Lo scambio di accuse
Salvini, Lamorgese e Piantedosi: così lo Stato ha deciso di far affogare i migranti
Nella ricerca dei responsabili della tragedia di Cutro non si può non denunciare la responsabilità di chi ha spostato in mare la politica migratoria: con il soffocamento del ruolo della Guardia costiera, dando priorità d’azione alla polizia rispetto a quella del salvataggio, con i soprusi rivolti alle navi del soccorso civile
Politica - di Ammiraglio Vittorio Alessandro
#SòMigranti. Raramente, o forse mai, abbiamo assistito a un così plateale scambio di accuse fra organi dello Stato, come quello intercorso tra Guardia di finanza e Guardia costiera dopo il naufragio di Cutro. Le conversazioni, tratte dagli atti d’inchiesta, intercorse fra i responsabili del mancato soccorso costituiscono la palese dimostrazione di quanto le recenti direttive sul soccorso in mare abbiano provocato, in settori cruciali dell’organizzazione per la tutela della vita in mare, disorientamento nella migliore delle ipotesi, talvolta indifferenza con esiti drammatici.
Il naufragio di Cutro
Nella ricerca dei responsabili della tragedia che costò la vita a un centinaio di persone (35 erano bambini) pesano certo i singoli comportamenti, ma non si può fare a meno di denunciare la responsabilità di chi (fra politici e alti amministratori) ha interamente spostato in mare la politica migratoria: con il soffocamento del ruolo – una volta strategico, ora soltanto esecutivo – della Guardia costiera; con l’irrigidimento dei ruoli e degli spazi di intervento, dando priorità d’azione alla polizia rispetto a quella, necessaria e urgente, del salvataggio; con i soprusi ostinatamente rivolti alle navi del soccorso civile.
Il “pericolo dei migranti”
A tutto ciò si aggiungono gli accordi coloniali conclusi con Tunisia, Albania e Libia (Bija, uno dei più importanti interlocutori libici del nostro governo, noto mercante di uomini, è stato eliminato in questi giorni in un agguato mafioso) per appaltare, oltre confine, la pratica dei respingimenti. Le prime a respirare il clima che ha assunto il supposto “pericolo dei migranti” a perno della propaganda governativa sono proprio gli organi statali operanti sul mare, organizzazioni militari i cui funzionari sono quanto mai ricattabili con prospettive di carriera e di attese destinazioni. È una sporca storia che non inizia adesso. Perché la si possa abbracciare interamente, si deve tornare al “blocco navale” attuato dal governo Prodi nel 1997 (quando la corvetta Sibilla mandò a picco una nave con 120 albanesi nel canale d’Otranto); alle strategie da apprendista stregone del ministro Minniti; ai proclami e ai porti chiusi di Salvini; alla placida durezza della ministra Lamorgese.
Oggi, il loro successore Piantedosi ha quasi coronato, con precisione chirurgica, quegli orientamenti. Il nuovo blocco navale annunciato in campagna elettorale si è così tramutato in vuoti del soccorso nelle acque internazionali, mentre i rabbiosi respingimenti sono occasione per l’apertura di luoghi di contenzione senza processo, in Italia e fuori. Attraverso successivi passaggi omeopatici di regole e comportamenti, e procedendo su un piano sempre più inclinato verso il disimpegno, ci ritroviamo infine con le frasi agghiaccianti riportate negli atti d’inchiesta: “So’ migranti…”, “Senza richiesta di aiuto, non usciamo”.