Dalla Procura di Brescia

Processo Eni, chiesti 8 mesi di carcere per i pm De Pasquale e Spadaro: “Nascosero le prove”

Chiesti 8 mesi per i due magistrati milanesi, secondo la procura di Brescia non hanno depositato atti a favore delle difese degli imputati nel processo Eni Nigeria. L’accusa chiede anche che la pena non sia sospesa: pericolo di reiterazione

Giustizia - di Frank Cimini

18 Settembre 2024 alle 18:00

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Processo Eni, chiesti 8 mesi di carcere per i pm De Pasquale e Spadaro: “Nascosero le prove”

La procura di Brescia chiede ai giudici del Tribunale di condannare a otto mesi di reclusione ciascuno i pm milanesi Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro ritenuti responsabili dall’accusa di rifiuto di atti d’ufficio per non aver depositato atti in favore delle difese degli imputati del processo Eni Nigeria poi finito con l’assoluzione di tutti.

Stando alla ricostruzione dei pm bresciani Francesco Milanesi e Donato Greco che hanno svolto la requisitoria alla presenza del procuratore capo Francesco Prete i colleghi milanesi De Pasquale e Spadaro “scelsero di non adempiere agli obblighi di legge che impone loro di non selezionare gli atti, di depositarli tutti a disposizione delle parti processuali”. Sempre secondo l’accusa si sarebbe trattato di un comportamento omissivo nascondendo atti favorevoli agli imputati con lesione dei diritti di difesa.

I pm chiedono inoltre che la pena non sia sospesa perché sia De Pasquale sia Spadaro esercitano tuttora le loro funzioni, il primo come procuratore aggiunto nel capoluogo lombardo il secondo alla procura europea. Ci sarebbe per questa ragione la possibilità di reiterare le condotte attualmente sotto processo. Ai giudici invece i rappresentanti dell’accusa chiedono che siano riconosciute le attenuanti generiche. Il processo Eni-Nigeria portò a una grave spaccatura all’interno della procura di Milano. Tra marzo e ferraio del 2021 era stato il pm Paolo Storari a indicare le prove favorevoli a tutti gli imputati invitando i colleghi a depositarle. De Pasquale e Spadaro hanno sempre rivendicato il loro comportamento come regolare e rispettoso della legge perché a loro avviso quegli atti non erano depositabili.

La polemica più aspra scoppiò intorno alle parole dell’imputato Piero Amara secondo il quale due avvocati della difesa sarebbero stati in grado di “avvicinare” il presidente del collegio Marco Tremolada. Il procuratore capo di Milano Francesco Greco mandò gli atti relativi a questa vicenda a Brescia dove però fu tutto archiviato. Ci sarebbe stato un tentativo di “liberarsi” di un giudice ritenuto tendenzialmente disponibile ad accogliere le richieste delle difese.

Va ricordato che quando lo stesso Piero Amara aveva parlato della famosa loggia Ungheria facendo i nomi tra l’altro di diversi magistrati i pm di Milano non avevano proceduto subito alle iscrizioni nel registro degli indagati. Sul caso Tremolada invece le carte erano state mandate subito a Brescia. Inutilmente. Insomma una bruttissima storia di due pesi due misure. A metà ottobre ci sarà la sentenza per De Pasquale e Spadaro.

18 Settembre 2024

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