Intervista all'ex europarlamentare

“In Palestina le destre danno la caccia al nemico musulmano. Oggi Pertini sarebbe considerato fan di Hamas”, parla Smeriglio

“C’è una nuova forma di colonialismo: non l’esportazione della democrazia ma del mercato delle armi. Una vera sinistra si deve fondare sul pacifismo e il tema non è il campo largo ma come allargare il campo”

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

27 Agosto 2024 alle 12:00 - Ultimo agg. 27 Agosto 2024 alle 12:01

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“In Palestina le destre danno la caccia al nemico musulmano. Oggi Pertini sarebbe considerato fan di Hamas”, parla Smeriglio

Massimiliano Smeriglio, scrittore, già europarlamentare: “Con i soldati ucraini al di là del confine: ‘Felici di guidare tank in Russia’”. È un titolo di Repubblica. Il pensiero bellicista ha vinto?
Il pensiero progressista è quasi del tutto sottomesso alla centralità del mercato finanziario globale e alla opzione bellica. Con una certa idea di superiorità culturale da avvenuta secolarizzazione senza più ideologie, religioni, empatia, miti, epiche, che incoraggia approcci neo-coloniali utilizzando strumentalmente, quando serve, la leva della libertà individuale. Non più la “democrazia” ma il mercato esportato sulla punta del fucile. Dall’altro lato le destre razziste e sovraniste, ugualmente guerrafondaie, legate a forme di mercato più nazionali puntano spesso sull’isolazionismo con uno sguardo benevole verso Putin e Netanyahu. Inoltre, le destre estreme hanno sostituito lo stigma dell’ebreo con quello dell’arabo musulmano che minaccia il mondo da lontano, e anche da vicino di casa. Giochiamo con il fuoco felici di farlo, con una Europa ridotta a comparsa e una sinistra che rinuncia ad una vocazione fondativa: la pace come opzione politica. La sinistra ha senso se avrà voglia di ri-significare la parola socialismo, anzi socialismo eco pacifista. Nel fuoco dell’escalation in corso fatta di attacchi “preventivi” israeliani in Libano, Iran, Siria, è fondamentale continuare a testimoniare un altro modo di intendere le relazioni tra gli esseri umani e tra i popoli. Bisogna evitare arruolamenti a nostra insaputa, disertare e squarciare il velo ipocrita dello Stato di diritto utilizzato con doppio o triplo standard a seconda di ciò che serve all’occidente.

Passate le elezioni, resta la stessa Europa che sulla guerra o si allinea agli Stati Uniti o, addirittura, riesce ad essere più realista (armi e ancora armi) del “re” americano.
In realtà gli equilibri sono cambiati in peggio. Le forze pacifiste sono uscite dalle urne indebolite. Importante il lavoro che potranno fare Sinistra italiana e il Movimento 5 stelle nel gruppo di the Left, così come alcune singole personalità tra i Socialisti e i Verdi. Il tema è come animare un movimento di massa che sappia contrastare il pensiero unico bellicista. Lo fa la Chiesa cattolica, lo fanno realtà di movimento o singole personalità. Bisogna insistere, contrastare il linguaggio della guerra, oggi si parla di armi tattiche nucleari o di invasione della Russia come nulla fosse. O di un inevitabile confronto militare tra Occidente e Cina. Le armi rappresentano peraltro un modello di sviluppo specifico, industria pesante, una certa idea dell’economia che mette in secondo piano la transizione ecologica, il rispetto dell’uomo e della biosfera. Le guerre uccidono, inquinano e ripristinano inevitabilmente il potere patriarcale.
Tifo convintamente affinché negli States si batta sul campo l’onda nera mondiale animata da Trump, di tutto questo però nel discorso della Harris non c’è traccia: né su come fermare la guerra, né sulla questione palestinese, né sullo strapotere delle Big Three, i principali gestori di fondi di investimento a livello mondiale (Blackrock, Vanguard group, State street global advisors) che orientano pesantemente la politica americana con donazioni (circa 5,2 milioni di dollari per le presidenziali 2020 più o meno equamente divisi tra democratici e repubblicani). Non proprio il massimo per una idea autonoma e indipendente della politica.

Bellicisti sul fronte ucraino, silenti su quello palestinese. A Gaza i morti hanno superato i 40mila, la grande maggioranza dei quali sono donne e bambini. Ma nessuno osa sanzionare Israele. Due pesi, due misure?
Il dramma del popolo palestinese è la vergogna del nostro tempo. Un atteggiamo infame, purtroppo non c’è altro termine per definire il modo in cui l’Occidente assiste inerme, o spesso con quote di corresponsabilità, al massacro sistematico dei palestinesi, non solo a Gaza. È di pochi giorni fa la notizia della eliminazione mirata in Libano di Khalil Maqdah, leader di Fatah. Per non parlare delle violenze indiscriminate dei coloni in Cisgiordania. Mentre a Gaza, tra voci evanescenti di negoziato, continuano a morire sotto le bombe uomini, donne, bambini ogni singolo giorno. Uno scempio. Siamo ben oltre ai due pesi e due misure, siamo alla ostentazione virile della forza militare e tecnologica che comanda e si impone sul nuovo disordine mondiale. Come nel far west, Israele, Russia, Ucraina e noi con lei, tutti si muovono fuori dai vincoli del diritto umanitario internazionale, con una campagna di delegittimazione costante verso l’Onu di cui Israele si è resa protagonista assoluta. Sinceramente la cautela con cui molti osservano le violenze indiscriminate del governo di Israele è incomprensibile. Un governo in cui la volontà suprematista, messianica, razzista è rappresentata da molti ministri e ha già determinato una frattura gigantesca con il mondo arabo musulmano. Ci vorranno decenni per ricucire il rapporto tra questi mondi, e noi non stiamo facendo nulla per accorciare le distanze, non c’è traccia di una posizione europea orientata alla soluzione diplomatica.

