Le motivazioni della sentenza

Processo Eni – Nigeria: perché i pm De Pasquale e Spadaro sono stati condannati

“Hanno tralasciato chirurgicamente i dati nocivi che pure erano stati portati alla loro attenzione dal collega Storari”, spiega il tribunale di Brescia che ha condannato i due magistrati a 8 mesi per rifiuto d’atti d’ufficio nel processo Eni-Nigeria

Giustizia - di Frank Cimini

22 Novembre 2024 alle 09:00

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Processo Eni – Nigeria: perché i pm De Pasquale e Spadaro sono stati condannati

“Hanno utilizzato solo ciò che poteva giovare alla propria tesi, tralasciando chirurgicamente i dati nocivi che pure erano stati portati alla loro attenzione dal collega Paolo Storari”. È questo il succo delle motivazioni depositate dal Tribunale di Brescia per spiegare perché l’8 ottobre scorso i pm milanesi Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro erano stati condannati a 8 mesi di reclusione riconosciuti colpevoli del reato di rifiuto di atti di ufficio in relazione alla gestione del processo Eni-Nigeria poi concluso con l’assoluzione di tutti gli imputati dall’accusa di corruzione internazionale.

Secondo il presidente del Tribunale di Brescia Roberto Spanòciò che si contesta agli imputati non è l’uso improprio del potere discrezionale nella scelta degli elementi probatori da spendersi nel dibattimento Eni-Nigeria rispetto al quale hanno affermato la loro piena autonomia. La piena autonomia non può tradursi in una sconfinata libertà di autodeterminazione”. Nelle 158 pagine di motivazioni giudici affermano che il processo Eni-Nigeria avrebbe potuto concludersi positivamente per gli imputati già all’udienza preliminare ma si era impedito al gup di apprezzare un elemento in grado di minare la credibilità del teste architrave dell’accusa Vincenzo Armanna. Tale elemento era costituito dal cosiddetto video Bigotti di cui la procura disponeva già dal maggio del 2017.

Sempre secondo i giudici i pm milanesi De Pasquale e Spadaro “hanno compiuto una selezione ragionata dei tasselli in grado di arricchire il mosaico accusatorio con esclusione delle tessere dimostrative del contrario”. Contro il collega Paolo Storari in procura a Milano sarebbe stato innalzato “il Quadrilatero” “come sistema difensivo dell’impero austriaco nello Lombardo-Veneto a salvaguardia del processo Eni- Nigeria”. Il “Quadrilatero” sarebbe stato formato dai due imputati, dall’aggiunto Laura Pedio e dal procuratore capo Francesco Greco.

Francesco Greco poi manderà a Brescia gli atti con le parole usate da un altro accusatore Piero Amara secondo il quale due avvocati difensori sarebbero stati in grado di “avvicinare” il giudice Marco Tremolada presidente del collegio giudicante di Eni-Nigeria. Lo stesso Amara era stato ritenuto non attendibile quando a verbale aveva parlato della Loggia Ungheria, un caso poi insabbiato tra Milano e Perugia.

Invece venivano ritenute degne di attenzione parole che avevano meno valore di chiacchiere da bar. Infatti Brescia archiviava subito. Insomma c’era stato il tentativo di indurre Tremolada ad astenersi ritenendolo “sensibile” alle tesi della difesa, non avendo la possibilità e il coraggio di ricusarlo. Per la procura di Milano, confermano le motivazioni di Brescia, una bruttissima storia.

22 Novembre 2024

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