Il settore automotive in panne
Stellantis a rischio fallimento: Elkann chiede alla politica una soluzione per uscire dalla crisi
Tavares aveva un atteggiamento che aveva irritato molti. Ma ciò non toglie che il gruppo di Elkann e l’automotive in generale è in crisi nera
Politica - di Cesare Damiano
La settimana si è aperta, come si può dire, con il “botto”: nella sera di domenica primo dicembre, un comunicato di Stellantis ha annunciato le dimissioni del Ceo, Carlos Tavares e la sua temporanea sostituzione con un “comitato speciale del consiglio” di amministrazione che gestirà il processo di nomina di un nuovo amministratore delegato entro la prima metà del 2025. Nel frattempo, il gruppo sarà guidato da un comitato esecutivo, presieduto da John Elkann, che svolgerà le funzioni del Ceo. Una procedura, inusuale nei modi e nei tempi, che alimenta le ipotesi, vedremo quanto realistiche, di un riassetto che potrebbe sfociare, sostengono alcuni “rumors”, in una fusione con il Gruppo Renault. Vedremo. Nell’attesa di sviluppi, è bene cercare di fissare alcuni punti di realtà di questa vicenda.
Perchè Stellantis è in crisi
In primo luogo, la crisi di Stellantis è profonda: basti ricordare che, da giugno, il titolo è sceso da 20 a 12 euro; un colpo robusto alla capitalizzazione dell’impresa. E l’annuncio delle dimissioni di Tavares ha provocato effetti immediati e pesanti sui mercati. D’altronde, sul piano finanziario, nel terzo trimestre 2024 Stellantis aveva perso il 27 per cento dei ricavi. Tutto questo è reso evidente dalle fermate produttive che investono gli stabilimenti italiani a partire da Mirafiori. Declino che si è riflesso nella crisi trasversale a tutto l’indotto della componentistica, a carico di un gran numero di aziende fornitrici sia di Stellantis che delle imprese del settore automotive europeo, anch’esse in crisi.
Tavares in questi mesi si è scontrato con molti, manifestando un atteggiamento che risultava di chiusura al dialogo, indispettendo, da noi, non solo i sindacati, ma anche presentandosi in modo aggressivo e scostante in Parlamento, rifiutando anche solo di accennare a un piano industriale e pretendendo il rinnovo degli incentivi al mercato. Ma anche in Usa si era fatto molti nemici, in particolare i concessionari americani che lo hanno duramente accusato di trascurare brand per loro rilevanti come Jeep e Ram. Al di là delle posizioni del Ceo dimesso, un altro rilevante interrogativo di fondo è ciò che sta in mente alla proprietà.
Gli azionisti di Stellantis: chi sono
I tre principali azionisti di Stellantis sono Exor, la Holding olandese che è la cassa degli Agnelli, l’altra famiglia, ossia i Peugeot e, infine, lo Stato Francese. I primi due, in particolare, come notano alcuni osservatori, sembrano fortemente interessati all’High Tech, oggi principale vettore di sviluppo industriale. Settore, tra l’altro, centrale nel rapporto Draghi sulla competitività europea. Certo, in un momento così drammatico per Stellantis l’impegno per il suo risanamento è necessario. Ma domani? Il terzo azionista, il Governo francese, avrebbe tutto l’interesse a unire i destini dei due gruppi dei quali è azionista, Stellantis stessa e, come detto, Renault, con un vantaggio di economie di scala, ad esempio, nella condivisione delle piattaforme e uno politico, rendendo sempre più francese la “testa” di un gruppo generato da tale fusione.
Terzo elemento: la crisi del settore automotive europeo è divenuta, ormai, profondissima. Lunedì, in Germania, sono iniziati gli scioperi alla Volkswagen. Azienda che ha manifestato l’intenzione di chiudere tre stabilimenti. C’è da dire che il gruppo tedesco, a differenza di quanto aveva fatto Stellantis sotto la guida di Tavares, si è rivolto, come altri produttori, all’Unione europea sostenendo la necessità di spostare in avanti, oltre il 2035, il limite temporale per la scomparsa dei motori endotermici.
E di qui, il quarto argomento, la politica industriale, sia italiana che europea. Non si può andare avanti così. La politica deve disegnare una rotta per portare il settore automotive fuori dalle secche nelle quali si è incagliato. La transizione all’elettrico stenta e i mercati sono praticamente fermi. C’è la minaccia dei dazi da parte dell’Amministrazione Trump che entrerà in carica il 20 gennaio 2025. La concorrenza cinese, sostenuta dal capitalismo di Stato, è martellante. Se i Governi e l’Unione non definiscono in tempi aderenti alla realtà una prospettiva realistica per questo settore, pur sempre centrale per l’industria, molto realistico e altrettanto brutale sarà il suo schianto. Con terribili conseguenze sull’economia, il lavoro, la tenuta sociale.