Il Csm boccia il pm
Il Pm De Pasquale che fece condannare Berlusconi non poteva fare il Pm…
Il procuratore aggiunto di Milano, numero 2 di Viola, non è stato confermato nelle funzioni semidirettive. Per il Csm “ha reiteratamente esercitato la giurisdizione in modo non obiettivo né equo”, “senza senso della misura e della moderazione”.
Editoriali - di Paolo Comi
Per poter fare il magistrato bisogna essere imparziali ed equilibrati. A maggior ragione se si ricoprono degli incarichi di responsabilità come procuratore o presidente di tribunale. L’imparzialità e l’equilibrio sono dei “prerequisiti” in magistratura, prima ancora di avere la laurea in giurisprudenza.
Fabio De Pasquale, procuratore aggiunto di Milano nonché numero due del procuratore Marcello Viola, non è in possesso di nessuno dei due. A dirlo è stato il Consiglio superiore della magistratura con una delibera che verrà ricordata a lungo e che ha messo fine questa settimana alla carriera di De Pasquale, non confermandolo nelle funzioni semidirettive.
Con 23 voti, fra cui quello del vice presidente Fabio Pinelli e 4 astenuti, il Csm ha affermato che De Pasquale in questi anni “ha reiteratamente esercitato la giurisdizione in modo non obiettivo né equo rispetto alle parti nonché senza senso della misura e della moderazione”.
“D’altra parte – ha aggiunto il Csm –, la pervicacia dimostrata in tutte le sedi in cui è stato chiamato a illustrare il proprio operato è idonea a dimostrare come le condotte poste in essere, lungi dall’essere contingenti e occasionali, rappresentino un modus operandi consolidato e intimamente connesso al suo modo di intendere il ruolo ricoperto, proiettando, pertanto, un giudizio prognostico negativo sul possesso dei prerequisiti dell’imparzialità e dell’equilibrio”.
L’elemento scatenante è stato l’ultimo maxi processo condotto da De Pasquale, quello per la corruzione Eni – Nigeria, dove il magistrato messinese aveva portato alla sbarra i vertici della più grande azienda del Paese, chiedendo per tutti, ad iniziare dall’ad Claudio Scaroni, anni di prigione.
L’ormai ex procuratore aggiunto di Milano in quel processo è accusato di “aver omesso di depositare” per “salvaguardare la ricostruzione d’accusa” prove “potenzialmente favorevoli alle difese”. E poi di “aver abusato dello strumento processuale” per far deporre l’ormai celebre faccendiere Piero Amara, colui che si era inventato la Loggia Ungheria ed ora è a dibattimento per calunnia, “per porre dentro il processo il dubbio dell’imparzialità del giudice Marco Tremolada allo scopo di ottenere per via obliqua l’astensione”.
Tremolada, presidente del collegio che poi ha assolto tutti gli imputati, non era “gradito” a De Pasquale in quanto attento ai diritti delle difese. Si tratta di fatti, si legge ancora nella delibera del Csm, “incompatibili con lo statuto costituzionale del pubblico ministero che (gli) impone il mantenimento del delicato equilibrio tra esigenze della pubblica accusa e tutela dei diritti dell’indagato e dell’imputato”, e quindi di svolgere indagini anche a suo favore.
Parole durissime che non possono non sollevare dubbi sul modo in cui De Pasquale ha esercitato la funzione di pubblico ministero alla Procura di Milano. Il nome di De Pasquale balza agli onori delle cronache nel 1992 con l’indagine nei confronti del regista Giorgio Strehler, all’epoca direttore del Piccolo Teatro di Milano, accusato di truffa per aver percepito dei finanziamenti per lezioni in realtà mai effettuate.
Per il regista si tratta di un’onta infamante. “In questo momento io mi dimetto da ogni cosa di questa Italia che disconosco: vita civile, società, teatro, città e cultura”, scrive Strehler su Repubblica. “Tengo per me solo la mia poesia, il mio talento e la purezza del mio cuore, del mio modo di essere nel mondo”.
“La Giustizia – aggiunge il regista – soprattutto nei tempi del disonore, ha aspetti spesso contraddittori. Da una parte c’è la sua faccia limpida e persino sacrificale che io ammiro e non temo. Dall’altra la sua faccia oscura, intrisa di troppi equivoci, persino di corruzione come tanti casi della nostra storia anche recente hanno dimostrato e che io aborro. Io confido solo che il caso mi faccia incontrare quell’aspetto luminoso ed umano della Giustizia, che l’altra resti nel buio e non altro”.
Nel 1995 Strehler, per cui De Pasquale aveva chiesto una condanna a due anni di carcere, viene assolto da tutte le accuse insieme ai suoi collaboratori. Il regista morirà poi dopo poco. Nel 1993 De Pasquale indaga il presidente dell’Eni Gabriele Cagliari.
