L'attrice simbolo d'Italia nel mondo
Sophia Loren, i 90 anni della Diva: l’oro di Napoli che abbagliò anche Picasso
L’infanzia sotto le bombe, l’insuperabile iconica bellezza, i mille provini prima del successo, l’Oscar per “La ciociara”, sua prova d’attrice più alta. Come la pizza e il parmigiano, è sinonimo d’Italia nel mondo
Cronaca - di Fulvio Abbate
Sofia-Sophia Loren: si racconta che Picasso, ospite di Guttuso e altri amici artisti italiani, durante un soggiorno romano, a cena, abbia disegnato su un tovagliolo un ritratto di Sophia Loren, il volto de La Ciociara. Quasi che quel viso fosse consustanziale sinonimo del luogo che lo stava ospitando. Si racconta ancora che il ritratto, seppure stenografico, neppure il tempo del caffè, sia stato trafugato da uno dei commensali.
Questo per dire quanto il suo volto fosse paradigmatico. Soma della bellezza d’Italia a presa istantanea, o forse c’entra l’essenza partenopea, le radici. Dice Karl Kraus: “L’origine è la meta”. Non si può affermare che la Loren, anche ora, immaginiamo, novantenne, ignori il proprio heimat. Esempio: esemplare, oltre i confini della sua filmografia “nobile”, uno spot del 1992 per “Parmacotto”, dove la parola-claim della protagonista, a contraddire la scenografia “Chez Maxim’s”, è, ricorderete: “Accattatevillo!”, accompagnato da un sorriso informale, compratelo nella lingua del Tommaseo.
L’ingombro. L’imbarazzo iconico della scelta narrando di lei. Come in un ideale rotocalco, tra “Bolero film” e “Mani di fata”, cuore della ancora stentata quadricromia, pieni anni Cinquanta, proveremo a elencare forse, molte cose di lei finalmente diva. Eppure, Sophia Loren, se vogliamo renderle davvero omaggio, credo proprio che occorra metterla a fuoco al di là del cinema stesso, senza nulla negarne il talento istintivo, le capacità istrioniche, dotata di un’ironia che deve forse il dato germinale nella travagliata biografia, anche socio-antropologica, della persona Sophia Loren, anzi, Sofia Villani Scicolone, nata romana il 20 settembre 1934, figlia di Romilda Villani, “insegnante di pianoforte”, e di Riccardo Mario Claudio Scicolone, “immobiliarista”, che infine, non proprio nobilmente, ne riconosce la paternità, rifiutando però di sposare Romilda. La seconda guerra mondiale, il fronte di Cassino, lo sbarco alleato, la miseria, la borsa nera, le macerie dei bombardamenti alleati, Pozzuoli, Napoli, poi di nuovo Pozzuoli.
Sofia Loren e la bellezza
La sua “avvenenza”, dono di natura, si sarebbe detto al tempo delle “maggiorate”. Il primo “concorso di bellezza” vinto quindicenne, poi, nel 1950, pieno Anno Santo, Miss Italia, il premio cadetto di Miss Eleganza. Poi i fotoromanzi, l’esotismo rosa che Federico Fellini restituisce, tra sospiri e germogli, ne Lo sceicco bianco, e ancora comparsa a Cinecittà: qui occorre immaginarla in fila, piccoli ruoli, seconda o terza fila, mai primi piani, sfocata, laggiù di sfondo. Raccontano i manuali che “la svolta arrivò quando, nel 1951, incontrò il produttore Carlo Ponti che la notò a un concorso di bellezza, dove lei era ospite, e il giorno dopo la ricevette nel suo studio per un colloquio e, rimasto colpito dalle sue potenzialità, le offrì un contratto di sette anni”. Scicolone Lazzaro Sofia sarà d’ora in poi, per l’eterno dei manifesti e le fotobuste destinate alle bacheche delle sale, Sophia Loren.
Forse per una rêverie cine-fantasmatica Bob Dylan sceglie di citarla in I shall be free, certo, anche Gigi D’Alessio, con Donna Sofì, ha ritenuto opportuno di eternarla, sia perdonato in nome della comune ascendenza campana, bottino genetico che “la Loren” non ha mai rimosso, piuttosto rivendicato ostentando altresì il proprio piumaggio linguistico dialettale. Nel 1990 pure il gruppo punk-rock militante dei Cccp-Fedeli alla linea si sono accostati al suo nome, ammainando temporaneamente le bandiere rosse di Togliatti a favore di questa elegia: “Facevi ‘a pizza a Pozzuoli e ‘a burina a Roma, e mo’ tu fai la Svizzera, abbiti a Nuova York, Sophia, bella Sophia, Sophia delle altrui brame, mmh quant’è bello in progress ‘sto cazzo di reame…”. Non risulta d’altronde che alla nostra massima diva possa essere attribuito un sentire non tradizionalista, certamente non “di sinistra”, magari, perché no, sfumate nostalgie da tarda infanzia sotto il littorio.
