista: Il nuovo rifiuto di Israele. Riflessioni su Ebraismo, Cristianesimo, Islam e l’odio di sé dell’Occidente (Belforte editore). È il libro, che sarà presentato martedì 17 dicembre alla sala Isma del Senato, da lei curato e arricchito da numerosi e importanti contributi di storici, analisti, filosofi. Un libro impegnativo, di scottante attualità, destinato a far discutere. In che cosa consiste il “nuovo rifiuto” di Israele e da dove viene questo rifiuto?
Subito dopo il pogrom del 7 ottobre e in alcuni casi, si badi, ancor prima della risposta israeliana, esso si è espresso in numerose manifestazioni in Occidente, da Londra a New York. Esso è stato propagato e istituzionalizzato da campus, università e da molti mass media. Si è espresso come “antisionismo”, quindi come rifiuto dello Stato di Israele, ospitando generosamente al proprio interno la posizione “Palestina dal fiume al mare”. Questo rifiuto è vecchio ma anche nuovo perché, come illustra assai bene Massimo Longo Adorno nel libro, alle forme di antiebraismo tradizionale della destra occidentale e dell’islamismo, che già in passato si sono combinate, se ne è aggiunta, in misura preponderante una terza, quella del progressismo occidentale radical ma anche liberal. Il radicalismo woke giustifica il suo antisionismo con pure menzogne, ad esempio dipingendo lo Stato di Israele come Stato coloniale. Ignorando e nascondendo che mentre potenze coloniali europee come Gran Bretagna o Francia si insediavano all’estero avendo dietro di sé la madrepatria, gli ebrei sono originari del Medio Oriente e non hanno una patria altrove. Non solo…

Cos’altro?
Gli ebrei e il movimento sionista hanno ottenuto il riconoscimento dello Stato di Israele con confini che vanno esattamente dal fiume al mare: capisce che genere di ultrarevisionismo è quello del movimento propal? Questo avvenne di preciso, nella Conferenza di pace di Sanremo del 1920 che, come documenta scrupolosamente David Elber nel libro, costituì l’analogo di quella di Versailles per l’Europa. Qui le potenze vincitrici stabilirono i nuovi confini europei dopo la sconfitta degli imperi centrali, lì dopo il crollo dell’Impero ottomano. Si stabilirono i confini di Turchia, Iraq, Siria, Giordania e anche Israele appunto dal Giordano al mare. Ebbene, guarda caso, nessuno ha messo in discussione i confini stabiliti a Sanremo se non per Israele. Le risulta che l’Onu sia mai intervenuta per uno Stato del Kurdistan? Eppure, la Turchia e anche l’Iraq e la Siria sono Paesi con ampi spazi. Mentre Israele è un fazzoletto. Ecco. Tutte le nazioni che secondo il diritto internazionale hanno uno Stato hanno diritto a difendere i confini stabiliti ma Israele no. Qui l’antisionismo non solo islamista ma anche dell’Europa, almeno di quella progressista, svela il suo contenuto antiebraico.

Non crede che dentro questo rifiuto giochi un ruolo importante la deriva etnocratica marcata dall’attuale governo israeliano, dove forte è la presenza di una destra messianica.
Importante è il nitore nell’uso delle parole. Qual è la differenza semantica tra etnocrazia e democrazia? Si può individuare ma forse essa è minore di quella tra democrazia e liberismo tecnocratico oggi preponderante in Occidente. Un tempo, ricorderà, a sinistra si parlava di sentimenti popolari di masse popolari. Adesso il termine desta sospetto. Facilmente si è accusati di populismo. Ma anche qui: al populismo si può contrapporre l’individualismo. Il fatto è che la cultura oggi prevalente in Occidente, quella progressista, è passata da una centralità dei bisogni e delle aspirazioni popolari al primato delle libertà e dei diritti individuali. E non è una questione di dosaggio. Il cambiamento è radicale. E va di pari passo con lo svuotamento della democrazia. Qui si colloca la nuova questione ebraica. Perché il popolo ebraico si rappresenta irriducibilmente come popolo, come unità di etnos certamente, di religione, di cultura che è l’anima che tiene in comunione persone e comunità. E questo da noi non lo si comprende più, desta sospetto. Via via che il sottofondo delle nostre società è la tecnica e il denaro che riduce sempre più le comunità a individui, i cittadini a consumatori e la cultura agli “stili di vita”, l’identità ebraica fa scandalo. E siccome l’ebraismo è anche all’origine e parte integrante della civiltà occidentale, nei suoi rapporti col cristianesimo che vogliamo sempre più metterci alle spalle, ecco che l’insofferenza cresce. E desta maggior rabbia magari della jihad che resta fenomeno più lontano. Anche se poi, con l’immigrazione, è potenzialmente sempre più interno alle nostre società. Ma voglio rispondere anche ai riferimenti più immediati della sua domanda: Israele sta difendendo contro l’Iran e contro i suoi bracci armati Hamas, Houthi, Hezbollah che l’hanno accerchiato, provocato e aggredito, il suo diritto a esistere come Stato e come nazione, a difendere la propria identità che i suoi nemici vogliono distruggere come dichiarano esplicitamente. Qui il messianismo c’entra assai poco. Ricordo che nel Novecento il messianismo veniva messo all’indice dal nazionalsocialismo come causa ideale dell’universalismo socialista, oggi è accusato dal progressismo secolarista come causa ideale della chiusura etnocratica. In entrambi i casi credo si tratti di accuse poco fondate.

