Il film su Netflix
Quelle donne comuniste dimenticate che salvarono i bambini del sud dalla guerra, l’Italia unita de “Il treno dei bambini” di Cristina Comencini
Tra il ‘45 e il ‘47, le attiviste del partito organizzarono dei convogli dal Meridione all’Emilia: a bordo tanti piccoli meridionali poveri adottati da famiglie che li accudirono e li sfamarono. “Un esempio di solidarietà che ci ricorda l’Italia migliore”
Spettacoli - di Chiara Nicoletti
Dal 4 dicembre su Netflix è arrivato Il Treno dei Bambini di Cristina Comencini, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma lo scorso ottobre ed ora finalmente approdato in piattaforma. Il film è tratto dal libro omonimo di Viola Ardone, che racconta di Amerigo, un bimbo di otto anni nella Napoli del dopoguerra che prende parte al progetto dei “treni della felicità”, quelli che, organizzati dall’Unione Donne Italiane del Partito Comunista, portavano i bambini poverissimi del centro sud alle famiglie contadine emiliane che li sfamavano e accudivano. Comencini parla subito di una storia dimenticata del nostro dopoguerra, un esempio virtuoso di un’Italia impegnata nello slancio solidale.
“Sono sempre stata interessata alle storie personali – scrive Cristina Comencini nelle sue note di regia sul film – che si svolgono in una Storia più grande. Qui mi è sembrato inoltre di raccontare una vicenda passata ma attualissima: il biennio 1945-1947, in cui si organizzarono i treni dei bambini, è un periodo in cui sembrava possibile un Paese unito”. Di persona poi la regista, figlia del grande Luigi, aggiunge: “Una delle scene più commoventi del film credo sia quella in cui i bambini vengono accolti a Modena con l’inno nazionale. Noi oggi siamo abituati a vederlo con i calciatori, lì suonava davanti alle facce dei bambini, usciti vivi dalla guerra, che rappresentavano il futuro. Mi sembrava che dicesse molto sull’Italia, sul desiderio di un’Italia più solidale, più unita ma anche molto sulla miseria che tutt’oggi arriva da noi”.
La Napoli poverissima del dopoguerra che racconta Cristina Comencini è una città resiliente come è sempre stata ma anche approfittatrice, che si crogiola nella disperazione e nella necessità di sopravvivere. Una visione inclemente che ricorda lo sguardo a tratti impietoso di Curzio Malaparte. “Malaparte aveva ragione, anche Rossellini la racconta così” interviene Comencini per poi argomentare: “Premettendo che sono nata a Napoli dunque la città per me è patria, bisogna essere duri con i propri posti e dopo la guerra lì era una tragedia. Non fu solo Malaparte a parlarne in maniera inclemente ma anche la commedia di Eduardo De Filippo. C’è da lì una ricostruzione della civiltà che si è perduta con la guerra, questa cosa la paghiamo ancora ora. Quando si perde il senso della convivenza civile, quando tu non hai la possibilità di essere madre, padre, per ricostruire tutto questo non basta un secolo e io lo dovevo raccontare senza edulcorarlo. Qui c’è Napoli che ha dentro una vitalità pazzesca perché questi bambini sono straordinari, sono dei protagonisti di questa miseria, miserrimi ma bellissimi. Ma è un fatto che Napoli sia stata anche ammazzata dopo la guerra”.
Non solo Napoli, non solo povertà ma un tema molto attuale che, specialmente in Italia, è oggetto di discussioni politiche e sociali da qualche tempo: la maternità. Amerigo, che nel film da bambino ha le fattezze di Christian Cervone e da adulto di Stefano Accorsi, si trova ad avere due madri, colei che suo malgrado lo spedisce sul treno nella speranza di garantirgli un futuro migliore e una che si trova a diventare madre nel solo atto di accudire e accogliere. Interpretate rispettivamente da Serena Rossi e Barbara Ronchi che, ricorda Comencini, sul set non si sono mai incontrate, sono “tutte e due madri e tutte e due imperfette”. “Questo mi sembra molto attuale – riflette la regista – il problema della madre biologica e di colei che impara ad esserlo. Il tema della maternità mi interessa enormemente, non faccio politica ma mi interessa lavorare su queste cose qui, l’Italia è un paese che non ha più bambini. Antonietta e Derna sono entrambe madri, la prima è molto povera, non sa leggere e ha un amante, l’altra è più evoluta, ma è in lutto perché le hanno ammazzato il compagno. Non volevo comunque fare un santino della maternità – rimarca poi Comencini – alla fine tutti possono imparare a fare le madri, una cosa che dimostrano bene le attuali famiglie allargate”.
A questo commento, il gancio con l’attualità della legge sulla maternità surrogata come reato universale è d’obbligo, tappa inevitabile dell’incontro: “Personalmente sono contro la maternità surrogata ma penso che ciò che è stato deciso non mi corrisponda, penso che le cose vadano fatte in altro modo, in intesa con altri paesi.” Se Il treno dei bambini, con la Storia d’Italia, riflette su quesiti attualissimi, ancor più contemporaneo è il problema che riguarda i bambini, quelli poveri che approdano sulle nostre coste, ricorda la regista. “Sono morti tanti bambini in mare negli ultimi vent’anni e la cosa non è stata risolta da nessun governo. Quello che succede oggi in Albania è solo la goccia finale”. È da settembre, grazie alla sorella di Cristina, Francesca, che ha portato a Venezia la storia metacinematografica del suo forte legame con il padre, ne Il tempo che ci vuole, che si parla nuovamente di Luigi Comencini, maestro di cinema italiano e indimenticato regista di altrettanto indimenticabili film come Marcellino Pane e Vino e Le avventure di Pinocchio, tra gli adattamenti più celebri del famoso romanzo di Collodi.
I maschietti Amerigo e i suoi amichetti in viaggio per l’Emilia Romagna, fanno pensare proprio a papà Luigi, quasi come fossero anello di congiunzione tra il regista e sua figlia: “Papà me lo sono sentito accanto. Lui ha messo in scena solo maschietti, mi è venuto abbastanza naturale, i bambini sono molto portati a raccontare una storia attraverso loro stessi perché somiglia al giocare. Abbiamo cercato di rimanere fuori dalla retorica dei sentimenti, la storia già in sé parla da sola e non c’è niente di peggio del ricatto affettivo. L’ideale è quando le cose arrivano da sole”. Non solo di madri e di bambini parla Il treno dei bambini, ma, attraverso personaggi come quello di Antonia Truppo, nel ruolo di una delle organizzatrici del famoso treno, all’interno del PCI, parla anche delle donne che hanno fatto la storia e di cui ci si è spesso dimenticati. “Gli uomini tornavano dalla guerra e si riprendevano il proprio posto di lavoro mentre le donne erano costrette a tornare a casa, anche quelle che avevano fatto la Resistenza. Anche a livello del partito, c’era machismo, c’era dappertutto. Credo che questa storia sia rimasta sconosciuta anche perché i suoi protagonisti sono donne e bambini – conclude Comencini – e che questa vicenda comunque racconti bene quello che siamo stati e forse potremmo tornare ad essere”.