Il caso dell'imprenditore

Chi era Francesco Lena: imprenditore del vino, uomo che non ha mai rinunciato a combattere per la libertà

Come può un imprenditore onesto, riconosciuto tale da Falcone, essere accusato da colui che è considerato l’erede di Falcone? Perché, dopo un’assoluzione, non vengono restituiti subito i beni?

Giustizia - di Pietro Cavallotti

8 Dicembre 2024 alle 18:35

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Chi era Francesco Lena: imprenditore del vino, uomo che non ha mai rinunciato a combattere per la libertà

Fino alla fine ha provato a salvare la sua azienda dal fallimento. Fino alla fine ha chiesto alle istituzioni di intervenire per aiutare gli imprenditori vittime di ingiusti sequestri. Con la morte di Francesco Lena, perdiamo non solo un imprenditore visionario. È stato molto di più di questo. Perdiamo un convinto combattente per la libertà e la giustizia.

È stato proprio con lui che nel 2015 ci siamo ritrovati. Eravamo ancora tutti sotto processo e al Tribunale di Palermo era ancora radicato il regime Saguto. Eppure, con lui, abbiamo deciso di denunciare pubblicamente un problema gravissimo e di intraprendere un percorso che ci ha portato a scrivere proposte di legge, ad audizioni in Parlamento, a decine di convegni in tutta Italia, a trasmissioni televisive di rilievo nazionale. Non posso dimenticare le conversazioni chilometriche in cui mi ripeteva una storia che io ho imparato a conoscere a memoria. In apparenza me la raccontava per rendermi partecipe del dramma che aveva vissuto ma in realtà lo faceva per sfogarsi o, forse, per cercare di chiarire a se stesso qualcosa che, fino alla fine, non ha mai capito.

Come può un imprenditore, scappato dalla Sicilia per sfuggire alle estorsioni, essere arrestato quarant’anni dopo per complicità con la mafia? Come può un imprenditore onesto, riconosciuto tale da Falcone, essere accusato da colui che è considerato l’erede di Falcone? Perché, dopo un’assoluzione, non vengono restituiti subito i beni? E perché, dopo che vengono restituiti, nessuno deve pagare per i danni che sono stati fatti? È stato colpito a un’età in cui un uomo dovrebbe vivere gli anni che gli rimangono godendosi la famiglia e il frutto di una vita di lavoro. Combattere quando si è sicuri di vincere o quando, almeno, si ha abbastanza tempo per arrivare alla fine della battaglia è meritorio. Ma combattere, come ha fatto lui, anche quando è affiorata la tremenda consapevolezza che il tempo non gli sarebbe bastato, è eroico. Credo che lo abbia fatto per dimostrare a sé stesso di non essere un uomo finito. Lo ha fatto come ultimo atto di amore nei confronti dei figli: assicurare ai figli e ai nipoti un’opportunità, questa era la sua preoccupazione che non mancava mai di confidarmi.

Inutile dire, senza troppa ipocrisia, che c’è molta amarezza perché in Italia una vita intera non basta per avere giustizia. La paura di arrivare alla fine di una vicenda giudiziaria perdendo per strada persone importanti è reale e insopportabile. E questo non è degno di un Paese civile. Lo ricorderò sempre come una persona che non si è mai arresa, che ha avuto la forza di mostrarsi fragile in televisione. Che ha parlato quando tutti tacevano. Una persona che ha perdonato i suoi carnefici. Un uomo che, sino alla fine, ha sperato nel cambiamento facendosi artefice del cambiamento.
Che lo Stato abbia il buon senso di fare adesso ciò che avrebbe dovuto fare da molto tempo: salvare l’Abbazia e intervenire al più presto per evitare la devastazione di altre persone per bene.
Abbraccio con affetto i figli e la moglie e li invito a proseguire una delle opere più belle intraprese dall’ingegnere: la battaglia per la libertà e la giustizia.

8 Dicembre 2024

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