L’odio di sé dell’Occidente. Ma Occidente è ancora una categoria politica e valoriale che spiega il “noi “e gli “altri”?
Occidente è categoria complessa. Per un verso tutto il mondo si è occidentalizzato. Grazie alla tecnologia e al mercato occidentali. Ma se l’Occidente, come sembra sempre più fare, scambia il mezzo col fine rischia di perdersi. Tecnica, finanza e stili di vita individualisti non alimentano una civiltà. Senza che vi sia altro, rischiano di consumarla. Non producono identità. Le diluiscono. Questo era il nocciolo della messa in guardia di Ratzinger contro il divorzio tra la ragione da una parte e la religione e le altre forme di cultura. Messa in guardia condivisa anche da un illuminista come Habermas. Divorzio da tradizione, memoria, storia, popolo come comunità. Ovvio che si giunge al wokismo. Questo è l’odio di sé dell’Occidente che nasce dalla perdita e dal rifiuto di sé. Che c’entra con questo la questione ebraica? C’entra. Perché l’ebraismo e Israele, che sono dentro l’Occidente, segnalano la possibilità di una via diversa in cui ragione, religione, cultura, memoria e storia possono convivere, in cui libertà e comunità possano convivere dando senso all’idea di bene comune e alla stessa idea di giustizia che non può ridursi al tema dei diritti. È in questo senso che il nuovo rifiuto di Israele da parte dell’Occidente è anche un rifiuto di sé. Lo stesso confronto odierno sulla questione di un nuovo multipolarismo mondiale, che incrocia assai pericolosamente le guerre in corso, ha senz’altro al centro il tema di un riequilibrio delle ragioni di scambio tra Occidente e resto del mondo ma ha anche al fondo il rifiuto di subire il modello antropologico occidentale. In tal senso è anche scontro di identità e di civiltà. È il rifiuto della uniformità globalista trainata da tecnologia e mercato. Intendiamoci: nessuno vuole escludere un mondo più unito e globale. Ma questo può esser figlio solo di una storia, di un incontro tra comunità, culture e religioni diverse.

Il dialogo interreligioso. Molti lo evocano, in pochi lo praticano e altri ci campano.
E invece sono convinto che sia più fondamentale che mai. Come si può pensare di risolvere il conflitto mediorientale che ha un fondamento teologico, se si evita il confronto su questo terreno? Non c’è soluzione puramente politica al conflitto. Tanto meno puramente militare. L’alternativa non è quella che si esprime per lo più in Occidente: pacifismo o sicurezza armata. Entrambe preparano la guerra. La pace è un’altra cosa da sicurezza e pacifismo e va costruita. Partendo dal reciproco riconoscimento delle identità dei popoli che da ultimo sono religiose e filosofiche. La pace vera o ha queste radici profonde o non è. E ha perciò bisogno come l’aria del dialogo. Anzitutto interreligioso e interculturale.

Il dialogo presuppone il riconoscimento dell’altro da sé. Ritiene ancora fattibile la soluzione a due Stati in Terrasanta?
Se si parte nominando la Terrasanta per quel che è, terra d‘Israele tutto è più chiaro. I palestinesi hanno diritto al riconoscimento come popolo e come cittadini (che non significa necessariamente come Stato) ma questo implica da parte loro e dei paesi islamici in generale un riconoscimento degli ebrei, di Israele e del loro diritto a esistere. Tutti sono profondamente addolorati per i tanti bambini che muoiono. Ma di chi è la responsabilità? Non è di chi insegna loro nei sillabari che l’ebreo va distrutto e che a dieci anni gli fa imbracciare il fucile. È l’odio la causa di tutto. L’odio contro gli ebrei che allontana la pace e uccide i bambini. Nascondere questo fatto, non vedere in ciò l’intenzione genocida ma addossarla agli ebrei può definirsi in un solo modo: negazionismo.

13 Dicembre 2024

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