Si parla a giorni alterni di una sinistra “nuova”. Ma nuova o vecchia che sia, una sinistra che non ha nel pacifismo uno dei suoi principi fondanti, può ancora dirsi sinistra?
Pacifista, ecologista, femminista, antinazionalista, antirazzista, garantista, socialista, per i diritti civili, antiliberista, questa è la sinistra. E per essere sinistra bisogna arare ognuno di questi presidi di cultura politica. Tenendoli in equilibrio. La pace, l’internazionalismo, la curiosità verso gli altri popoli, il disarmo, il dialogo, il negoziato sono componenti essenziali di una narrazione forte, combattiva, convincente, capace di attrarre parti di popolo senza lasciarli in balia del richiamo di pancia che la destra fa con la sua ideologia che, semplificando, indica nemici, mai soluzioni.
A proposito di contenuti e alleanze. Sui giornali è impazzato Matteo Renzi. Di nuovo si parla di “campo largo”. Lei come la vede? Sono un convinto fautore del campo largo, ma messa così fa cadere le braccia. La destra resta forte nella società e noi non dobbiamo dare l’impressione di avere già vinto. Sarà un cammino positivo se investirà sul reinsediamento della sinistra tra le classi subalterne. Il tema non è il campo largo ma come allargare il campo. In una parola serve investire in partecipazione.

Il che significa in concreto?
Servono le primarie delle idee, serve la democrazia partecipativa, urge un appello, una chiamata in correità alle classi lavoratrici, ai giovani, al femminismo, agli intellettuali. Servono la democrazia deliberativa e il coinvolgimento dei cittadini per definire le posizioni coalizionali su questioni dirimenti, di senso, valoriali, l’ingaggio deve essere il più alto possibile. Cosi si allarga il campo, per tornare a vincere nella società e convincere nelle urne. Lo schema politicista viene dopo, non prima. Serve anche una gamba liberale, servono tutti, ma la questione di fondo è che questo processo deve essere vero, contendibile, non sequestrato dalle segreterie politiche. Ragionare per veti è sbagliato, ma ripartire dalla centralità di Renzi è incomprensibile; faccio fatica a capire perché il Pd lo abbia messo al centro del dibattito. Temo che di voti ne farà perdere un bel po’. È inaffidabile. I leader della coalizione dovrebbero dimostrare coraggio, determinazione, cedendo sovranità, non concentrandola in un singolo tavolo burocratico; senza il protagonismo popolare non si va da nessuna parte. Ci vuole generosità e senso di una missione grande, dare un futuro più giusto al nostro Paese. Serve carisma per generare fiducia e spirito unitario. Per Canfora un partito è innanzitutto una comunità spirituale. Di fronte alla parola partito o coalizione sarebbe bello pensare a questa suggestione piuttosto che a un nido di serpi. Alla destra bastano leader carismatici da sostenere e supportare, evitiamo di emulare questo modello. La nostra gente vuole dire la propria, in maniera unitaria e plurale. Una coalizione una e molteplice insieme, con regole certe di funzionamento e obiettivi ratificati dalla partecipazione popolare.

Non basta dunque rifarsi ai documenti programmatici, che peraltro nessuno legge…
Il popolo di sinistra ha necessità di credere per mobilitarsi, credere in maniera nobile, non solo relativa alla propria condizione materiale, piuttosto un gancio verso il cielo della trasformazione sociale. Nietzsche diceva: “Chi ha un perché per vivere può sopportare quasi ogni come”. Inoltre, dobbiamo investire sulla sfera del desiderio perché, per dirla con Deleuze e Guattari, genera linee di fuga, possibilità di liberazione, costruisce comunità e mondi nuovi, sottraendo i destini individuali al maglio delle strutture dominanti. La politica ha maledettamente bisogno di un approccio desiderante. Per tornare a vincere nel Paese serve questa postura, una vocazione a movimentare ciò che è fermo, senza paura. Serve sentire la responsabilità di un passaggio storico e non calcoli di bottega. E poi occhio ai giochetti fatti sulla pelle delle persone…

A cosa si riferisce?
Temo che il dibattito sullo Ius Scholae non porterà a nulla, ha voluto però indicare un orizzonte politico, quello su cui lavora il gruppo Repubblica e il nuovo corso di Mediaset a guida Pier Silvio. Non immediatamente agibile sul piano delle alleanze, certamente una minaccia per il governo e la preparazione di geometrie variabili. Mondi economici che usano in maniera spregiudicata i propri media (il famoso conflitto di interesse) per avvicinare sempre più Pd e Forza Italia: a vincere devono essere sempre le compatibilità neo-liberali e un atlantismo indiscutibile. Pensiamo alle posizioni di Moro, Pertini, Craxi e Berlinguer sul Medio Oriente o persino sui margini di autonomia italiana in ambito Nato. Oggi verrebbero tacciate come posizioni estremiste. Qualcuno direbbe “antisemite” qualcun altro “filo-Hamas”. Ve li immaginate i giganti della Repubblica alle prese con queste volgari provocazioni? Per vincere bisogna prendersi dei rischi e volare altissimo. Battersi contro la guerra è un buon modo per provare a prendere la giusta corrente ascensionale.

27 Agosto 2024

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