Già in carcere per le inchieste di Antonio Di Pietro, Cagliari viene raggiunto da una ulteriore ordinanza di custodia cautelare chiesta ed ottenuta da De Pasquale. Ad accusarlo è Salvatore Ligresti che il 13 luglio 1993 confessa di aver pagato delle tangenti nell’affare Eni-Sai a Craxi e Cagliari. L’indomani, l’avvocato Vittorio D’Aiello, difensore di Cagliari, chiede un interrogatorio per il suo assistito, concesso il 15 luglio.
Il presidente dell’Eni ammette rapporti con Craxi e Ligresti ma nega di sapere qualcosa delle tangenti oggetto di contestazione, confidando quindi di essere rimesso in libertà. Secondo quanto riferito da D’Aiello, al termine dell’interrogatorio De Pasquale avrebbe promesso al numero uno di Eni che chiederà di scarcerarlo e di mandarlo ai domiciliari.
Il pm in realtà dà parere negativo alla scarcerazione e parte per le vacanze estive. Quando la voce del “no” alla scarcerazione da parte di De Pasquale comincia a girare, D’Aiello rilascia una dichiarazione: “Mi auguro che il pm mantenga l’intendimento di esprimere parere favorevole per la liberazione di Cagliari. Se non fosse così ci sarebbe da dubitare della coerenza dell’inquirente che, oltre tutto, non avrebbe calcolato le gravi ripercussioni psicologiche di chi si aspetta la libertà promessa e poi negata”.
Il diniego di De Pasquale finisce sul tavolo del gip il 17 luglio, che ha cinque giorni per decidere. Il 20 luglio Cagliari viene però trovato morto a San Vittore con un sacchetto in testa. Prima di uccidersi, scriverà alla moglie delle lettere.
“La convinzione che mi sono fatto è che i magistrati considerano il carcere nient’altro che uno strumento di lavoro, di tortura, psicologica, dove le pratiche possono venire a maturazione o ammuffire, indifferentemente, anche se si tratta della pelle della gente”.
“Siamo cani in un canile – aggiunge il numero uno di Eni – dal quale ogni procuratore può prelevarci per fare la sua propria esercitazione e dimostrazione che è più bravo o più severo di quello che aveva fatto un’analoga esercitazione alcuni giorni prima, o alcune ore prima. Anche tra loro c’è la stessa competizione o sopraffazione che vige nel mercato, con la differenza che, in questo caso, il gioco è fatto sulla pelle della gente. Non è dunque possibile accettare il loro giudizio, qualunque esso sia. Stanno distruggendo le basi di fondo e la stessa cultura del diritto, stanno percorrendo irrevocabilmente la strada che porta al loro Stato autoritario, al loro regime della totale asocialità”.
Seguiranno ispezioni ministeriali, procedimenti disciplinari e un processo per abuso d’ufficio e omicidio colposo, che si conclude con una archiviazione nel 1996, anno in cui arriverà la prima condanna definitiva nei confronti di Bettino Craxi (cinque anni e sei mesi di carcere) per il caso Eni-Sai.
Ormai famoso, De Pasquale inizia ad indagare su Silvio Berlusconi e sulle sue aziende, istruendo ben tre processi. Nel 2001, in particolare, avvia le indagini sulla compravendita dei diritti tv Mediaset.
Dopo dieci anni, nel 2012, il pm ottiene la condanna di Berlusconi, poi confermata l’anno successivo in appello e resa definitiva in Cassazione (quattro anni di reclusione). La condanna determinerà al fondatore di Forza Italia la decadenza dalla carica di senatore per effetto della legge Severino applicata in via retroattiva.
E si arriva, come detto, al processo Eni – Nigeria. A marzo del 2021 il tribunale di Milano stronca, come detto, l’inchiesta di De Pasquale assolvendo tutti gli imputati. Nelle motivazioni della sentenza, il collegio giudicante presieduto da Tremolada non solo sottolinea la mancanza di prove a sostegno delle accuse, ma critica duramente anche alcune decisioni di De Pasquale.
“Risulta incomprensibile – scrivono i giudici – la scelta del pubblico ministero di non depositare fra gli atti del procedimento un documento che, portando alla luce l’uso strumentale che Vincenzo Armanna (ex manager Eni e teste principale della procura contro De Scalzi, ndr) intendeva fare delle proprie dichiarazioni e della auspicata conseguente attivazione dell’autorità inquirente, reca straordinari elementi a favore degli imputati”.
I guai di De Pasquale, per la cronaca, non sono finiti. Al Csm è pendente infatti nei suoi confronti una pratica di incompatibilità ambientale ed un procedimento disciplinare, attualmente sospesi in attesa che si concluda il processo di Brescia dove è accusato di omissione di atti d’ufficio proprio per le modalità con cui ha condotto l’inchiesta Eni – Nigeria. La sentenza è prevista prima dell’estate.