Il film in concorso a Venezia
Iddu: Elio Germano nei panni di Matteo Messina Denaro, il boss che leggeva Dostoevskij
Piazza e Grassadonia sulle orme del capomafia di recente scomparso: non un semplice cattivo da operetta, ma qualcosa di più complesso
Cinema - di Chiara Nicoletti
Per chiudere la loro trilogia siciliana, iniziata con Salvo e proseguita con Sicilian Ghost Story, i registi Antonio Piazza e Fabio Grassadonia si sono fatti ispirare dalla figura di Matteo Messina Denaro, realizzando Iddu, ultimo film italiano presentato in concorso all’81esima Mostra di Venezia. Ispirato da un carteggio iniziato nel 2004 tra Messina Denaro e un ex sindaco del suo paese d’origine, corrispondenza incaricata a quest’ultimo dai servizi segreti per individuare il covo del latitante, Iddu mette in scena questo scambio attraverso due personaggi, il boss Matteo (Elio Germano) e Catello, l’ex preside della scuola del paese, colluso con la mafia e da poco uscito di prigione.
Iddu: il raccondo dei registi
Precisano il tono del film i registi Piazza e Grassadonia e raccontano i retroscena della loro ricerca su Messina Denaro e dei fatti realmente accaduti riportati: “Il tragico e il ridicolo contraddistinguono il film e il mondo che raccontiamo, che si prende molto sul serio e per questo, ad un certo punto, diventa ridicolo. Dal carteggio ritrovato, emerge una strana personalità, diversa rispetto a quelle di Riina e Provenzano. A casa di Riina trovavi al massimo la Bibbia o i Beati Paoli, mentre immaginiamo che Messina Denaro si sia imbattuto nella lettura, tramite i suoi amici borghesi, e nella latitanza abbia letto Baudelaire, Dostoevskij, l’autobiografia di Agassi. Gli hanno trovato anche 212 dvd, con film di Antonioni, Coppola e la serie Sex and the city che dimostrava l’altro suo interesse dominante, le donne. Con questi pizzini nutriva il suo narcisismo ipertrofico e si palesava il mondo grottesco che lo circondava, di chi dipendeva da lui o ci faceva affari, arricchendosi”.
Iddu: l’opinione del protagonista Elio Germano
Come nel caso di M – Il figlio del Secolo, anche Iddu si guarda bene dal prendere le distanze dai mafiosi, etichettandoli come mostri. Sottolinea Elio Germano: “Il film cerca di raccontare qualcosa di tragicamente ridicolo. Uno è chiuso dentro un appartamento, l’altro si preoccupa di far sparire le sue nefandezze. È un ritratto di bassezza umana perché dietro ogni azione malvagia c’è un essere umano. Non possiamo considerare i mafiosi come qualcosa di altro da noi. La mafia, come diceva Falcone, è un fatto di uomini. È impossibile riconoscere i meccanismi che ci fanno comportare in un modo se i cattivi sono sempre gli altri. Qui la mafia è frutto di un contesto sociale e di un’educazione. Se i valori sono la difesa dei confini, della famiglia, dei privilegi, il culto delle armi e del profitto a tutti i costi allora sono simili ai valori dei mafiosi”. Concordano Grassadonia e Piazza: “Falcone diceva una cosa meravigliosa: smettiamola di chiamarla piovra perché questi ci assomigliano e questo per la storia di Matteo è tragicamente vero, è disturbante ma esce dallo stereotipo. Il nostro è un film che racconta una storia grigia”.