Sofia Loren e i film da lei più amati
È accaduto perfino alla mia persona di scorgerla sul set. Era il 1984, e la Loren stava girando un film a Bagnoli, location il Comando Nato, titolo Qualcosa di biondo e Maurizio Ponzi alla regia. Cercavano un soldato, e io ero fra questi, che potesse fare da comparsa, non ricordo però d’essermi fatto avanti. Quando le hanno domandato le pellicole che più sente dentro, la Loren ha pronunciato due sole occorrenze: La ciociara di Vittorio De Sica del 1960, il suo primo Oscar, il secondo “alla carriera” nel 1991, e Una giornata particolare di Ettore Scola, 1977. Non si adonterà Sophia se, fra molte altre sue prove di prim’attrice, aggiungeremo, nonostante il tratto folklorico, L’oro di Napoli di Vittorio De Sica, 1954, e ancora, in opulenti costumi d’epoca, C’era una volta di Francesco Rosi, 1967, dove le grazie imperiali, la scollatura sui seni, assume il valore dei carnali gioielli degli umili. La Loren è anche onorata con una stella sulla Hollywood walk of Fame.
Sofia Loren e il cibo italiano
La signora Loren che insieme al parmigiano, la pizza, e altre prelibatezze del banale italiano, è simbolo e insieme feticcio erotico, benché ormai datato nella leggenda spettacolare, del Bel Paese. Volendo, omaggio occasionale per l’anniversario tondo, il formaggio omonimo nonostante sia prodotto nell’Italia del Nord, potrebbe sostituire dalla confezione il volto dell’abate Stoppani (non è Cristoforo Colombo, sappiatelo!), con l’ovale in primo piano dell’attrice: se ritratta come ragazza sfrontata o già signora con trionfo di permanente, plusvalore di lacca e l’oro “pompier” degli orecchini nell’acconciatura appare secondario. Chi la frequenta familiarmente racconta pure l’appassionata di cibo in parannanza, come da copertina di In cucina con amore. Dice in questo senso di sé: “Il cibo mi rende felice, ho spesso voglia di mangiare. Amo cucinare per le persone cui voglio bene: i primi a base di pasta sono la mia specialità, così come la pizza. Molte delle scene dei miei film sono legate al cibo, ce n’è anche una in cui addento proprio una fetta di pizza: ecco in quei momenti io non interpreto solo un personaggio, sono proprio Sophia”.
“Sophia Loren Restaurant”, brand della ristorazione cine-turistica, è prevedibilmente destinato al generone globale. Tra le immagini che accompagnano ancora il fotoromanzo ulteriore, sovviene uno scatto che la mostra durante il firmacopie di un proprio volume culinario in una libreria della Fifth Avenue di Manhattan: piedi nudi, liberati delle scarpe certamente signorili, informale naturalezza di una napoletana a New York City. Come se fosse scissa in due distinte parti, la Loren, è da immaginare nella composta residenzialità ginevrina, già moglie-vedova del produttore Carlo Ponti, amato padre dei suoi due figli maschi non meno adorati al limite dell’Edipo, Carlo Jr., direttore d’orchestra, nato infine nel ’68, “Cipì” o “Cipi” nella vulgata giornalistica mondana accompagnata da scatti talvolta rubati all’intimità, dunque a sua volta molto attenzionato dai paparazzi fin da prima d’apparire in culla, ed Edoardo, nato nel ’73, regista e produttore per il cinema. Come lupa di Pozzuoli, Sophia Loren ha sempre mostrato tra le maggiori conquiste la propria prole. Secondario perfino se talvolta abbia “tradito” il coniuge-pigmalione, Cary Grant o Marlon Brando o Paul Newman o Sinatra o Richard Burton davvero irrilevante. A Marcello Mastroianni, testuale: “Il piatto che voleva da me glielo cucinavo col cuore: i fagioli con le cotiche”.
Sofia Loren l’icona
Una foto che ricorre nel suo vangelo pubblico la mostra giovane, a seno nudo, odalisca, anni amari, da semplice “operaia” del cinema, provini su provini dall’esito fallimentare. Sempre respinta, l’attenzione affettuosa di Vittorio De Sica l’occasione per farla uscire dall’anonimato del collocamento spettacolare. Una copertina di Playboy anni Settanta annunciava: “Sophia Loren nuda?” Per poi aggiungere “È la sua sosia”. Sì, somiglianza, ma l’altra, la copia presunta, mostra semmai una virago ferina. Non crediamo affatto che possa chiedersi in che mani sia finito il ritratto schizzato da Picasso turista a Roma – lui che, osservando la statua di Leonardo da Vinci a Fiumicino, commentò che assomigliava a un cameriere senza collo che sta portando le consumazioni ai clienti – nella sua collezione, tra l’altro, Cézanne, Matisse, Renoir, De Chirico, Dalí, Balla, Magritte e, va da sé, lo stesso Picasso.
Possedeva anche alcuni Francis Bacon, uno dei quali, all’asta da Christie’s, “Study for Portrait II”, del 1956, è stato battuto per oltre 14 milioni di euro. Tempo fa c’è stato modo di scorgerla, applauditissima, all’Arena di Verona, al braccio del conterraneo Gennaro Sangiuliano, allora ministro, lì però anche in veste di paggetto, incerta nei passi, l’immancabile lacca sulla capigliatura ormai iconica della sua terza età. Auguri sempre, signora Loren.