Il caso dei giudici presi di mira
La mostrificazione che subisce chi si occupa degli ultimi: lo squallore mediatico contro profughi, minoranze, non abbienti
Il bombardamento colpisce chi – per mestiere – si occupa degli ultimi: profughi, minoranze, non abbienti.
Giustizia - di Ilario Nasso
Chiedereste al chirurgo, in sala operatoria, per quale squadra tifi? Interroghereste sulla pancetta o il guanciale nella carbonara il pilota del vostro aereo, decidendo di conseguenza se rimanere a bordo? Rinuncereste a essere tratti in salvo da un’alluvione, se il soccorritore non fosse eterosessuale? Di chi incrociamo in fasi particolari della vita ci dovrebbe interessare la professionalità, l’intelligenza, la serietà: non l’intimità.
Ecco perché fare confusione di piani – fra servizio reso alla collettività e sfera soggettiva dell’incaricato – non è solamente illecito: è innanzitutto stupido. Qualora, poi, lo spiattellamento in pubblico del vissuto, delle relazioni, delle idee di una persona si faccia metodico, gratuito, unilaterale, dietro non c’è solo idiozia, ma strategia. E quando quella persona esercita la funzione pubblica di magistrato lo scopo diventa chiaro: negare al malcapitato il ruolo che pure riveste legittimamente fra le istituzioni, per additarlo a chiunque come sbagliato e incapace. Pertanto, lo squallore mediatico cui stiamo nuovamente assistendo – con giudici scandagliati negli affetti, profilati nelle opinioni, schedati nei trascorsi lavorativi, dileggiati nelle scelte di vita, mostrificati nella rappresentazione del lavoro quotidiano – non costituisce (soltanto) diffamazione o squadrismo, ma un’istigazione (nemmeno tanto sottile) alla guerra civile: ingaggiata da esponenti del “quarto potere” (giornalistico) nei confronti di quello giudiziario, con l’induzione o il tornaconto di detentori del potere politico.
- Intervista a Nello Rossi: “L’imparzialità non sta nel giudice ma nel giudizio”
- Le toghe chiedono tutela per i giudici di Roma, ma nel Csm si sfila la destra…
- Minacce di morte al giudice Silvia Albano, “colpevole” della sentenza sui migranti in Albania: “Spero qualcuno ti spari”
- Minacce di morte a Silvia Albano, e linciaggio omofobo a Giuli: chi dice che non c’è razzismo?
Mentre la critica tecnica di una pronuncia giudiziaria è sempre utile, essa getta la maschera e rivela la propria vocazione appena assume le sembianze di scorribanda velenosa e insultante nella vita privata e nelle convinzioni del decisore. Il trasferimento istantaneo del discorso dall’atto (in questo caso giudiziario) al suo autore è pura reazione: ossia il notorio miscuglio di mancanza di argomentazione, ferocia dei toni, manganellate verbali, e – in definitiva – orrore per l’altro. E proprio qui si chiude il cerchio. Il bombardamento colpisce chi – per mestiere – si occupa degli ultimi: profughi, minoranze, non abbienti. È la coltivazione – con la stampa brandita come arma impropria – di un’idea di società in cui l’affermazione del primato del diritto (nel caso singolo) è oltraggio alla nazione, e non piuttosto sincero patriottismo costituzionale. Il metodo di questa operazione di sconquasso è spacciare la giustizia italiana per una corte… dei miracoli. Il fatto esaminato e il diritto applicato non interessano: conta esclusivamente insinuare che a giudicare sia stato (o sarà) uno svitato, un difettoso, un barricadiero.
Torna imprescindibile, allora, ristabilire i fondamentali. Una sentenza – tra confronto processuale, motivazione obbligatoria, impugnazioni successive – è l’espressione di autorità più controllabile e rivedibile che esista. Il giudice non è un burocrate né un emissario di palazzo. Una giustizia ridotta a ratifica di desideri governativi è stravolgimento costituzionale. Ancora: la giurisdizione è compimento motivato di scelte. È tutela – spesso l’ultima invocabile, oppure l’unica accessibile… agli ultimi – dalla prepotenza e dall’arbitrio. È, quindi, riaffermazione – ragionata, ma instancabile – di diritti inviolabili: se necessario, anche contro leggi – da qualsiasi maggioranza create – che provino a disconoscerli.
Il vero giudice antidemocratico, allora, è il giudice supino e addomesticato ai potenti. È il giudice contiguo – ma rigorosamente in silenzio! – al governante e ai propositi di quest’ultimo. È il giudice afasico e nascosto, che sentenzia meccanicamente e acriticamente. Una comunità attenta alla qualità dello stare assieme abbia il coraggio – e oggi avverta l’urgenza civica – di difendere l’indipendenza dei propri giudici e la pienezza delle loro attribuzioni: patrimonio collettivo non per culto di autoreferenzialità, ma per precisa, universale, attualissima esigenza democratica.
*Magistrato iscritto a Nessuno tocchi Caino