La forca si è inceppata di nuovo
Pena di morte, in Giappone lo stop alle esecuzioni è solo una “tregua olimpica”
Non sono state effettuate esecuzioni da dicembre 2019 a dicembre 2021, una tregua olimpica di fatto, collegata ai giochi di Tokyo nell’estate del 2021
Esteri - di Sergio D'Elia
Nella classifica delle medaglie d’oro conquistate ai giochi olimpici di Parigi, tra i primi venti figurano diciannove Paesi del cosiddetto “mondo libero e democratico”. L’eccellenza in campo sportivo rifletterebbe perfettamente quella nel campo dei diritti umani, se non fosse che sul podio dei primi tre sono salite due “democrazie occidentali” come gli Stati Uniti e il Giappone che hanno ancora la pena di morte, la più grave delle violazioni dei principi e valori universali. Non ci consola il fatto che in questi due Paesi le esecuzioni capitali si manifestino, di anno in anno, sempre più raramente.
Perché, fino a che non sarà del tutto abolita la pena capitale, non si potrà mai dire che la loro democrazia sia compiuta. Eppure, non solo nei patti e nelle convenzioni internazionali di cui sono parte, anche nelle loro millenarie tradizioni spirituali e religiose si possono trovare ragioni per un salto in alto nella civiltà contemporanea dei loro sistemi giuridici. L’attualissimo, civilissimo “nessuno tocchi Caino” anticotestamentario, può liberare la fascia della Bibbia americana dall’arcaico, letteralmente cieco “occhio per occhio” che ancora la lega. Le divinità e gli spiriti benigni e misericordiosi della tradizione shintoista e buddhista del Paese del Sol Levante possono orientare i ministri della giustizia a rifiutare oggi di firmare condanne a morte.
È già accaduto in Giappone che venissero decise moratorie nella imposizione della pena di morte. Non ci furono impiccagioni per più di tre anni dal novembre 1989, dopo che un condannato a morte per l’omicidio di una bambina di 6 anni fu assolto all’inizio di quell’anno in un nuovo processo. Non sono state effettuate esecuzioni da dicembre 2019 a dicembre 2021, una tregua olimpica di fatto, collegata ai giochi di Tokyo nell’estate del 2021. Ora, accade di nuovo che il Giappone non giustizi nessuno da più di due anni, dopo una consuetudine di condannati a morte impiccati ogni pochi mesi sotto il governo guidato dal Partito Liberal democratico. Dopo che il Pld è tornato al potere nel dicembre 2012, Sadakazu Tanigaki ha ordinato 11 esecuzioni, fino a che ha ricoperto l’incarico di ministro della Giustizia terminato nel settembre 2014. Nel 2018, l’allora ministro della Giustizia Yoko Kamikawa ha ordinato le esecuzioni di 13 ex membri della setta apocalittica Aum Shinrikyo, tra cui il suo fondatore Shoko Asahara.
L’ultima esecuzione è stata effettuata due anni fa, il 26 luglio 2022, quando è stato impiccato il trentanovenne Tomohiro Kato. Il suo caso corrisponde a quello che viene definito “il più raro tra i rari” perché sia “giustificata” la pena capitale. Kato aveva fatto una strage in cui sette persone sono morte e altre 10 sono rimaste ferite. Il ministro della Giustizia Yoshihisa Furukawa, che aveva impartito l’ordine di esecuzione, forse pentito, si è dimesso il mese successivo. È stato sostituito da Yasuhiro Hanashi, che è stato licenziato tre mesi dopo dal primo ministro Fumio Kishida per le sue dichiarazioni considerate una presa in giro del suo ruolo nell’autorizzazione delle esecuzioni dei condannati a morte. Il ministro della Giustizia è una posizione “di basso profilo” e diventa “una notizia di prima pagina nei notiziari diurni solo quando mette il timbro sui decreti di morte”, aveva detto Hanashi a un raduno politico nel novembre 2022, giorni prima del suo licenziamento.
L’ultima interruzione delle esecuzioni potrebbe essere collegata anche al nuovo processo in corso nei confronti di Iwao Hakamata, un ex pugile di 88 anni accusato ingiustamente di un quadruplice omicidio nel 1966. Dopo la condanna nel settembre 1968, il suo stato mentale era peggiorato ed era diventato il condannato a morte più longevo al mondo, prima che nuove prove portassero al suo rilascio nel 2014. Nel frattempo, lo scorso ottobre è iniziato il nuovo processo di Hakamata, presso la Corte distrettuale di Shizuoka, alimentando la speranza che l’ex detenuto venga assolto quando verrà emessa la sentenza prevista il 26 settembre.
Che sia il “pentimento” di un ministro-boia o il “rifiuto” di una funzione di giustizia ridotta a mero esercizio patibolare o il rischio di uccidere un innocente, sta di fatto che la forca in Giappone si è inceppata di nuovo. Nel vasto mondo dei kami, le divinità della tradizione shintoista e buddhista giapponese, figura Kannon, la dea della misericordia. Mi piace pensare che un’altra “tregua olimpica” delle esecuzioni sia stata premiata dagli spiriti benevoli della tradizione con il terzo posto del Giappone nel medagliere dei Giochi di Parigi 2024. A riprova del fatto che il male porti male, che il bene chiami il bene. Che occorre sempre pensare, sentire e agire nel modo e nel senso in cui si vuole vadano le cose.